Zara: il titolo che sfida la crisi

 Zara è una catena d’abbigliamento spagnola la cui filosofia le ha garantito la sopravvivenza in questo momento di crisi e non solo. Piacciono i prodotti e piace il management della catena di abbigliamento, restio alla partecipazione alla vita mondana.

Il fondatore di Zara, o meglio del gruppo tessile Inditex, si chiama Amancio Ortega Gaona e vive a la Coruña, dove si è trasferito da giovane, a 14 anni, seguendo il padre che da ferroviere, era costretto a viaggiare e spostarsi molto. Il suo stile di vita molto dimesso sembra estraneo alle quotazioni.

Secondo un articolo apparso sul New York Times, infatti Amacio Ortega Gaona sarebbe molto discreto nonostante la classifica di Bloomberg lo inserisca al terzo posto sul podio degli uomini più ricchi del mondo. In effetti anche la catena di abbigliamento che ha fondato non punta a sfondare nel mondo del lusso.

Zara punta a colonizzare piuttosto il cosiddetto mercato del “fast fashion”, quello cioè dei marchi low cost. Anche i capi che propone in vendita non sono esempi di sartoria d’autore, sono invece capi basici, alla moda sì, ma economicamente accessibili a tutti.

I marchi collegati a Zara, che deve essere tenuta d’occhio anche in borsa, sono Bershka, Oysho, Stradivarius e Pull&Bear.

Scende l’EUR/USD: una spiegazione

 Quando il mercato è in movimento, il primo settore a subire l’impatto delle oscillazioni è sicuramente quello delle valute. Oggi il ForEX è influenzato dal rapporto tra la moneta unica del Vecchio Continente e il Dollaro americano.

La coppia EUR/USD dopo diversi mesi in cui si era tenuta all’interno del range 1375-2800, ha rotto al ribasso nelle scorse ore e questo dipende dall’incremento di valore della moneta americana. In questo andamento però, la rielezione di Obama c’entra poco, nel senso che ha avuto maggiore incidenza la dichiarazione pessimistica di Draghi sulla condizione della Germania.

Fatta questa premessa c’è da considerare che pesa molto sul ForEX e sulla coppia EUR/USD anche l’incertezza della Spagna nel chiedere aiuti all’Europa e la decisione di Atene di chiedere più soldi per la gestione del debito, da restituire in un lasso di tempo più ampio.

Junker si è dimostrato fiducioso verso Atene che fino a questo momento, con l’ennesimo varo del pacchetto di austerity, è riuscita ad assolvere agli impegni presi con il resto degli stati membri dell’UE.

Sul fronte americano, invece il dollaro è trainato dalle buone sensazioni sulla ripresa americana. Si ha molta paura del cosiddetto fiscal cliff ma gli analisti sono convinti che l’America ce la farà ad uscire dalla crisi.

 

Su Piazza Affari pesa la Grecia

 Analizzare la riapertura delle borse ci aiuta a comprendere meglio quali sono gli elementi in grado di influenzare l’andamento dei titoli nostrani. La prima giornata di contrattazioni di questa seconda settimana di novembre, è iniziata con una serie di timori.

L’incertezza dell’analisi e dell’andamento dei titoli è legata alle aspettative sul rapporto della troika sulla Grecia. BCE, UE e FMI hanno detto che Atene, in questo momento, sta rispettando le promesse fatte ma avrà bisogno di più soldi e di più tempo per restituirli.

Un’evenienza, quest’ultima, che ha fatto sobbalzare i mercati: lo spread italiano, per esempio, è salito a quota 370 punti. Tutto il resto degli indici è stato sostanzialmente trascinato verso il basso dall’effetto Grecia. Il Ftse Mib per esempio, ha chiuso la giornata con una perdita dello 0,39%, il Ftse Italia All-Share, invece ha perso lo 0,42%.

Per i titoli bisogna fare un discorso diverso. Sicuramente fa piacere vedere il recupero di Telecom con un rialzo del 4,2% legato alla dichiarazione d’interesse di Naguib Sawiris, disponibile a comprare una quota di minoranza dell’azienda.

In ascesa anche Ferragamo e Pirelli, con incrementi più contenuti prossimi al 1,5 per cento, ma anche Atlantia e Tod’s. 

Sul fronte opposto perde quota il titolo Campari, -5,70% e così anche A2A, Finmeccanica, Fiat e Monte dei Paschi di Siena. 

Il paradigma del pollo di Russell

 Chi investe in opzioni binarie sa benissimo che oltre ad un’accurata scelta del broker, è molto importante che l’investitore conosca i trend finanziari e per farlo deve studiare gli elementi passati del mercato e fare previsioni per il futuro. Ma può bastare?

La cosiddetta analisi tecnica che, partendo dai dati tendenziali, prova a definire delle strategie d’investimento future, proprio per questa sua caratteristica di usare il passato per interpretare il futuro, è considerata fallibile. Sicuramente spesso si rivela adatta perché un’analisi condivisa indirizza gli investitori, ma in generale il paradigma del pollo di Russell è valido.

Questa storiella è stata raccontata da Bertrand Russell proprio per spiegare la fallibilità di un certo tipo di analisi. La storia è questa.

Il pollo che nasce nell’ambiente del pollaio si abitua fin da subito al rispetto di alcune regole ferree. Sa che la mattina presto ci si sveglia al sorgere del sole e dopo poco tempo il contadino passa per somministrare il rancio, il mangime. Ad una certa ora della sera ci si rintana nel proprio angolo per il riposo.

Tutte le mattine, allora, il pollo tira fuori il collo alla stessa ora per mangiare. La mattina di Natale, il contadino passando, tira fuori il pollo dal pollaio. Una fine prevedibile quella del pennuto, impossibile da calcolare per lo stesso.

Prezzi in calo per le commodities agricole

 La produzione agricola, per quanto si possano fare stime dettagliate, dipende in gran parte dalle condizioni meteo e se la siccità di fine estate aveva indotto gli analisti a fare stime pessimistiche sul raccolto, le piogge autunnali hanno invertito l’overview.

Il Dipartimento USA dell’Agricoltura, alla fine della scorsa settimana di contrattazioni, ha sorpreso un po’ tutti gli investitori che si sono concentrati sul mercato delle commodities agricole, con delle previsioni che sono andate oltre le attese.

L’effetto iniziale è stato un sell-off sui futures trattati dal Chicago Board of Trade. Nel dettaglio si è registrato un calo del 2 per cento dei contratti a termine sui semi di soia che sono scesi ai livelli minimi registrati dalla fine di giugno.

I futures sul frumento hanno fatto registrare perdite altrettanto consistenti mentre si parla di flessione anche se marginale per i futures sul mais. Questa situazione è stata scatenata dai dati sulla produzione che sono stati migliori delle attese.

Maggiori scorte, però, vuol dire anche calo dei prezzi. Un mese fa ci si aspettava di fare i conti con una produzione molto più risicata. Basta pensare ai dati sulla soia: fino all’ultimo comunicato non ci si aspettava assolutamente un incremento del 4 per cento sui raccolti americani di questo prodotto.

Il mercato delle conifere

 L’Organizzazione europea delle segherie e l’European Timber Trade Federation hanno da poco concluso un appuntamento molto importante, l’International Softwood Conference tenutasi a Stoccolma. Ne è emerso un miglioramento delle condizioni del mercato delle conifere in Nord America e un peggioramento della situazione europea.

La produzione di segati di conifere, all’interno dei paesi dell’Organizzazione europea delle segherie è stato valutato in calo del 5,3% alla fine dell’anno in corso e per il 2013 la stima è di un calo dell’1 per cento della produzione.

Questa situazione è diametralmente opposta a quanto sta succedendo in America, soprattutto nel mercato settentrionale del paese dove i segati di conifere fanno registrare un 7,2% di aumenti per il 2012 e si prevede una chiusura in positivo, del +2,2 per cento anche per il prossimo anno.

Si passerà dunque da 88,9 milioni di metri cubi di segati di conifere prodotti nel Nord America a ben 90,8 milioni di metri cubi.

Al di là della produzione occorre valutare anche il consumo di questi prodotti e la situazione risulta però speculare: a fronte di un aumento dei consumi di segati di conifere del 6,6% in Nord America, si deve prendere atto di una riduzione dei consumi del 3,4 per cento nell’area dell’Organizzazione europea delle conifere e nei Paesi europei Isc.

 

Dollaro forte, mercati depressi

 Tutto resta com’era in America ma il dollaro subisce delle variazioni che fanno deprimere i mercati. Obama resta l’inquilino della Casa Bianca e i democratici ottengono la maggioranza al Senato nonostante una leggera perdita di terreno nella Camera del Congresso.

Il primo dato a livello finanziario che si deduce è che la cacciata di Bernanke dalla Fed, che era nei piani dei repubblicani di Romney, deve aspettare ancora un po’. Per Obama si prevedono comunque periodi complessi in cui dovrà gestire al meglio l’ostruzionismo dei Repubblicani al Senato e l’opposizione degli stessi alla Camera.

A livello fiscale, il cosiddetto baratro, passato alla storia con l’espressione fiscal cliff anche in Italia, è ancora nell’aria: Wall Street perde il 4 per cento dopo la vittoria di Obama e trascina verso il basso anche le borse europee.

Analizzando superficialmente la situazione si potrebbe dire che le borse hanno manifestato una considerazione negativa sulla rielezione di Obama, in realtà si tratta di una reazione all’apprezzamento del dollaro legato ai problemi dell’UE piuttosto che a quelli degli States. 

Peccato che un dollaro più forte e il contestuale calo dell’euro (seguito all’annuncio della crisi tedesca), sia diventato l’input per le vendite sulle azioni e le materie prime a fronte di ingenti acquisti di titoli di Stato.

IPO e il mercato in crisi

 Il mercato azionario è in difficoltà e il fatto che stia perdendo vitalità emerge anche dalla numerosità delle IPO dell’ultimo periodo di rilevazioni: il terzo trimestre dell’anno. Ecco una panoramica sui nuovi ingressi nel mercato azionario: chapeau all’Asia.

Il mercato azionario e gli scambi in generali, sono stati fortemente depressi dalla crisi economica globale e la possibilità che si perseveri nella recessione per i prossimi anni, indebolisce la volontà delle aziende di quotarsi in vorsa.

Il mercato, insomma, condiziona le Ipo. Nel terzo trimestre del 2012, per esempio, la banca dati di S&P Capital Iq, prende atto soltanto di 211 nuove operazioni sul mercato globale. Si tratta di un volume di “new entry” in calo rispetto al mese precedente quando le Ipo sono state 292 e in calo rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso quando le Ipo del terzo trimestre erano addirittura 316.

L’ammontare collocato è stato di 28 miliardi di dollari e anche questo dato risulta naturalmente in calo rispetto all’anno scorso, quando si parla di 31 miliardi di dollari e rispetto al trimestre precedente con i suoi 42 miliardi di dollari.

S&P Capital Iq rileva anche una scarsa partecipazione dell’Europa che ha contribuito soltanto con 672 milioni di dollari di azioni collocate a sostenere i debutti in borsa. Oltre la metà delle quotazioni, invece, è stata fatta nell’area Asia-Pacifico con un ammontare totale di 17,9 miliardi di dollari. Importante il contributo di Japan Airlines.

Grecia: la situazione sempre più critica

 Chi investe in opzioni binarie e nell’acquisto di titoli di stato, in queste ore fa molta attenzione a quel che sta succedendo in Grecia, nel paese che è diventato il termometro della crisi e della ripresa di tutta l’UE. In particolare si deve decidere se concedere al paese una nuova tranche di aiuti.

La Grecia, secondo gli analisti e secondo coloro che fanno trading online, non abbandonerà presto l’area euro. E’ un sentire comune legato al fatto che la Grecia deve ancora riprendersi e che in fondo la Troika, vale a dire UE, BCE e FMI non si è ancora pronunciata sugli aiuti da conferire ad Atene.

Sicuramente nel fine settimana è stata preparata una nuova asta di bond a 1 e 6 mesi per un valore complessivo di 3,125 miliardi di euro. Il governo greco, intimorito dalla possibilità di non ricevere nuovi aiuti, ha provveduto anche ad emettere titoli di Stato a breve termine per rimborsare i bond in scadenza il 26 novembre per un valore complessivo di 4,1 miliardi di euro. 

In questo modo si evita il default ma s’impensierisce l’Europa, molto indecisa sul da farsi. Dalla Germania arriva il solito invito alla cautela, dovuto anche alla poca fiducia relativamente al piano d’austerity che il governo di Atene ha approvato.

La ripartenza dall’Islanda

 Un noto film italiano si augurava di non ricominciare sempre tutto da capo ma di salvare almeno tre cose. Se volessimo operare un ragionamento simile sulla condizione europea, potremmo essere certi che non tutto è perduto, soprattutto se si considera la rivoluzione in atto in Islanda.

In questo paese ci sono i famosi tre elementi per ripartire nello sviluppo: tecnologia, referendum e iniziativa popolare. Sono queste le parole d’ordine del popolo islandese che alla fine del mese scorso ha approvato la prima web costituzione della storia.

Un consiglio direttivo di 25 cittadini estranei alla politica è stato nominato con l’incarico di consultare la popolazione sul nuovo testo costituzionale, considerati i principi fondamentali del testo definiti dal Consiglio direttivo. Questo organo ha sfruttato la tecnologia e soprattutto i social network come Twitter, Facebook e Youtube per entrare in contatto con la popolazione. 

La partecipazione all’evento è stata straordinaria e un referendum alla fine di ottobre ha interrogato i cittadini sulla conformità della bozza della web costituzione. L’ultima parola spetta sempre al governo ma si esclude la possibilità di un rovesciamento di fronte repentino.

I titoli di stato islandesi si rafforzano considerato anche il fatto che la nuova costituzione rafforza gli strumenti del referendum e delle leggi d’iniziativa popolare. L’Islanda si configura dunque come un terreno d’investimento privilegiato.