Le lauree migliori per trovare un lavoro

 Tra i tanti giovani disoccupati italiani ce n’è una grande percentuale che in tasca ha anche un titolo di studio universitario. Laureati di ogni disciplina che si trovano senza un’occupazione pur avendo investito anni della loro vita per una formazione di alto livello. Non stupisce, quindi, che siano in molti a chiedersi se valga ancora la pena fare questo investimento per il futuro.

► Dove vanno i giovani che lasciano il proprio paese in cerca di fortuna?

Partendo dal presupposto che lo studio non è mai una perdita di tempo, va detto che le università italiane sono poco concorrenziali nel tipo di formazione che offrono ai loro studenti che si trovano, sempre più spesso, ad essere preferiti a coloro che, pur non avendo un titolo di studio universitario, hanno già fatto esperienze di lavoro o comunque hanno affrontato un percorso di formazione sul campo.

Per il nuovo anno accademico le cose stanno già cambiando e sono molti gli atenei che stanno sperimentando – come prevede la riforma Gelmini 240/2010 – la suddivisione in dipartimenti e non più in facoltà e che si stanno adeguando all’internazionalizzazione così come voluta dall’ex ministro dell’istruzione che prevede la possibilità per gli studenti di conseguire un double degree o un titolo congiunto mediante accordi con più di 52 università straniere.

► La crisi dei finanziamenti universitari italiani

Quello che si può consigliare a chi sta per iniziare l’università è di abbinare agli studi un percorso di formazione e, per avere una maggiore sicurezza di poter trovare un lavoro una volta finiti gli studi, di orientarsi in percorsi di studi attinenti all’area economico-giuridica, magari scegliendo i nuovi corsi più specifici come management e governance, all’area scientifica, cercando però di orientarsi verso corsi dedicati allo sviluppo di settori emergenti come l’ambiente e l’energia.

Anche solo 500 euro al mese, ma fateci lavorare

Un’analisi della Coldiretti/Swg smentisce ancora una volta la teoria dell’ex Ministro Fornero secondo la quale i giovani italiani sarebbero choosy.

► I giovani occupati producono il 17,2% del PIL

Secondo i dati di questa analisi, infatti, i giovani italiani sarebbero disposti anche ad avere uno stipendio mensile di soli 500 euro per un lavoro che magari neanche rispecchia le loro qualifiche e i loro titoli di studio pur di poter trovare un’occupazione.

Il 43% dei giovani disoccupati italiani, secondo l’analisi della Coldiretti, sarebbe disposto a lavorare full time per essere pagato 500 euro al mese, mentre il 39% sarebbero disposti anche a lavorare più ore per avere sempre la stessa retribuzione.

Anche i giovani che un lavoro ce l’hanno hanno pressappoco le stesse esigenze: il 23% ha dichiarato che sarebbe disposto a lavorare anche più ore per mantenere lo stesso livello reddituale, anche se ben il 38% di loro ha il sogno di aprire un’attività in proprio, quasi sempre un agriturismo, piuttosto che lavorare in una multinazionale o accontentarsi del posto fisso in banca.

► Dove vanno i giovani che lasciano il proprio paese in cerca di fortuna?

E tutti i giovani, occupati e non, sono pronti per fare le valigie e espatriare in cerca di una situazione migliore in qualche altra parte del mondo. Lo farebbe il 59% degli studenti, il 53% dei giovani disoccupati e il 47% dei giovani che un lavoro ce l’hanno ma che, evidentemente, non rispecchia le loro aspettative per il futuro.

Dieci anni di cassa integrazione per i lavoratori di Alitalia?

Potrebbero protrarsi a dieci anni la cig per i lavoratori della vecchia Alitalia. Si profila, dunque, una proroga di tre anni sino al 2018 in confronto all’accordo iniziale che aveva stabilito nel 2008 l’erogazione dell’80% dello stipendio fino al 2015.

A confermare la è stato, il 12 giugno, lo stesso ministro delle Infrastrutture Maurizio Lupi. La proroga, però, potrebbe scatenare delle polemiche: già piovono accuse di trattamento di favore nei confronti degli ex lavoratori della compagnia di linea.

Lupi sostiene che la misura non comporta un aggravio dei costi per lo Stato, poiché si tratta di un fondo che si autoalimenta. Una formula oscura per dire che attraverso i fondi pubblici e la tassazione dei consumatori della nuova Alitalia si stanzia la cassa integrazione per circa 3-4 mila dipendenti.

I lavoratori hanno diritto all’80% dello stipendio senza che abbiano un tetto massimo di 1.080 euro mensili valido per i dipendenti di altre aziende.

In effetti, a giudicare dalla difficoltà del governo a trovare risorse per la cassa integrazione in deroga, suona quantomeno strana l’attenzione dell’esecutivo nei confronti degli ex lavoratori della compagnia aerea.

Del resto per un’Alitalia fallita, ce n’è un’altra – quella nuova targata Cai e Air France – che è riuscita a evitare migliaia di esuberi solo grazie ai contratti di solidarietà.

Dove vanno i giovani che lasciano il proprio paese in cerca di fortuna?

 Il sud dell’Europa è una delle zone che ha maggiormente risentito della crisi economica e gli effetti principali si sono avuti sui giovani che si sono trovati senza un lavoro e, quindi, senza prospettive per il futuro.

I paesi nei quali si è registrata una maggiore casistica di emigrazione sono Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia, Spagna, i cosiddetti Piigs, ma dove sono andati questi giovani emigranti in cerca di fortuna?

A scattare una foto dell’emigrazione è un sondaggio che l’Istituto universitario europeo (Eui) di Fiesole – sondaggio che è ancora in svolgimento – condotto sui giovani di questi paesi. La meta preferita per chi decide di lasciare il proprio paese, secondo il sondaggio, è la Gran Bretagna (30% del totale), seguita da Germania (11%), Olanda (8%), Belgio (7%) e Francia (6 per cento).

I giovani espatriati sono soprattutto ingegneri, esperti di It e computing .

I giovani che hanno scelto di lasciare l’Italia – la maggior parte dei casi lo hanno fatto dopo il 2012 – sono andati prevalentemente in Germania (20%), Francia (16%), Gran Bretagna (13%), Ungheria, Olanda e Austria (5% ognuna). Solo 20% ha scelto come destinazione un paese fuori dall’Unione Europea.

Le motivazioni che hanno spinto i giovani a fare la valigia e abbandonare il proprio paese sono la possibilità di carriera (il 68%), l’opportunità di avere un reddito più alto (38%) e la qualità della vita (3%).

I manager italiani sono i più pagati d’Europa

 L’autorevole testata economica The Economist ha pubblicato nei giorni scorsi un’interessante tabella dove sono riportati i livelli medi degli stipendi dei manager europei. Da questa classifica si evidenzia che i manager italiani, nonostante la crisi che si è abbattuta sull’Italia e tutti i problemi del mondo del lavoro nel nostro paese, sono tra i più pagati d’Europa, un gradino sotto solo ai manager rumeni, ucraini e russi.

► Il manager inglese più pagato è una donna

Oltre a questo dato dalla tabella si evince anche che la retribuzione oraria media per un Ceo aziendale italiano, senza tante differenziazioni tra settore pubblico e settore provato, è di 957 dollari ogni ora (praticamente quasi quanto un lavoratore ‘normale’ guadagna in un mese). In Germania questa cifra è praticamente dimezzata (546 dollari l’ora), come anche in Francia (551 dollari) e in Inghilterra (616).

La tabella dell’Economist è stata redatta in base alle medie retributive, quindi i dati potrebbero discostarsi un po’ da quelli reali, ma vale comunque per capire la distanza tra le retribuzioni delle due tipologie di lavoratori: in Italia la differenza è tra le più ampie, mentre si riduce quasi a zero in Norvegia e in Svizzera.

► Aggiornamenti sullo stipendio italiano

Questa interessante analisi dell’Economist non fa altro che suscitare ulteriori dubbi su quanto sia possibile fare in Italia per trovare una soluzione al problema della mancanza di lavoro: forse non si dovrebbe procedere solo ad una riduzione del costo del lavoro, ma sarebbe anche utile pesare ad una redistribuzione di questa ricchezza.

I ricchi stagisti di Google, Amazone Microsoft

 In Italia la maggior parte dei neo laureati, e non solo, possono ambire al massimo a guadagnare, almeno per i primi tempi, cifre che a malapena sfiorano i 500 euro al mese. Ma succede in Italia, dove sono anche servite delle apposite leggi per evitare che le aziende assumessero stagisti e tirocinanti senza alcun tipo di retribuzione.

► Classifica dei brand che valgono di più al mondo

In altre parti del mondo non funziona così, come ha evidenziato una ricerca del sito di lavoro Glassdoor. Secondo quanto riportato dal sito, infatti, gli stagisti che lavorano in posti come Google, Amazon o Microsoft sono pagati molto di più: i loro stipendi mensili, in base alle specializzazioni e al tipo di lavoro che sono chiamati a svolgere, vanno dai 5.800 ai 6.700 dollari al mese.

Impiegati per un periodo di tempo medio di tre mesi, riescono a guadagnare quello che un lavoratore italiano guadagna in circa un anno.

► Ecco quali aziende retribuiscono bene il lavoro

Qual è il motivo di questi stipendi da favola per giovani appena usciti dalle università? È molto semplice: accaparrarsi il meglio del mercato, riuscendo a battere la concorrenza delle altre grandi aziende che operano nello stesso settore – la competizione, infatti, si gioca tra Google, Amazon e Microsoft – e riuscire, così, ad avere in azienda i veri talenti del futuro.

I dati sullo sfruttamento del lavoro minorile

 Ormai, per quanto concerne lo sfruttamento del lavoro minorile è scattato l’allarme. Un dato molto preoccupante è stato rilasciato nei giorni scorsi in seguito a una ricerca condotta dall’Associazione Bruno Martini di concerto con Save the children.

Si parla di ben 260.000 minorenni sotto i sedici anni sfruttati lungo la penisola. Non vi sono, inoltre, differenze tra ragazzi e ragazze.

Basti pensare che il 46% degli under 15 che lavorano sono femmine. Le esperienze di lavoro sono in buona parte occasionali (40%), ma uno su quattro lavora per periodi fino ad un anno e c’è chi supera le cinque ore di lavoro quotidiano (24%). La cerchia familiare è l’ambito nel quale si svolgono la maggior parte delle attività: il 41% dei minori effettua un lavoro nelle mini o micro imprese di famiglia, mentre uno su tre svolge lavori domestici continuativi per più ore al giorno e più di uno su dieci lavora presso attività portate avanti da parenti o amici.

Lavori minorili principali

Tra lavori minorili più svolti fuori dalla propria abitazione segnaliamo i ‘mestieri’ nel settore della ristorazione (18,7%) quali barista o cameriere, seguiti a ruota dalla vendita stanziale o ambulante (14,7%). Minori vengono poi sfruttati nel lavoro agricolo o di allevamento (13,6%) ma anche nei cantieri (1,5%).

Compensi

Meno della metà dei minori che lavorano tra i 14 e i 15 anni ottengono un compenso (45%) e di questi solo uno su quattro lavora all’esterno della cerchia familiare.

Il parere di Susanna Camusso

Secondo il segretario della Cgil, Susanna Camusso, “la prima straordinaria riforma di cui ha bisogno il nostro Paese è quella dell’istruzione. In questi anni abbiamo avuto tagli e i risultati sono davanti a tutti, ad esempio l’aumento della dispersione scolastica”. La scuola può toglere i ragazzi dalla strada?

Sfruttamento lavoro minorile: scatta l’allarme

 Troppo. Assolutamente troppo elevato il livello di sfruttamento del lavoro minorile in Italia, sia in termini di quantità che di ‘qualità’. Parliamo ad oggi di ben 260mila minori sfruttati lungo la Penisola.

In media, si tratta di più di uno su venti, con età inferiore ai sedici anni. Ciò si evince dall’indagine sul lavoro minorile in Italia, messa a punto dall’associazione Bruno Trentin e da Save the Children in attesa di approfondire il tema durante la giornata mondiale contro il lavoro minorile.

Il fenomeno, agevolato dalla crisi economica, è molto diffuso nelle province del Meridione e sulle isole.

Sono 260.000, dunque, i minori costretti a lavorare, nello specifico per ragioni di natura familiare (povertà dei genitori) e per via di un rapporto non positivo con la scuola.

Inoltre, sono ben trentamila i 14-15enni a rischio di sfruttamento. Tutti ragazzi che fanno un lavoro pericoloso per la loro salute, sicurezza o integrità morale, lavorando di notte o in modo continuativo, con il rischio reale di compromettere gli studi e di saltare il riposo necessario. Questi i ‘risultati’ più allarmanti della ricerca.

Il fenomeno del lavoro minorile contempla anche coloro che hanno meno di undici anni (0,3%), malgrado l’incidenza aumenti con l’aumentare dell’età (3% dei minori 11-13 anni).

La vetta di quasi due su dieci minorenni sfruttati (18,4%) si raggiunge tra i 14 e 15 anni, età di passaggio dalla scuola media a quella superiore.

 

Quasi mille esuberi per TNT

 Prende il via in questi giorni il piano di riorganizzazione interna di uno dei grandi nomi della logistica attivi in Italia, la TNT Express, che ha recentemente previsto una riduzione del personale pari a 857 unità su circa 3 mila dipendenti.