Annuario Istat: sempre meno lavoro tra i giovani

 L’Istat ha pubblicato il suo Annuario e, tra i tanti dati sull’Italia, ad attirare l’attenzione sono proprio quelli sull’occupazione. Ancora un disoccupato su tre per gli under 35 (per un totale di circa un milione di persone) e tra gli under 29 la preponderanza di disoccupati tra i laureati, che si assottiglia con l’aumentare dell’età quando il gap viene quasi completamente colmato.

L’Istat ha riportato i dati relativi al 2011 secondo i quali il tasso di disoccupazione tra i 25 e i 29 anni raggiunge per i laureati il 16% e per i diplomati il 12,6%, per una media in questa fascia d’età che si attesta al 14,4%.  Non considerando l’età, ma incrociando solo i dati relativi all’occupazione media con il titolo di studio il tasso di disoccupazione per i laureati è del 5,4% mentre per i diplomati il tasso complessivo è del 7,8%.

Nel complesso l’Annuario dell’Istat mette in evidenza una situazione che non è molto diversa da quella registrata nel 2010: il tasso totale di disoccupazione resta all’8,4%, con punte al sud. Anche il tasso di inattività è stabile al 62,2%. A risentirne maggiormente le donne del Mezzogiorno.

C’è anche una buona notizia, ossia la crescita degli occupati nella fascia di età 35/54 anni che ha fato registrare un aumento di 143mila unità.

Previsioni nuove assunzioni per il 2013 ancora al ribasso

 L’indagine sulle prospettive del lavoro per i primi mesi del 2013 è stata effettuata da ManpowerGroup che ha coinvolto 1.000 datori di lavoro di imprese con sede in Italia. I risultati sono quasi catastrofici: da quanto emerso la previsione sull’occupazione si attesta su un -11%  – il livello più basso raggiunto dal 2003 – più debole del 2% rispetto al trimestre precedente e del 4% rispetto allo stesso periodo del 2012.

I datori di lavoro vivono ancora in uno stato di incertezza e questo si ripercuote sulla possibilità di avviare nuove assunzioni. Il 75% dei datori di lavoro intervistati non ha in progetto un aumento del proprio organico, il 18% prospetta una sua riduzione e solo il 6% degli intervistati pensano che nel prossimo anno potranno essere in grado di dare lavoro ad altre persone.

A trainare le nuove, poche, assunzioni sono i comparti dell’Elettricità, del Gas e dell’Acqua (+10%), i settori Agricoltura, Caccia, Selvicoltura e Pesca dichiarano i programmi di assunzione più deboli, con una previsione del -27%Costruzioni, Commercio all’Ingrosso e al Dettaglio vanno appena meglio, ma anche i questo caso la previsione è del -23%. Deboli anche le prospettive di crescita per i settori Ristoranti e Alberghi e Minerario ed Estrattivo, con percentuali che si attestano al -16%.

Stage: solo uno su dieci si trasforma in lavoro

La situazione che emerge dallo studio condotto da Unioncamere attraverso il sistema informatico Excelsior conferma quello che i giovani italiani sanno già molto bene: le aziende che, dopo il primo periodo di stage, offrono un contratto di lavoro sono pochissime. Nello specifico, solo un giovane su dieci riesce ad ottenere ilo tanto agognato posto di lavoro dopo aver prestato servizio gratis all’interno dell’azienda.

Nonostante gli stage e i tirocini siano delle modalità di formazione molto utilizzate da aziende e società italiane (molto sfruttate dalle grandi aziende, quelle con più di 500 dipendenti, meno dalle aziende più piccole), il paradosso è che dopo la fine del periodo di formazione questa forza lavoro fresca e preparata viene rispedita a casa. Succede in condizioni normali, e succede, a maggior ragione, in periodi di difficoltà economica come quello che stiamo vivendo.

A parità di richieste di stagisti e tirocinanti, quest’anno ad essere riconfermati sono stati 32 mila e cinquecento giovani, contro i 38 mila dello scorso anno. Il comparto in cui è più facile trovare uno stage e essere riconfermati dopo è quello dei servizi (trasporto, logistica e magazzinaggio), male invece l’industria, la sanità e l’istruzione, comparti in cui la possibilità di rimanere a lavorare nell’azienda che ha ospitato lo stage oscillano tra il 28 e il 6%.

 

Fiat Auto Poland taglia 1.500 posti di lavoro

 Lo stabilimento polacco di Tychy taglierà 1.500 posti di lavoro. La riduzione del personale è stata comunicata ieri ai sindacati dai quadri dell’azienda, che hanno anche espresso la volontà di trovare una soluzione per una ottimale gestione degli esuberi.

1.500 dipendenti vuol dire un terzo del personale in forze allo stabilimento. Lo stabilimento di Tychy è sempre stato preso a modello di efficienza per gli stabilimenti italiani ma l’andamento dei mercati e le previsioni negative stanno determinando delle forti difficoltà in Fiat Auto Poland che vede ridotta la sua produzione a fronte di una domanda minore, nonostante

Fiat 500 continui ad essere una delle vetture più apprezzate nel suo segmento e che continui nello stabilimento la produzione della Lancia Ypsilon e della Ford Ka, sarà necessario modificare l’organizzazione dello stabilimento passando da tre a due turni lavorativi, e rivedere la struttura commerciale che sarà adattata allo scenario attuale

Il problema è la produzione della Panda: le vendite sono aumentata, ma il modello nuovo è prodotto in Italia, a Pomigliano, nello stabilimento polacco si produrrà solo il vecchio fino a fine dicembre, per dare modo agli stabilimenti italiani di assumere i lavoratori campani, e non solo, che in questo momento sono in cassa integrazione (1.400 i lavoratori ancora in cassa integrazione a Pomigliano, che dovrebbero essere assunti entro il luglio del 2013, i 2mila assunti alla Fip, più i dipendenti di Melfi e Cassino).

 

 

Record cassa integrazione: un miliardo di ore da inizio anno

 La stima fatta dall’Inps nel mese di ottobre si è rivelata più che precisa: le ore di cassa integrazione richieste ha superato il miliardo prima della fine dell’anno.

Nel mese di novembre si è registrato un aumento delle richieste di cassa integrazione del 5,1% rispetto ad ottobre del 2012 e del 27,5% rispetto a novembre del 2011. Peggiora la situazione l’impennata delle richieste di disoccupazione, che nel mese di ottobre sembrava essersi arrestata: i datti rivelano un aumento del 12,84% su ottobre 2011 e del 47,68% rispetto a settembre 2012. Cresce anche il numero di richieste di mobilità, con un +69,47% tendenziale e un +67% sul mese precedente.

Si conferma rafforzata la tendenza all’aumento di richieste di cassa integrazione riproponendo l’andamento del 2010, quando furono autorizzate 1,2 miliardi di ore, piuttosto che quello del 2011, quando non venne raggiunto il miliardo. La difficoltà del sistema produttivo e del mercato del lavoro si misura tutta in questi dati.

Questo il commento del presidente Inps Antonio Mastrapasqua, che sottolinea anche che l’aumento tendenziale delle richieste è dovuto, in larga parte, alle autorizzazioni del settore industriale, seguito da quello edile.

Anche il commento della Cgil è dello stesso tono di quello di Mastrapasqua e evidenzia come questo aumento sia un vero allarme sociale che necessita di interventi mirati, soprattutto per quanto riguarda gli ammortizzatori sociali, nell’immediato.

E’ urgente  – commenta Serena Sorrentino, segretario confederale – rifinanziare adeguatamente gli ammortizzatori sociali in deroga, vista l’incidenza della crisi quanto stanziato basterà solo per i primi mesi del prossimo anno.

 

Nessuna stabilizzazione di massa per i precari delle P.A.

 Dalle ultime analisi i precari della Pubblica Amministrazione sono 260.000 (130.000 precari nella scuola, 115.000 nella sanità e enti locali e 15.000 nelle amministrazioni centrali) tutti con contratti ascrivibili alla categorie flessibili, per i quali non è possibile pensare ad una stabilizzazione di massa.

Non c’è alcuna possibilità di una risoluzione immediata della situazione, che dovrà essere affrontata con gradualità, onde evitare di andare contro il dettato costituzionale e, soprattutto, evitare di chiudere l’accesso ai giovani alle pubbliche amministrazioni.

In prospettiva dobbiamo pensare a una migliore allocazione del personale e a migliore produttività dell’amministrazione pubblica.

Tra le varie soluzione che sono allo studio del ministero è la possibilità, per il personale in eccedenza sulla base della spending review, di andare in pensione con le vecchie regole, solo nel caso, però, in cui abbiano i requisiti minimi richiesti entro il 2014.

E’ uno strumento di gestione delle eccedenze. Abbiamo avuto per decenni riorganizzazioni nel privato a carico del pubblico. Ci sono state masse di dipendenti che sono passate a carico della spesa pubblica con le riorganizzazioni industriali. Che lo Stato per riorganizzare sé stesso possa procedere alla gestione delle eccedenze anche mandando in pensione persone con requisiti diversi non lo trovo scandaloso.

Cala l’occupazione anche nel settore agricolo

 L’agricoltura è stato l’unico comparto dell’economia in cui i posti di lavoro sono aumentati nella prima parte del 2012, ma il trend positivo si è, purtroppo, arrestato nel terzo trimestre del 2012 con una flessione tendenziale del 4,3 per cento, che corrisponde a 38 mila lavoratori in meno tra luglio e settembre.

Secondo la Cia (Confederazione italiana agricoltori) questo calo sarebbe dovuto all’aumento esponenziale degli oneri fiscali, all’impennata dei costi produttivi che si sommano alle difficoltà del comparto causate dalla siccità che ha bruciato interi raccolti.

Più precisamente, la classe più colpita da questa emorragia di posti di lavoro sono stati gli autonomi (-9,8 per cento), soprattutto nelle zone del centro Italia. La Cia vede il settore agricolo in affanno a causa della mancanza di interventi adeguati che hanno provocato un appesantimento della gestione aziendale, soprattutto a discapito delle piccole imprese.

La situazione dell’agricoltura sta profondamente cambiando: la crisi e le difficoltà legate all’aumento della pressione fiscale rende impossibile la sopravvivenza delle realtà minori che o si trovano costrette a chiudere o si piegano all’assorbimento da parte di aziende più grandi, le quali, quindi, possono assumere manodopera, ma non ai ritmi tenuti nella prima parte dell’anno.

i paradossi italiani: 65mila posti di lavoro vacanti

 Il motivo di questa discrepanza? Non si trovano le figure professionali adatte a ricoprir le diverse mansioni richieste.

Questo è quanto emerge dall’analisi annuale del  Sistema informativo Excelsior di Unioncamere  e del Ministero del Lavoro, secondo la quale anche nel 2012, il 16,1% delle assunzioni non stagionali previste dalle imprese rimane scoperto.

Tra le figure professionali maggiormente ricercate ci sono progettisti informatici, analista programmatore, sviluppatore di software, progettisti meccanici, revisore contabile, tutti lavori per i quali è richiesta un’alta formazione. Ma mancano candidati anche per quanto riguarda per cui non è richiesta la laurea come termoidraulici, tessili, elettrotecnici e camerieri.

Anche quest’anno dai dati Excelsior emerge un paradosso: pur in presenza di una contrazione dell’occupazione, una parte non marginale della domanda di lavoro delle imprese comporterà difficoltà nella ricerca del candidato più idoneo – sottolinea il segretario generale di Unioncamere, Claudio Gagliardi. E’ un paradosso che rende sempre più urgente intervenire con un cambio di passo del mondo della formazione: serve uno sforzo straordinario per offrire a tutti i giovani la possibilità di conoscere dal di dentro il mondo dell’impresa e, nello stesso tempo, far apprezzare alle imprese il proprio talento. E’ necessario in definitiva organizzare anche in Italia in maniera sistematica percorsi di apprendimento in azienda completamente integrati nel curriculum formativo.

La produttività del lavoro cresce ma è sotto la media

 L’Istat ha pubblicato i dati sulla produttività del lavoro del 2011. Nel complesso si registra una crescita dello 0,4%, da suddividersi in produttività del lavoro e produttività del capitale.

La produttività del lavoro – che si calcola come valore aggiunto per ora lavorata – nel 2011 è crescita dello 0,3%, mentre la produttività del capitale – definita come rapporto tra il valore aggiunto e l’input di capitale – ha registrato un aumento dello 0,7%. Rapportando questi due fattori si ottiene la crescita nel valore aggiunto attribuibile al progresso tecnico, alla conoscenza e all’efficienza dei processi di produzione, pari allo 0,4% di cui sopra.

Anche se si tratta comunque di un dato positivo, se la produttività viene rapportata al periodo 1992-2011 si nota una leggera flessione: il totale della produttività si assesta nel periodo al +0,5%, come risultante dell’incremento del valore aggiunto (+1,1%) e della crescita media. La crescita di questo periodo è dovuta sia all’accumulazione di capitale e all’aumento della produttività totale dei fattori, tutte variabili che hanno mostrato un cedimento nel corso dell’anno passato.

 

Il nuovo esecutivo non cancellerà la riforma del lavoro

 Entro i primi mesi del prossimo anno un nuovo esecutivo salirà al governo e l’attuale compagine di tecnici che sta lavorando per risollevare le sorti dell’Italia tornerà alle precedenti occupazioni. In questo anno in cui è stato al potere il governo Monti ha messo a punto delle importanti manovre che stanno lentamente cambiando il volto del mondo del lavoro in Italia: alcune discusse e invise, altre attese e ben accette, ma comunque fondamentali.

E’ il Ministro del Welfare Elsa Fornero al convegno promosso da Confindustria Trento a parlare della riforma del lavoro, della sua importanza e del perché ciò che è stato fatto deve essere mantenuto.

La riforma del lavoro non sarà cancellata dal prossimo Governo: il Ministro Fornero sottolinea i vantaggi per la produttività e i giovani.

Io credo che il prossimo governo non farà a fette le mie riforme. Tornare indietro sarebbe un’operazione pericolosa e, in ogni caso, non lo permetteranno le condizioni esterne, né i prossimi decisori saranno così ”miopi” da farlo.

Ha detto la Fornero per quanto riguarda due punti fondamentali della riforma, quello della stabilizzazione finanziaria e dell’equità tra le generazioni. Il ministro ha poi continuato parlando di flessibilità in azienda:

La riforma ha introdotto un po’ più di stabilità, accompagnata da un po’ più di flessibilità, specie in alcune aree troppo protette. La riforma non punta ad una restrizione di flessibilità, ma ad un contrasto alla precarietà.