Jobs Act, cosa cambia per le partite Iva dopo l’approvazione

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 Dopo che è stato approvato il 20 marzo il decreto sul Jobs Act di Matteo Renzi, con gli interventi sui contratti a termine e apprendistato, è tornato fortemente alla ribalta il tema della partite Iva. Iniziando dal bonus di 80 euro in busta paga ai dipendenti. «Anche il lavoro indipendente deve beneficiarne», propone sul proprio sito l’Acta, associazione del terziario.

Il ministro del lavoro Poletti si è espresso in merito: «I precari veri sono le partite Iva fasulle», i lavoratori autonomi che svolgono mansioni da dipendente, con orari e postazione fissi, con un unico datore di lavoro. Le norme sui contratti determinati contenute nel Jobs Act dovrebbero, secondo il ministro, portare l’azienda a non far aprire partita Iva per non pagare i contributi visto che può assumere per 3 anni a tempo determinato.

Jobs Act, priorità a contratti e apprendistato, poi gli ammortizzatori

Ma la materia è articolata e le considerazioni di Poletti non sembrano capire la questione. La natura della partita Iva nell’ultimo decennio è totalmente modificata. Dopo la proliferazione che ha portato a includere nella categoria anche infermieri, dottori, parrucchieri, giornalisti ecc.. E sono ormai in molti a pensare che questo cambiamento debba portare a una riforma della categoria. Anzitutto sul regime contributivo.

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Con la tassazione attuale si arriva a pagare acconti tra il 100 e il 102 % e un Inps troppo cara e senza le tutele. Si va oltre un milione e mezzo. Vera cassa per lo Stato. Nel 2013 sono state aperte 527mila nuove partite Iva. Di queste il 78.4% sono di persone fisiche e il 50% di giovani sotto i 35 anni.

 

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