La riforma del lavoro basata sul modello tedesco

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La Germania viene presa come modello di riferimento per stabilire la nuova riforma del lavoro in Italia: si guarda con positività al sistema dei sussidi di disoccupazione ordinaria, ai mini-job, ossia contratti di lavoro ad orario ridotto e bassi stipendi, alla riforma degli uffici di collocamento pubblici, al reddito minimo assicurato per chi non ha lavoro, a contratti di lavoro più flessibili, e ad un sistema di tassazione locale riformulato.

Questo l’intento comunicato dal premier Renzi, da alcuni appoggiato, da altri osteggiato. Il presidente del Consiglio, qualche giorno fa, ha detto: “L’Italia farà le riforme mantenendo il limite del 3% e utilizzando la flessibilità che l’Ue ci consente di utilizzare. Sul lavoro la Germania è un nostro modello, non un nostro nemico. E il problema non è l’articolo 18 che riguarda 3000 persone in Italia”. E ancora: “La Banca centrale europea il 18 settembre darà 200 miliardi di euro alle banche perché li diano alle imprese. E noi vigileremo perché le banche diano soldi alle imprese”.

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L’Italia, quindi, guarda alla Germania come esempio a cui ispirarsi per la riforma sul lavoro ma c’è chi esorta a farlo anche sulle pensioni, che solo qualche mese fa in Germania hanno avuto un cambiamento aprendosi ad una maggiore flessibilità e permettendo la possibilità di uscita anticipata. La  riforma delle pensioni tedesca pare aver messo in atto ciò di cui in Italia si discute da mesi, ma contro cui, sin dal principio, si è ‘schierato’ il ministro dell’Economia italiana Padoan, sostenendo che anticipare l’età di pensionamento nel nostro Paese come fatto in Germania non porterebbe nessun effetto positivo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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