I quattro rischi per l’economia mondiale

 Nel 2013 la crescita media globale si avvicinerà al 3% ma la ripresa consterà di più velocità.

Occorre fare una differenziazione tra le economie avanzate e i mercati emergenti. Il primo gruppo potrà vantare a fine 2013 un tasso annuale dell’1%, inferiore di qualche punto. Il secondo gruppo presenterà invece un tasso vicino al 5%”.

A frenare la crescita ci si metteranno le problematiche locali, per cui di fatto non si potrà pensare al 2013 come all’anno della rivalsa economica.

Austerity

Le parole chiave sono ancora una volta “austerità fiscale” e “crescita lenta”. Su questi binari passerà il trend annuale, non solo in Europa ma anche negli States.

RISCHI

Vale dunque la pena illustrare quelli che sono i quattro rischi per l’economia mondiale nel 2013. Ne abbiamo contati quattro:

Primo rischio

Spostiamoci negli Stati Uniti, dove il mini-deal sulle tasse e il tetto del debito, il ritardo nelle politiche di aggiustamento automatico della spesa, nonché l’assenza accordo sulla spesa statale impediranno di fatto alle istituzioni di funzionare. Le conseguenze per i mercati statunitensi, di riflesso potrebbero essere molto negative e comportare un aumento della pressione fiscale.

Secondo rischio

Occorre tornare in Europa. Da una parte, le azioni della Bce hanno reso meno forti i rischi per la Zona Euro. D’altro canto, però, l’uscita della Grecia o la perdita dell’accesso al mercato per Italia e Spagna continuano a creare problemi all’unione monetaria.

Terzo rischio

Occorre soffermarsi sul modello di crescita cinese, che manca di un sostanziale equilibrio e che risulta insostenibile. Il modello di crescita della Cina comporta inevitabili eccessi in fase di export e investimenti fissi, nonché alti tassi di risparmio e bassi consumi. Reggerà solo se sarà corroborato da stimoli fiscali e sostegno monetario.

Quarto rischio

Appare opportuno soffermarsi sul Medio Oriente. Tutta la zona contempla instabilità di natura sociale, economica e politica. Non è ancora stato risolto il problema della Primavera Araba, così come non è stato risolto il conflitto tra Israele e Stati Uniti. Tante, dunque, sono le incognite da decifrare.

Un altro miliardo di rimborsi da parte di Barclays

La cifra diventa sempre più consistente. Aumenta di mese in mese. Ora, il top managment di Barclays spera che basti per riconquistare la fiducia dei risparmiatori e ridare un volto amichevole dopo gli scandali inerenti alla manipolazione dei tassi di interesse, alla vendita irregolare di prodotti assicurativi e di interest rate swap per le piccole e medie aziende.

Ora, la banca britannica ha dichiarato che metterà da parte un altro miliardo di sterline (circa 1,16 miliardi di euro al cambio attuale) per coprire le lamentele dei clienti ai quali sono stati venduti irregolarmente dei prodotti finanziari; nel complesso si sale così ben oltre i 2 miliardi inizialmente previsti dagli analisti, cioé intorno a 3,6 miliardi.

I nuovi rimborsi

Nello specifico, altri 400 milioni di sterline, per un totale di 850, saranno accantonati per restituire i rimborsi alle piccole e medie imprese a cui hanno venduto prodotti di copertura rispetto alle variazioni dei tassi di interesse. Non più tardi di una settimana fa la Fsa (Financial Services Authority), l’Autorità di vigilanza finanziaria d’Oltremanica, aveva dichiarato di aver completato la revisione di 173 prodotti derivati di copertura piazzati dalle maggiori banche alle piccole e medie imprese, e di aver scoperto che il 90% non erano a norma con i requisiti regolamentari.

Altri 600 milioni verranno invece depositati, anche in questo caso con effetto sul bilancio del 2012, per mettere a tacere i contenziosi circa la vendita forzata di assicurazioni sul credito chiamate Ppi (Payment protection insurance). Tali prodotti sono assicurazioni che coprono l’eventuale malattia o la perdita del lavoro da parte dei sottoscrittori di mutui o carte di credito. Il totale di questa voce sale così a 2,6 miliardi di sterline. Complessivamente, dunque, l’industria finanziaria del Regno Unito ha dovuto mettere mano al portafogli per circa 13 miliardi per fornire i rimborsi ai clienti costretti illegalmente a queste coperture.

Durante il fine settimana, successivamente ad un’ulteriore indagine riguardante la raccolta di capitali emiratini al culmine della crisi finanziaria, la stampa inglese ha riportato alcune indiscrezioni sulla prossima dipartita dalla banca di Chris Lucas, dal 2007 direttore finanziario, e Mark Harding, general counsel. Barclays aveva già perso i vertici, compreso il numero uno Bob Diamond, ai tempi della multa da 450 milioni di dollari relativa alla manipolazione del tasso Libor. Ora la banca è guidata da Antony Jenkins, che ha rinunciato a quasi 3 milioni di bonus sul 2012 “poiché sarebbe sbagliato riceverli dopo un anno di scandali”.

Cina dà l’ok all’elezione dei Sindacati

E’ un evento! E’ la prima volta che una grande azienda locata in Cina permetterà agli operai di eleggere i propri rappresentanti sindacali.

Per l’universo del lavoro cinese si tratta senza dubbio di una svolta storica.

Un caso raro, che in qualche modo coinvolge tutto il mondo. Il gruppo asiatico che ha deciso di dire “sì” al sindacato è la Foxconn, l’azienda più grande del mondo, la quale vanta oltre 1,2 milioni di dipendenti solo in Cina. La “caduta del muro” anti-sindacale nella seconda economia globale, in allarme per la diminuzione senza precedenti della forza-lavoro, oltre che per piccole e medie imprese nazionali, dichiara di voler portare enormi cambiamenti anche per le multinazionali, le quali assieme ai bassi costi produttivi per trent’anni hanno dovuto fare i conti sull’assenza di conflittualità sindacale.

L’annuncio di prossime elezioni dei rappresentanti dei lavoratori alla Foxconn è stato anticipato in maniera ufficiosa da tre dirigenti del colosso con sede in Taiwan, primo produttore mondiale di elettronica per conto terzi.

Tra i suoi brand menzioniamo Apple, Sony, Nokia, Dell e i marchi di maggior successo di telefonia e computer.

Una volta trascorse le ferie previste per il capodanno lunare cinese, verso metà febbraio, all’interno degli stabilimenti Foxconn inizieranno i corsi per spiegare agli operai come e perché potranno eleggere liberamente, e a scrutinio segreto, i propri sindacalisti.

Usa fanno causa a Standard & Poor’s

 Barack Obama e i suoi faranno guerra a Standard & Poor’s. Le autorità statunitensi, infatti, hanno deciso di intentare una causa nei confronti del colosso del rating, reo secondo la Casa Bianca di aver fornito una valutazione positiva sui mutui ipotecari di alcune banche che hanno provocato la catastrofica crisi finanziaria che ha condotto l’America sull’orlo del baratro 5 anni or sono.

Parliamo, naturalmente, della crisi che è passata alla storia come la crisi dei ‘subprime‘.

Il Wall Street Journal ha reso nota la notizia: in base a quanto riportato sulle colonne del giornale l’azione legale dovrebbe essere avviata entro la fine della prima settimana di febbraio tanto a livello federale quanto a livello statale.

A presentare le carte in tribunale, infatti, sarà il dipartimento alla Giustizia di concerto i procuratrori di molti Stati Usa. Nello specifico l’agenzia americana, per via delle prove, alle testimonianze e alle decine di e-mail inglobate in anni di indagini è accusata di aver erogato giudizi e valutazioni eccessivamente rosee in relazione a migliaia di mutui subprime.

Mutui che successivamente sono stati ceduti da alcune banche di investimento poco prima che accadesse il grande collasso del mercato americano dei titoli immobiliari.

Un collasso che causò una grave instabilità del sistema finanziario americano e mondiale. Instabilità sfociata in una gravissima crisi economica.

Al fine di indagare sui fatti gli Stati Uniti formarono una commissione  che prese il nome di Financial Crisis Inquiry commission, la quale  nel 2011 formalizzò una conclusione molto precisa: le agenzie di rating hanno evidenti responsabilità per quello che è accaduto dal 2008 in poi. Sembrano essere implicate anche Moody’s e Fitch, le quali non sono però per il momento oggetto di azione legali.

 

Economia zona euro in ripresa

 Giungono buone notizie da Markit. Pare che finalmente l’economia che afferisce all’Area dell’euro sia in ripresa.

I direttori acquisti delle principali aziende hanno asserito di essere molto più ottimisti rispetto al passato e di aspettarsi un periodo di crescita.

In primo luogo occorre segnalare che l’indice PMI composito di Markit per l’area dell’euro, inteso come buon indicatore della crescita, è aumentato a gennaio al massimo di 10 mesi a 48,6 dal 47,2 di dicembre. Si tratta di un miglioramento rispetto alla lettura precedente di 48,2.

Ciò non toglie che tra le diverse economie statali vi siano dei divari ancora incolmabili.

L’industria privata che rappresenta quasi i due terzi dell’economia della zona euro, denota un profondo gap tra la Germania, prima economia europea, e la Francia, seconda economia europea.

Il capo economista di Markit, Chris Williamson, ha dichiarato che il blocco euro sta mostrando chiari segni di guarigione, con l’allentamento che ha di fatto reso più difficoltoso l’andamento in gennaio.

Ora siamo comunque più vicini alla stabilizzazione nel primo trimestre.

Il capo economista ha poi aggiunto che “in ogni caso la crescita è fortemente a vantaggio della Germania, dove il contrasto con la contrazione visto in Francia è il più grande visto da quando l’indagine è iniziata nel 1998.”

Il PMI composito tedesco ha messo in evidenza la crescita mensile più grande dall’agosto 2009, segnando il massimo dal giugno 2011. Invece nella vicina Francia l’indice è crollato ai minimi in quasi quattro anni.

Il PMI del settore servizi della zona euro, il quale rappresenta circa la metà dell’economia del blocco, è salito a un massimo di 10 mesi a 48,6 dal 47,8, sopra una stima flash di 48.3.

Morgan Stanley si preoccupa per l’Italia

Now we’re getting worried (“Ora ci stiamo preoccupando”). E’ questo quanto detto da Laurence Mutkin, “rate strategist” di Morgan Stanley, in una nota.

L’economista è preoccupato che la crisi europea, di tutta l’Europa, ma in particolare di Italia e Spagna, possa ulteriormente aggravarsi e dà due motivazioni: il rialzo dei tassi di mercato e l’apprezzamento dell’euro.

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Il rialzo dei tassi di mercato

Le banche hanno iniziato a restituire una parte del mega-prestito alla BCE. Si tratta di 139 miliardi di euro che le banche stanno rimborsando e che se da un lato può essere letta come un segno di stabilità da parte delle banche, secondo Mutkin, è, invece, una sottrazione di liquidità ad un’economia ancora lontana dalla ripresa, che potrebbe avere l’effetto di un nuovo rialzo dei tassi dei tassi di mercato: vendita di bond e bonos che farà alzare nuovamente lo spread con in bund tedeschi.

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Apprezzamento dell’euro

Il fatto che una moneta sia forte non è sempre positivo. Nel caso dell’euro, che sta raggiungendo la soglia critica dell’1,40 nel cambio con il dollaro, si tratta di un forte pericolo per le esportazioni, soprattutto per i paesi dell’Europa Meridionale.

 

Internet diventa a pagamento

 Tutte le volte che trapela un’indiscrezione sulla possibilità che uno dei servizi di Internet disponibili gratuitamente possano diventare a pagamento il popolo degli internauti si mobilita. Ma il marketing ha delle regole ferree alle quali i grandi inventori di app e di piattaforme per il web non possono sfuggire.

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Il caso del giorno è quello di WhatsApp, l’applicazione che permette di chattare gratuitamente con i contatti della propria rubrica telefonica, dopo aver scaricato e installato gratuitamente l’applicazione sul proprio smartphone. In questi giorni è circolata l’indiscrezione sul pagamento di un possibile canone annuale per il suo utilizzo.

Quello che però forse tutti non sanno è che non si tratta di un’indiscrezione: quando si scarica WhatsApp sul proprio telefono si dovrebbero anche leggere le condizioni del servizio in cui è chiaramente indicato che l’applicazione, dopo i primi 12 mesi, diventa a pagamento: 79 centesimi per i possessori di smartphone Android e 89 per quelli Apple.

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Un costo che è davvero molto contenuto rispetto a quello degli sms ma che ha comunque fatto infuriare tutti gli utenti del web. Internet ha il suo valore proprio perché la maggior parte di quello che è disponibile in rete è gratuito, a libero accesso, quindi per i patiti della chat e dei social network (sia Facebook che altri hanno provato a far diventare le loro piattaforme a pagamento) ne fanno una questione di principio, non di denaro.

 

Le banche inglesi dovranno risarcire le PMI

 Sotto accusa alcune delle più grandi banche del Regno Unito (Barclays, Hsbc, Lloyds e Rbs) che sono state accusare di aver venduto titoli swap a piccoli e medi imprenditori che sono risultati irregolari nel 90% dei casi. La Financial Services Autorithy, l’Autorità che vigila sui mercati finanziari, ha indagato su 173 prodotti finanziari, constatando un elevatissimo tasso di irregolarità, ragione per la quale i clienti hanno diritto ad un rimborso.

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La maggior parte di questi prodotti sono interest rate swaps, una sorta di assicurazione contro l’oscillazione dei tassi di interesse. Il problema che è stato riscontrato, così come raccontano alcuni testimoni, è che questi prodotti venivano proposti dalle banche come pre-requisiti fondamentale per avere accesso a prestiti e mutui da parte degli istituti. Altri banche, invece, avrebbero fatto pagare delle commissioni molto pesanti per chi decideva di recedere il contratto.

Il processo di revisione delle procedure è stato supervisionato da analisti indipendenti ed ha portato gli istituti coinvolti nello scandalo (l’ennesimo) a disporre 12 miliardi di sterline come rimborso per tutti coloro che si sono affidati alle banche e si sono trovati, invece, ad essere truffati invece che aiutati.

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Si tratta dell’ennesima batosta al mondo delle banche internazionali, dopo i tanti miliardi che molti istituti hanno già dovuto pagare come multa per lo scandalo sulla manipolazione dei tassi di interesse.

Brusca frenata dell’economia americana

 Nessuno se lo aspettava. Le stime di crescita del Pil americano erano del +1%. E la prima volta che accade dopo circa un anno in cui l’economia americana stava dando segnali, anche se deboli, di crescita.

Ora sul paese si affaccia nuovamente la paura della recessione.

Secondo gli analisti questa brusca frenata è stata causata dalla forte riduzione della spesa pubblica -caduta del 15%, una flessione che non si vedeva dal 1973-  e dal dibattito che ha coinvolto l’amministrazione Obama proprio su temi particolarmente delicati per l’economia come il fiscal cliff e il tetto del debito.

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Tutti sorpresi, a maggior ragione se si pensa che la crescita del terzo trimestre del 2012 è stata pari al 3,1%. Nel complesso, comunque, la crescita degli stati Uniti per il 2012 è stata del 2,2%, in accelerazione rispetto all’1,8% del 2011. Sarà per questo che alla Casa Bianca non si sono visti segni di preoccupazione.

Il capo-economista Alan Krueger, dal suo blog, ha voluto rassicurare il suo popolo, dicendo che questo calo, seppur imprevisto, è stato provocato da eventi straordinari (come l’Uragano Sandy e il dibattito sul Fiscal Cliff) e che, quindi, nel complesso l’economia a stelle e strisce sta reagendo bene alle misure prese dal governo e negli ultimi 14 trimestri l’economia è cresciuta del 7,5%.

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Anche se, sottolinea Krueger, il Congresso deve cercare di darsi un budget maggiormente sostenibile e compiere investimenti per la promozione della crescita e dell’occupazione.

Barroso lancia allarme lavoro per l’Europa

 Il lavoro è la priorità di tutte le istituzioni politico sociali italiane ed europee. Senza lavoro non può esserci crescita e senza crescita non può esserci ripresa economica. Ma, nonostante i tanti sforzi che si stanno facendo in questo ultimo periodo, la situazione rimane molto preoccupante.
200 milioni di disoccupati

A confermare l’importanza di questo problema e la necessità di prendere delle misure ancora più mirate, è Manuel Barroso, presidente della Commissione Europea che è intervenuto questa mattina al Parlamento Europeo. Si tratta di una vera e propria emergenza sociale, in cui sono 12 i paesi dell’Unione -su un totale di 27- in cui la disoccupazione giovanile è superiore al 25% del totale.

Servono misure europee più forti, per continuare sul percorso già intrapreso dalla Comunità Europea, che fino ad ora, hanno portato a degli ottimi risultati. In questo caso Barroso si rivolge agli scettici che avevano preventivato la morte dell’euro.

Da fine 2012 la Ue e l’Eurozona hanno iniziato a uscire dalla crisi, gli indicatori sono migliorati, ma dobbiamo dire che non ci possiamo fermare perché la situazione resta molto grave, soprattutto quella della disoccupazione.

Dati Ilo su occupazione mondiale

Il lavoro della Comunità Europea e degli stati membri non deve, quindi, essere considerato terminato, ma la strada è quella giusta e sono state già messe in funzione delle squadre d’emergenza per aiutare i paesi che si trovano a fronteggiare le situazioni più difficili.