Economia, Renzi abbassa le stime di crescita

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Il Presidente del Consiglio Matteo Renzi ha già abbassato, seppur ufficiosamente, le stime di crescita dell’economia italiana dal +1,6% previsto nel Documento di economia e finanza (Def) di novembre al +1,4%.

Renzi ha, tuttavia, spiegato ieri che per la prima volta dopo sette anni, il rapporto tra debito pubblico e pil diminuirà, anche se meno di quanto imposto dal Fiscal Compact.

In verità, nemmeno questa revisione al ribasso appare credibile, in quanto un raddoppio della crescita dal 2015 al 2016 non sembra nel novero delle probabilità, tenendo conto del deciso rallentamento in atto tra tutte le principali economie del pianeta, Germania compresa. E tenendo anche conto che l’inflazione nel corso di quest’anno non sarà affatto di quell’1% indicato nel Def, ma probabilmente ruoterà intorno alla metà o anche meno (la BCE si attende un calo tendenziale dei prezzi nei prossimi mesi, tanto che ha già preso atto che non sarà centrato nemmeno la previsione dell’1% per l’Eurozona), i conti (pubblici) non tornano.

A un calcolo superficiale, se la crescita nominale del pil in Italia sarà nel 2016 pari all’1% in meno delle stime, il gettito fiscale potrebbe essere inferiore a quello ipotizzato di circa 6-7 miliardi. A questa somma dovrebbero essere addizionati anche i tre miliardi di spesa per l’emergenza immigrazione, che il governo ha scomputato dal deficit, ma che la Commissione europea potrebbe conteggiare, come probabilmente ci segnalerà a maggio con il giudizio sulla legge di stabilità.

Dunque, l’ipotesi più prudente è che per quest’anno serva una manovra correttiva di 10 miliardi di euro, lo 0,6% del pil. Ma non è tutto. I conti non tornano nemmeno per il 2017, quando entrerà in vigore il Fiscal Compact. Sarebbero necessari fino a una sessantina di miliardi solo per il prossimo anno, se le nuove regole fiscali europee venissero fatte rispettare alla lettera. Ipotizzando che così non sarà, essendo l’Italia in buona e nutrita compagnia di altri paesi non in grado di centrare l’obiettivo di una discesa del rapporto debito/pil del 5% per la parte eccedente il 60%, rimangono alcuni nodi molto grossi da sciogliere legati alle vituperate clausole di salvaguardia.

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