Le ultime previsioni sugli investimenti nell’idrogeno in Europa

L’Europa sembra avere grandi piani per l’idrogeno e, a conferma di ciò, pochi giorni fa sono arrivate le parole della Commissaria europea all’Energia, Kadri Simson, la quale – intervenuta ad una conferenza sul tema – ha confermato che qualsiasi strategia per l’idrogeno debba oggi essere considerata un’agenda di investimento, e che a livello di Unione Europea sono in previsione investimenti tra 320 e 460 miliardi di euro di impieghi entro il 2030.

Idrogeno, una risorsa su cui puntare

Commentando positivamente i passi fin qui effettuati, la rappresentante di Bruxelles ha poi confermato che l’Unione Europea dovrà puntare energie e attenzioni crescenti nei confronti dell’idrogeno, andando ad alimentare aspetti fondamentali come la visione strategica, gli strumenti per la sua attuazione, i finanziamenti per il suo sostegno e l’approccio sempre più integrato e internazionale per farla crescere.

Per quanto concerne le risorse economiche, la commissaria UE ha poi specificato che rispetto alla strategia per l’idrogeno in Europa nei prossimi anni serviranno fino a 42 miliardi di euro di investimenti in elettrolizzatori, fino a 340 miliardi di euro in impianti di produzione elettrica da fonti rinnovabili e fino a 65 miliardi di euro per trasporti, distribuzione, stoccaggio e rifornimento di questa risorsa.

A che punto siamo?

Almeno per il momento, l’Unione Europea non è certo vicina agli obiettivi di investimento succitati. È la stessa commissaria a ricordare come sia necessario accelerare su tali piani, accompagnandoli – peraltro – a investimenti sostenuti nella ricerca e nello sviluppo.

In questo scenario, è inevitabile pensare al fatto che la spinta economica verso l’idrogeno deve avvenire in un’ottica internazionale, collaborando non solamente all’interno della regione, quanto anche con le macro aree territorialmente vicine, al fine di stimolare la sinergia tra più territori e la nascita di progetti transfrontalieri che possano dare il giusto merito alla cooperazione globale.

 

Petrolio e Opec, a rischio i tagli previsti?

Il mercato del petrolio è in subbuglio: è a rischio la prossima riunione dell’Opec Plus e i tagli sui quali era in agenda di trovare un accordo? Si tratta di una domanda lecita visto che il vertice dei paesi produttori doveva essere anticipato a oggi e invece rischia di saltare anche nella sua data originale.

Geneve Invest: il punto sul prezzo del petrolio

Il prezzo del petrolio continua ad essere fortemente legato alle tensioni politiche fra Stati Uniti, Cina e Iran e per questo, nonostante un primo semestre del 2019 cominciato in netta ripresa, gli investitori finanziari continuano a mantenersi prudenti circa le stime per il futuro.

“I prezzi del greggio dovrebbero essere valutati intorno ai 66 dollari al barile per il 2019 e sui 65 dollari al barile nel 2020 – spiegano da Geneve Invest, società di gestione patrimoniale con sede a Ginevra e in Lussemburgo, confermando le stime già rilanciate dalla Banca Mondiale – Si tratta di una previsione un po’ in ribasso rispetto alle prospettive di crescita di inizio anno, che fa i conti con una produzione petrolifera statunitense superiore alle attese e con la disputa commerciale in corso fra Stati Uniti e la Cina, i due più grandi consumatori di petrolio al mondo”. Anche secondo l’OCSE (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) le tensioni commerciali danneggiano le prospettive a breve termine e rendono complessa anche la gestione del mercato sul medio periodo, obbligando i paesi produttori a rallentare la produzione per mantenere i prezzi entro un livello di guardia e stabilizzare il mercato.

“Dall’inizio del 2019 – spiega Omar Liverani, Relationship Manager per Geneve Invest –  il greggio ha registrato un aumento del prezzo quasi del 30%, ma non è ancora riuscito a recuperare il calo del 40% registrato nel quarto trimestre del 2018. L’importante in questa fase è assicurarsi che la crisi fra Stati Uniti ed Iran, e la conseguente diminuzione di esportazioni del greggio iraniano, possa essere compensata, some sembra, dall’offerta di petrolio di paesi OPEC. Nello specifico, si prevede un aumento della produzione di petrolio negli Emirati Arabi Uniti, in Kuwait, in Arabia Saudita e, fuori dall’Organizzazione dei Paesi Produttori, della Russia. A partire da queste dinamiche, chiude il discorso Liverani dalla sede lussemburghese di Geneve Invest, l’outlook economico difficilmente raggiungerà le stime OCSE, che a novembre 2018 stimavano una crescita sino a raggiungere, nel 2019 gli 80 dollari al barile. In questo scenario il prezzo del Brent dovrebbe invece attestarsi intorno ai 70 dollari nel prossimo semestre, a meno di un’escalation militare fra Stati Uniti e Iran che da un lato farebbe esplodere il prezzo del petrolio, anche oltre i 90 dollari al barile, dall’altro avrebbe un impatto molto pesante sui segmenti finanziari più rischiosi, come obbligazioni high yield, ad alto rendimento e mercati emergenti. E’ una prospettiva molto remota, che va monitorata.”

Il prezzo del petrolio in crescita, per quale motivo?

Il prezzo del petrolio sta continuando a salire. In due mesi, partendo da marzo, il costo del greggio è aumentato del 40 per cento ma è un effetto che molti analisti identificano come temporaneo. L’Economist propone un’analisi interessante del fenomeno. 

Petrolio, la ripresa nel 2017?

Sarà l’Asia a trascinare la risalita dei prezzi del petrolio, tuttavia il mercato inizierà a rimettersi in sesto soltanto a partire dal 2017. Le quotazioni del greggio, infatti, sono ancora condizionate da un eccesso di offerta a fronte di un calo della domanda.

Il Petrolio in Cina costa 10 dollari in più

Il petrolio è sceso di molto sotto la soglia di 30 dollari al barile, tuttavia per i consumatori cinesi è come se costasse ancora più di quaranta dollari: per le Autorità, infatti, far diventare il greggio troppo conveniente sarebbe un rischio.