Ecco come vengono trattati i ‘cinesi’ nelle fabbriche di Pomigliano

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 Li chiamano ‘cinesi’. Non dispongono di un contratto, vengono pagati pochissimo e lavorano in condizioni non dignitose. Al loro fianco c’รจ la Fiom, che si batte per i precari senza diritti. In veritร , piรน che cinesi, sono cittadini dell’Est. Ma il concetto rende comunque.

Per essere assoldati le societร  non devono sforzarsi piรน di tanto. Li ingaggiano tramite le agenzie interinali e li utilizzano come ‘tappa-buchi’ nell’organico, senza mai assumerli. Non parlano molto bene l’italiano e questo per i loro ‘padroni’ รจ un ottimo viatico. Spesso sono sposati, con figli a carico o con una famiglia che li aspetta nel loro paese di provenienza alla quale mandano i soldi per il fabbisogno quotidiano. In altri termini, sono tenuti per il collo.

Acquistarli‘, dunque, รจ un affare. Costano poco, lavorano tanto e non sono iscritti ai sindacati. Sono dei veri e propri ‘disperati’. A Pomigliano sono piรน di cento. Tra questi ci sono trenta giovani rumeni, che le aziende si contendono data la loro disponibilitร  fuori dal comene a sottoporsi ai lavori piรน faticosi.

Ma Il loro destino รจ segnato.ย  Vengono assorbiti in fabbrica per qualche mese, ma spesso finiscono per rimanerci. I padroni se li contendono: per loro, i cinesi-rumeni disperati e stakanovisti costituiscono tombola e terno al lotto.