Aziende italiane sempre più “straniere”: rischio o opportunità?

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Pirelli sarà gestita da ChemChina. Pininfarina sempre prossima ad essere acquisita dall’indiana Mahindra&Mahindra. Il trend delle aziende straniere che passano sotto il controllo dei gruppi esteri crea grande preoccupazione tra gli osservatori, anche se non sempre tali preoccupazioni sono giustificate.

Durante gli ultimi anni sono stati soprattutto i cinesi a fare acquisti a man basse di asset italiani. Circa 300 le aziende tricolore passate di mano, compresi brand come il gruppo nautico Ferretti, quelli della moda Krizia e Miss Sicty e, nell’industria, BredaMenariniBus. Poi ci sono le partecipazioni di minoranza acquisite dalla People’s Bank of China in settori strategici come Eni, Enel, Telecom Italia, Prysmian e Fca.
La campagna d’Italia è molto intesa anche tra gli altri Paesi occidentali. Basti pensare a Poltrona Frau finita nelle mani degli americani di Haworth e la pasticceria Cova passata ai francesi di Lvmh. In precedenza avevano varcato le Alpi anche Valentino, Loro Piano, Star, Carapelli, Bulgari, Giugiaro e Lamborghini.

Da più parti si è discusso di “svendita” dei gioielli italiani ed è difficile dar torto a questo orientamento, dato che molte delle operazioni citate sono andate in porto a multipli inferiori rispetto ai competitor internazionali. Un trend giustificato sul mercato dal rischio Italia che si assumono gli investitori (il peso fiscale, la lentezza della giustizia e la burocrazia monstre pesano sulle valutazioni) e dalla debolezza dei consumi interni. Come detto in precedenza, non tutte le preoccupazioni sono giustificate. Sostengono gli esperti:

Detto questo, non sempre le preoccupazioni sono motivate. Di certo lo spostamento dell’headquarter all’estero può portare nel tempo a una perdita di know-how nel nostro Paese, ma non sempre le ricadute occupazionali delle acquisizioni straniere sono risultate negative. Un esempio: quando, nel 1999, Louis Vuitton  acquisì Fendi, tanti osservatori ipotizzarono il declino per il brand romano, che in 15 anni in realtà ha moltiplicato occupazione e fatturato.
Un discorso simile vale per Bottega Veneta e Gucci, mentre Ferrè, acquisita nel 2011 da Paris Group, è finita nel dimenticatoio. Quanto basta per concludere che l’allarmismo sull’italianità dispersa non è sempre motivato (a maggior ragione quando non ci sono offerte alternative provenienti dal nostro Paese). Quel che più conta, insomma, non è la nazionalità del proprietario, ma la qualità del lavoro.

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