Cosa sono e come funzionano i bond taglia bolletta

 Il Decreto del Fare Bis contiene un’importante novità per gli italiani alle prese con le bollette della luce e del gas. Il governo ha infatti studiato un nuovo tipo di obbligazione, i bond taglia bolletta, che permetteranno di dare un taglio alle spese che ogni mese le famiglie e le piccole e medie imprese italiane.

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Cosa sono i bond taglia bolletta?

In pratica lo Stato emetterà una serie di obbligazioni, per un valore totale che potrebbe arrivare a 3 miliardi di euro, ad un interesse annuo del 4%. Le entrate che arriveranno nelle casse dello Stato serviranno per abbattere l’importo della componente A3 delle bollette energetiche (gas e luce), ossia il contributo che le famiglie e le imprese versano a sostegno delle energie rinnovabili.

Come funzionano i bond Taglia bolletta?

Ogni anno le famiglie italiane sostengono un costo aggiuntivo nelle bollette pari a 84 euro per la componente A3, per un totale di 11 miliardi di euro, 6,5 dei quali arrivano a destinazione. Grazie all’emissione di questi bond il costo per le energie rinnovabili, che nel 2015 dovrebbe arrivare al suo picco, non saranno più totalmente sostenuti dalle famiglie, ma spalmato nel tempo e finanziato con le entrate relative ai bond taglia bolletta.

 In campo energetico vince il mercato tutelato

Quindi, quanto si risparmierà con i bond taglia bolletta?

Secondo le previsioni delle principali associazioni di consumatori, per le piccole e medie imprese italiane i risparmio sul conto dell’energia potrebbe arrivare anche al 60/70% di quanto attualmente viene pagato, con la positivissima conseguenza di minor costi di produzione e l’abbassamento dei prezzi al consumo.

Per le famiglie i risparmio sarà molto minore, non più del 7/8%.

Fiat alla ricerca di risorse: arriva il bond in euro

 La Fiat è ancora in trattative con Veba sul prezzo delle azioni della Chrysler che la Fiat deve acquistare per poter arrivare al controllo dell’americana.

Un prezzo che ancora non è stato definito e sul quale c’è molta tensione e forse è stato proprio questo a spingere la Fiat a immettere sul mercato un’obbligazione in euro con scadenza a luglio 2019. Questo bond, infatti, dovrebbe portare al Lingotto le risorse necessarie per l’acquisto del 100% delle azioni della Chrysler.

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Bond Fiat con scadenza a luglio 2019 – Le caratteristiche

Investimento riservato a investitori internazionali

Scadenza: 2019

Taglio minimo: 100.000 euro

Prezzo di emissione: 100 euro

Cedola: annuale a tasso fisso (6,75%) da pagare ogni mese di luglio fino alla scadenza

Prima cedola: ottobre 2014

Oltre che al reperimento delle risorse per l’acquisizione di Chrysler, la Fiata ha emesso questo bond con benchmark da 850 milioni di euro anche per garantire il rimborso del bond Fiat 6,125% in scadenza a luglio 2014 da 900 milioni, il cui attuale rendimento ha beneficiato dell’emissione di questo nuovo bond, arrivando ad un rendimento del 3%.

Il nuovo bond Fiat ha fin da subito mostrato delle ottime performance sui mercati, arrivando a segnare un aumento di prezzo di 0,68 euro, come nella media dei vari strumenti Fiat.

L’epopea del titolo e dell’azienda Fiat

Gli occhi degli analisti sono comunque tutti puntati sulla lunga trattativa tra Veba e Fiat che farà un ulteriore passo avanti quando a Corte del Delaware si pronuncerà sul valore delle azioni Chrysler che la Fiat deve comprare dal fondo.

I bond delle FS piacciono agli investitori

 E’ la prima volta che la società che gestisce la rete ferroviaria italiana decide di lanciarsi in modo diretto nel mondo finanziario con l’emanazione di una serie di nuovi bond. Eppure queste obbligazioni targate Ferrovie dello Stato piacciono parecchio agli investitori istituzionali sia nel nostro paese, sia all’estero. Qualcuno immagina che il successo delle obbligazioni ferroviarie sia dovuto alla novità, ma è davvero così?

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Il bond in questione è stato lanciato sul mercato il 15 luglio scorso e la sua durata è di sette anni quindi la scadenza è prevista per il 2020. La cedola per gli investitori è del 4 per cento ma per essere corretti è necessario spiegare che la prima emissione è stata riservata agli investitori istituzionali.

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Questi non sono certo mancati all’appello e così a fronte di un offerta iniziale di 500 milioni di obbligazioni FS, sono stati raccolti ordini per un totale di 3,6 miliardi di euro. Questa proliferazione della domanda ha consentito di ritoccare al rialzo gli ordini iniziali che sono saliti fino a 750 milioni di euro. In aumento anche il rendimento dei bond che si è assestato sul 4,15 per cento.

Per quanto riguarda la dislocazione geografica degli investitori dobbiamo ricordare che oltre il 50 per cento delle richieste sono arrivate dall’Italia ma sono molto presenti nel nostro paese anche austriaci, tedeschi e inglesi.

I derivati e il caso particolare del Piemonte

 I derivati sono degli strumenti finanziari studiati per fare soldi ma in questo momento sono al centro del dibattito economico perché potrebbero far aprire un altro capitolo della crisi molto importante. Nello specifico, in questa settimana, si è parlato del caso dei derivati in Piemonte.

Nuovo accordo USA – Europa sui derivati

In Tribunale di Londra, infatti, deve decidere della validità di un accordo, che mette sul piatto parecchi milioni di euro, e che coinvolge la Regione Piemonte. Un funzionario della regione italiana, tra l’altro, ha dichiarato all’agenzia di stampa Bloomberg che al momento della firma del contratto, nel 2007, chi ha siglato l’accordo non parlava bene italiano e per questo non ha capito la profondità e la complessità dell’intesa. 

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Riepiloghiamo brevemente l’accordo che è al centro delle considerazioni. Tutto parte dal 2007 quando Mercedes Bresso, presidente della Regione per il PD, ha emesso un’obbligazione del valore di 1,8 miliardi di euro. Al fine di non perdere troppo denaro la Regione Piemonte ha deciso anche di sottoscrivere qualche contratto derivato, che fungesse da assicurazione sulle oscillazioni dei tassi d’interesse, con Merryl Lynch, Dexia e con Intesa Sanpaolo.

Dall’anno scorso però, la Regione ha smesso di pagare gli interessi sull’obbligazione ed ha smesso anche di corrispondere le cedole alle tre banche coinvolte nell’affare, accusandole di truffa. Il TAR, chiamato in prima battuta a pronunciarsi sull’argomento, ha detto di non essere competente in materia finanziaria ed ora è tutto nelle mani dei porporati londinesi.

Un parere UE sui tassi negativi sui depositi

 Esistono i conti correnti per la gestione quotidiana del risparmio e poi esistono i conti deposito usati per accantonare qualche gruzzoletto nella speranza di ricavarne un po’ d’interessi. I conti deposito sono stati di recente al centro di una dichiarazione di un esponente della BCE ma se n’era già parlato dopo il bailout di Cipro che proprio sui conti deposito aveva costruito la sua fortuna.

A tornare sull’argomento è stato il vice presidente della Banca Centrale Europea, Victor Constancio che ha spiegato come l’introduzione di tassi d’interesse negativi sui conti deposito potrebbe modificare l’atteggiamento delle banche ed introdurre nuova linfa nel settore creditizio.

Rendimento in calo per i BOT

Un’operazione di questo tipo, secondo Constancio, porterebbe ad un aumento dei profitti del settore bancario perché le banche, dovendo pagare la BCE per tenere il denaro depositato, sarebbero incentivate a fornire più prestiti.

L’imposta di bollo sui prodotti finanziari

Nel settore creditizio, però, c’è qualche preoccupazione a riguardo, visto che si teme che i profitti delle banche calino in modo repentino inducendo gli istituti di credito e tutto il sistema che li contiene al collasso.

Eppure, in Europa, esiste il caso di un paese che ha adottato i tassi negativi sui depositi e ne ha ottenuto dei benefici. Si tratta della Danimarca, chiamata in causa proprio dal vice presidente della BCE.

Apple torna sul mercato con gli iBond

 E’ la prima volta dal 1997 ma non sembra che la Apple abbia dimenticato come si fa. Dopo tutti questi anni l’azienda di Cupertino si rimette in gioco sul mercato delle obbligazioni e si prepara all’emissione di una bella fetta di debito con i cosiddetti iBond, obbligazioni che alla Apple servono per pagare i dividendi degli azionisti.

► Come farà a sopravvivere Apple

Dati i termini dell’operazione, della quale si occupano Deutsche Bank e Goldman Sachs, l’interesse è molto alto e sono state già raccolte richieste per il collocamento del debito pari a circa 40 miliardi di dollari.

Il recupero atteso per la Apple si aggira intorno ai 15/18 miliardi di dollari che saranno poi redistribuiti tra gli azionisti delusi dal calo dei rendimenti della società che sono stati evidenziati nel primo trimestre del 2013.

Dall’altra parte, ossia dalla parte di coloro che vogliono comprare una parte di questo debito con gli iBond, non si prospettano, però, rendimenti entusiasmanti: secondo gli analisti, infatti, il rendimento atteso non dovrebbe essere superiore al 2,8%, quanto attualmente rendono i titoli azionari con le loro cedole.

► Calano gli utili di Apple

Grazie alla richiesta di questo prestito la Apple potrà provvedere alla restituzione dei 100 miliardi di dollari promessa ai soci entro il 2015: una mossa strategica che permetterà a Cupertino di lasciare dove sono i fondi depositati all’estero – stimati in circa 145 miliardi di dollari – e non pagare, così, le tasse per il rientro dovute al governo degli Stati Uniti.

Investimenti a rischio nei paesi della black list

 Quest’anno è stato segnato, a livello europeo ed italiano, dall’introduzione della Tobin Tax, una tassa, tanto per cambiare, che va ad operare un prelievo sulle rendite finanziarie che così si assottigliano ancora di più. Gli stessi conti deposito in cui accantonare i risparmi, fruttano sempre meno.

Tobin tax sulle azioni al via

La Tobin Tax è partita dal primo marzo, quindi siamo appena a 15 giorni dalla sua introduzione. Le regole sono state definite dal MEF, ma poi è stato necessario l’intervento dell’Agenzia delle Entrate che ha definito l’elenco degli Stati in cui non è prevista la cooperazione fiscale con il nostro paese.

Tobin Tax a più ampio raggio

Questa black list è stata stilata dall’Erario con il chiaro intento d’individuare gli stati o i territori in cui non ci sono accordi con l’Italia riguardo lo scambio di informazioni e l’assistenza sul recupero crediti. I paesi, invece, con cui è attiva la cooperazione, sono: l’Austria, il Belgio, la Bulgaria, Cipro, la Danimarca, l’Estonia, la Finlandia, la Francia, la Germania, la Grecia, l’Irlanda, l’Islanda, la Lettonia, la Lituania, il Lussemburgo, Malta, la Norvegia, i Paesi Bassi, la Polonia, il Portogallo, il Regno Unito, la Repubblica Ceca, la Romania, la Slovacchia, la Slovenia, la Spagna, la Svezia e l’Ungheria.

Quelli esclusi dall’elenco costituiscono la black list.

Che strumenti sono i conti deposito

 Quando sentiamo parlare di “conti deposito“, la prima cosa che ci viene in mente sono sicuramente i conti correnti, ma la parola deposito ci deve far drizzare le antenne: il deposito è una specie di cassaforte redditizia. Insomma sono degli strumenti a metà strada tra il risparmio e l’investimento. Qualcuno si spinge fino a dire che si tratta di veri prodotti finanziari, equiparabili ai fondi d’investimento.

Più rendimento con RendiMax

Di recente la normativa sui conti deposito è stata rivista. Per capirla dobbiamo insistere un attimo sulla differenza tra i conti correnti e i conti deposito. I primi, per esempio, sono esenti dall’imposta di bollo per giacenze medie annue inferiori ai 5000 euro. Chi supera questa soglia, invece, in un anno deve pagare una tassa di 34,2 euro.

La tassazione sui conti deposito è un po’ più complessa perché sembra sia stata introdotta una specie di patrimoniale che  consiste nel pagamento di un’aliquota sui depositi pari allo 0,15 per cento, senza un tetto massimo protettivo ma con il minimo pagamento dell’imposta di di bollo, quindi dei 34,2 euro.

Più freedom con Mediolanum

Alcune banche, quindi, per invogliare i consumatori a tenere in “cassaforte” i risparmi e a farli fruttare, si propongono di pagare l’imposta di bollo al posto del cliente. Le banche in questione sono la banca Sistema, la Banca delle Marche, la Bbcforweb, IBL Banca e il Banco Popolare.

Confermata l’emissione dei Monti Bond entro il primo marzo

 Questa mattina Bloomberg riportava la notizia, anche se sotto forma di indiscrezione, che il governo tecnico, ormai ai suoi atti conclusivi, avrebbe voluto rimandare l’emissione dei Monti Bond al nuovo esecutivo, facendo così slittare l’emissione a data da destinarsi.

Pochi minuti fa è arrivata la notizia, questa volta da parte dell’Ansa, che smentisce l’indiscrezione del mattino e conferma che la sottoscrizione dei titoli da parte del Tesoro dei Monti bond avverrà come deciso in precedenza, al massimo entro venerdì mattina.

► Pronti al via i Monti Bond per MPS

Si tratta di un’operazione sostanziosa da parte dello Stato che dovrà sottoscrivere obbligazioni speciali per un importo di 3,9 miliardi, di cui 1,9 per riscattare e sostituire i vecchi Tremonti bond e i restanti 2 miliardi come emissione aggiuntiva. Un esborso non indifferente,ma che si pone come una parte del percorso obbligato dell’Italia verso il raggiungimento delle soglie patrimoniali fissate dall’Eba.

Sempre riguardo alla questione dei Monti bond è arrivata anche la notizia che non sarà sospesa l’ordinanza con la quale il Tar ha dato l’ok ai Monti bond. La decisione è stata presa dal Consiglio di Stato con un decreto monocratico sollecitato dal Codacons, in quanto:

Da un primo esame non appaiono sussistere presupposti per il rilascio della richiesta misura cautelare provvisoria presidenziale rispetto all’attività amministrativa dispiegata, che forma l’oggetto del processo.

Il destino di Sns Bank come MPS?

 La decisione dell’Olanda è perentoria: si procederà con la nazionalizzazione del quarto istituto di credito del paese, la Sns Bank. Il brutto di tutta l’operazione sta nel fatto che i risparmi, le obbligazioni subordinate e le azioni collegate al titolo dell’istituto di credito, saranno praticamente azzerati.

Si salveranno dall’espropriazione soltanto le obbligazioni senior. Ad avvisare i risparmiatori di queste “buone intenzioni” che comunque servono ad evitare il default della banca, è stato il ministro delle Finanze olandese Jeroen Dijsselbloem che presto prenderà il posto di Junker alla presidenza dell’Eurogruppo.

 Jeroen Dijsselbloem nuovo Presidente Eurogruppo

L’espropriazione è parsa l’unica alternativa per il governo olandese che va ad intaccare anche i risparmi di molte famiglie italiane che avevano depositato qualcosa nei forzieri di una banca ritenuta per tanto tempo tra le più affidabili d’Europa.

Nonostante debba ancora essere fatta parecchia chiarezza sui bilanci della Sns, si sa già che c’è un buco da 2,3 miliardi di euro che sono state considerate delle spese legate al settore immobiliare. Eppure le agenzie di rating chiamate a valutare la solidità della banca, le avevano sempre attribuito un buon rating.

Vista la recente crisi del Monte dei Paschi di Siena, adesso, si cerca di capire se sia possibile che anche l’istituto senese arrivi all’espropriazione dei risparmi. Per il momento non è previsto il default della banca e quindi anche l’idea di azzerare i risparmi dei clienti MPS sembra remota.

► La crisi di MPS spiegata in quattro punti