Cosa succede se il tetto del debito americano non verrà alzato

 Obama è impegnato in una nuova ed estenuante lotta contro i repubblicani. Dopo essere riuscito ad aggirare, almeno per ora, l’incubo del Fiscal Cliff, il presidente americano ha, adesso, l’impellenza di convincere i repubblicani ad aumentare il tetto del debito del paese.

Per ora il tetto è fissato a 16,4 trilioni di dollari, ma questa cifra risulta insufficiente per la copertura delle spese che le amministrazione devono affrontare. Quindi, o questo tetto viene alzato, o si dovrà ricorrere a misure drastiche ben più impopolari di quelle prese per evitare il Fiscal Cliff.

► Obama preoccupato per il rischio default

Tra le varie misure che potrebbero essere prese, ci sono tagli generalizzati alla spesa governativa (per circa il 40% del totale), rinvio del pagamento degli assegni del Social Security (le pensioni) e dei contratti per gli appalti della difesa e, in ultimo, cessioni di asset come riserve aurifere o titoli garantiti da mutui.

► Bernanke interviene su tetto del debito americano

Un’altra soluzione meno drastica, e quindi anche meno incisiva, potrebbe essere quella del pagamento rateizzato di quanto sopra, decidendo di volta in volta a chi dovranno andare i soldi che lo Stato riceverà dalle nuove entrate fiscali.

Sono state proposte anche altre soluzioni per superare la resistenza repubblicana all’innalzamento del tetto del debito (i repubblicani potrebbero cedere solo a fronte di ulteriori tagli alla spesa) ma tutte si sono poi rivelate poco efficienti nella risoluzione di quella che è una vera e propria emergenza.

Il tutto si definisce chiaramente nelle parole di Jay Carney, portavoce del presidente Obama:

Ci sono solo due opzioni: il Congresso può pagare i suoi conti o spingere il Paese verso il default.

Bernanke interviene su tetto del debito americano

 Ben Bernanke, presidente della Federal Reserve, appena conclusa la conferenza stampa di Barack Obama, ha voluto ribadire i concetti espressi dal presidente americano: il tetto del debito deve essere alzato, e questo deve essere fatto in tempi ristretti, altrimenti ci sarà il crollo dell’economia del paese.

Il suo appello è rivolto soprattutto a quella fascia di resistenza repubblicana che osteggia apertamente le decisioni del presidente, ma che, per un gioco politico, rischia di mettere a repentaglio le sorti dell’intero paese.

► Obama preoccupato per il rischio default

Per Bernanke, se l’accordo non viene raggiunto, il default si verificherà alla fine di febbraio o, al massimo, all’inizio del mese di marzo.

Bisogna agire il prima possibile per evitare di mettere a rischio gli 80 milioni di spese mensili per Previdenza, Sanità, sussidi di disoccupazione e stipendi di militari.

► Cosa succede se il tetto del debito americano non verrà alzato

Ribadendo anche che non si devono ripetere gli errori de 2011, quando il rating del paese fu abbassato a causa della lentezza nell’evitare il default.

Bernanke ammonisce: il tunnel fiscale americano non è ancora terminato e saranno ancora molti gli ostacoli che si presenteranno sul cammino del risanamento economico americano, smentendo anche le voci sulla fine del programma di acquisto dei titoli (85 miliardi di dollari al mese).

 

Obama preoccupato per il rischio default

 Ancora giorni difficili per Barack Obama. Il suo secondo mandato si sta preannunciando molto più difficile del primo e il presidente sta cercando, mettendo mano a tutti i suoi poteri, di arrivare il prima possibile ad un accordo per alzare il tetto del debito americano.

► Bernanke interviene su tetto del debito americano

Non c’è tempo da perdere per Barack Obama. Se il tetto non viene alzato l’economia americana correrà ben più del solo rischio default: potrebbe crollare sotto il peso delle spese che non potranno essere sostenute. Il presidente ha pronunciato parole dure, nel tentativo di spronare i membri della Camera – la cui maggioranza è repubblicana – a trovare un punto di incontro, al massimo entro febbraio.

Se questo non accadrà, a farne le spese saranno i pensionati, che non riceveranno il loro assegno mensile, e i militari, i quanto i tagli alla Difesa impedirebbero, di fatto, di elargire lo stipendio. Obama è deciso a non far accadere nulla di tutto questo e ammonisce:

I pensionati non avrebbero l’assegno mensile e i militari lo stipendio, se vogliono assumersene la responsabilità (i repubblicani), facciano pure.

► Cosa succede se il tetto del debito americano non verrà alzato

Il momento è difficile e quello che potrebbe accadere se non si arriva all’accordo è un vero e proprio disastro. Ma la battaglia si prospetta lunga, anche se non è solo Obama a chiedere di stringere i tempi. Insieme a lui Ben Bernanke, presidente della FED, e Tim Geithner, il Ministro del Tesoro.

 

 

 

Contrazione Pil Germania

E’ stato un finale 2012 difficoltoso per la Germania. L’ economia europea numero 1 ha fatto registrare un calo del Prodotto Interno Lordo nel quarto trimestre dell’anno appena conclusosi. I dati preliminari resi noti dall’Ufficio Federale di Statistica parlano pertanto di una Contrazione dello 0,5 per cento in più rispetto al terzo trimestre.

La voce era nell’aria già da una settimana nei corridoi dei principali centri economici. Sette giorni fa è stato reso noto che la produzione industriale tedesca ha fatto registrare un calo del 2,9% durante il novembre del 2012.

Oltre a ciò, già durante il mese scorso, la Bundesbank aveva anticipato la contrazione, definendola significativa e contestualizzandola con l’ultimo trimestre dell’anno precedente. Le cause, ancora una volta, sono da ascrivere alla crisi del debito sovrano che ha pesato non poco su investimenti e spese.

BILANCIO 2012

Tirando le somme, la crescita del Prodotto interno lordo nel 2012 è stata minima. Un magro +0,7%. Non è prevista una crescita maggiore per l’anno in corso.  Soffermandosi, dunque, sul dato complessivo riguardante l’andamento del Pil tedesco nel 2012, gli analisti hanno dichiarato che si aspettavano un aumento del Pil 2012 dello 0,8%. In confronto al 2011, anno in cui la crescita era stata del 3%, e al 2010, anno in cui la crescita aveva toccato il  record del 4,2%, il dato è alquanto preoccupante.

2013 (e 2014)

E il 2013? Cosa prevedono gli analisti?  Durante la prima metà la ripresa economica sarà ancora debole, al punto che Bundesbank (nel consueto report mensile) ha dimezzato le previsioni per l’anno in corso, stimando un +0,4% rispetto al +1,6% indicato in precedenza. Per il 2014 la crescita è vista dell’1,9%.

Banche cinesi in difficoltà

Stando a quanto riportato dai dati rilasciati da Bloomberg, la Cina prospetta un record minimo circa i prestiti bancari. Si tratta di un minimo storico dal 2002 ad oggi. La causa di questa involuzione verificatasi negli ultimi 11 anni è da cercare nello sviluppo di un mercato creditizio parallelo ai canali tradizionali. I prestiti bancari a/a (ovvero quelli ‘anno su anno’) sono scesi del 14% mentre sono in aumento quelli di derivazione non bancaria.

A gennaio dello scorso anno, i prestiti bancari ammontavano a 738 miliardi di Yuan. Oggi la cifra, diminuita visibilmente, si aggira intorno ai 550 miliardi di Yuan con un picco massimo toccata a marzo 2012. Nel terzo mese dello scorso anno i prestiti, infatti, ammontavano a 1.011 miliardi di Yuan.

CAUSE RISCHIO AUMENTO CREDITO

Il dato porta con sè problemi e pericoli. Occorre dire che i canali di credito non tradizionali non sono regolamentati a dovere. Questo è il problema, che implica un pericolo per un’economia di dimensioni enormi come è quella cinese.

A ciò va aggiunto un altro dato abbastanza preoccupante, riportato sempre dalle statistiche e dalle riflessioni di Bloomberg: si tratta della non trasparenza del livello di indebitamento della Cina, un dato che si reperisce con non poche difficoltà.

Sono diversi ancora i problemi da risolvere sul nodo “Sviluppo Economia Cinese”. Ciò è dovuto al fatto che sono troppi i dati tenuti nascosti e poca è l’esposizione finanziaria sui mercati globali.

 

Volkswagen ambasciatrice Made in Italy

Volkswagen si autoproclama ambasciatrice del Made in Italy. L’azienda tedesca sente questa responsabilità, che divide volentieri con Ducati e Lamborghini, due marchi italiani, che afferma con orgoglio. Ambasciatrice del Made in Italy “in tutto il mondo”. Così dicono alla Volkswagen. Affermazioni che, inevitabilmente, scatenano diverse polemiche.

Detroit, domenica sera. Una conferenza stampa atta ad illustrare gli ottimi risultati ottenuti nel 2012 da Volkswagen, durante il giorno prima dell’apertura dell’Auto Show diventa terreno per discussioni accese.

Tutto inizia con le dichiarazioni dell’amministratore delegato del gruppo di Volfsburg, Martin Winterkorn. Dichiarazioni fatte con il petto in fuori. Winterkorn ha appena dato l’avvio per un progetto che costerà all’azienda 50 miliardi di euro in termini di investimenti. Il progetto porterà l’azienda a diventare il primo gruppo automotive mondiale entro 5 anni. La strada da percorrere è quella giusta per Winterkorn. Sarà percorsa fino al 2018.

L’ad di Vokswagen lo dice mentre chiama sul palco i suoi collaboratori più stretti. Successivamente all’annuncio del varo del piano,  Winterkorn lascia un po’ di risultati alla platea: “Lo scorso anno abbiamo superato per la prima volta il tetto dei 9 milioni di auto vendute nel mondo: 9,1 milioni, per la precisione”.

La domanda é: perché ambasciatrice del Made in Italy? E’ lo stesso Winterkorn a rispondere. I numerosi collaboratori italiani e il design italiano studiato a Volfsburg ne sono la prova.

Chissà come l’avranno presa Ducati e Lamborghini.

 

Stipendio top manager Svizzera a rischio

 Lo stipendio dei top manager svizzeri è troppo distante da quello che percepiscono i lavoratori ‘normali’. Un fatto noto che, però, è sempre stato preso come un dato di fatto, in tutti i paesi del mondo, almeno fino a che la Banca Cantonale di Glarona ha posto un limite massimo a quello che i quadri aziendali possono percepire, fissandolo al massimo a dieci volte lo stipendio del dipendente che guadagna di meno.

► Ancora nulla di fatto sul patto Italia-Svizzera

Una bella presa di posizione dell’istituto, soprattutto in vista del referendum che si terrà il prossimo 3 marzo proprio su questo argomento. Se da un lato la decisione è stata accolta bene dai cittadini – pesantemente indignati dal fatto che, nonostante le banche elvetiche stiano dando i primi segni di cedimento, non è stata presa nessuna decisione a riguardo – e dall’ideatore del referendum, il deputato al Parlamento federale Thomas Minder.

► Gli accordi fiscali con la Svizzera

Per Minder si tratta di un’azione necessaria che ha l’obiettivo di porre al centro delle decisioni in merito agli stipendi annui dei top manager l’assemblea degli azionisti. Ma per Peter Kunz, docente di economia all’università di Berna, si tratta di

Proposte bizzarre, che non hanno riscontro in nessun altro posto al mondo

► Top manager inglesi: stipendi più alti del 27%

Che rischiano di creare una fuga di manager capaci dalle dalle imprese svizzere, come già preannunciato da Peter Brabeck, amministratore delegato di Nestlè, che ha commentato:

Se lo Stato ci imponesse un tetto agli stipendi, ci chiederemmo se la Svizzera è ancora il luogo ideale per ospitare la sede del nostro gruppo.

Il piano di stimolo dell’economia giapponese

 Il Giappone deve fare tutto il possibile per far ripartire la sua economia. Dopo anni di primato economico, il Paese del Sol levante, infatti,  sta attraversando una grave crisi, resa peggiore anche dalle catastrofi che l’hanno colpita negli ultimi tempi.

► Le prospettive economiche del Giappone

La soluzione, almeno per ora, l’ha proposta Shinzo Abe, il primo ministro giapponese, che ha deciso un piano di stimolo all’economia pari a 10.300 miliardi di yen (90 miliardi di euro) in cui sono compresi sgravi fiscali per favorire gli investimenti e una serie di progetti per la realizzazione di grandi infrastrutture (soprattutto nel Nord e nell’Est del Paese, le aree devastate dal terremoto e dallo tsunami dell’11 marzo 2011) che dovrebbero creare 600 mila posti di lavoro.

Abe è stato chiaro: è vero che il debito pubblico del paese è alle stelle, ma la necessità primaria è quella del rilancio dell’economia, e deve essere il Governo ad occuparsene

 Industria europea in allarme per l’accordo con il Giappone

E’ il Governo che deve prendere per primo l’iniziativa per creare domanda e dare impulso all’intera economia.

Il piano deciso dal Primo Ministro Abe dovrebbe portare ad una crescita del Pil pari al 2%, ma se il paese vuole davvero uscire dalla sua grave situazione i problemi da risolvere sono anche altri. I principali sono, da un lato, i rapporti con la Cina (le dispute territoriali tra i due paesi hanno fatto contrarre l’export nipponico verso questo paese) e, dall’altro, è necessaria una semplificazione delle regolamentazioni interne.

► Nel 2030 la Cina sarà la prima superpotenza mondiale

Perché Apple punta sulla Cina

Sono giorni di fermento in casa Apple. Senza ombra di dubbio l’azienda sta studiando ogni tipo di contromossa per prevenire una nuova offensiva da parte di Samsung.

► Dal 2013 la produzione Apple torna in America

I recenti cali nelle vendite di alcuni prodotti della brand-line della mela morsicata fungono da ‘alert’ per il 2013.

Ma tutto lascia presagire che l’anno è partito con il piede giusto e finirà bene. Basti pensare che iWatch, iOs 7, iPhone Mini, iPhone 6, iMac Pro e iTv sono le novità Apple 2013.

Una produzione che dunque crescerà a dismisura, si amplierà e cambierà anche quello che è il primo mercato di riferimento.

Non più gli Usa, bensì la Cina. Lo ha rivelato il Ceo Tim Cook, che proprio in questi giorni sta visitando il Paese asiatico. Per il Ceo si tratta della seconda ‘visita’ in meno di 12 mesi.

Durante un’intervista, Cook ha esplicitamente affermato che “La Cina sorpasserà gli Stati Uniti, diventando il primo mercato per Apple”.

Al momento la Cina è il secondo mercato di riferimento per il colosso guidato da Cook, che aggiunge: “Diventerà il primo, ne sono certo”.

Perché Apple punta sulla Cina?

L’analisi è e deve essere approfondita. Apple sta monitorando minuto per minuto le vendite effettuate dal gruppo nella ‘Grande Cina’, e cioè in Taiwan e ad Hong Kong. I dati sono confortanti. Le vendite in Cina sono seconde solo alle vendite negli States.

Rimarranno molto alte e non si focalizzeranno sul lancio dell’iPhone Low Cost, che non approderà nel Paese asiatico, pieno zeppo di telefonini a basso costo che invadono anche gli altri mercati emergenti. Nessun spreco di risorse, dunque, e nessuna concorrenza in cui si perde sin dall’inizio.

Apple punta sulla Cina in maniere diverse e più efficaci. Le modalità le ha spiegate lo stesso Cook al portale Sina.com, affermando che il gruppo prevede di aprire un totale di più di 25 Apple Store nel Paese, a fronte degli 11 negozi complessivi presenti ora in Cina e Hong Kong.

 

American Express licenzia 5.400 dipendenti

Un maxi taglio dell’8,5% del personale che costerà 400 milioni di dollari in termini di liquidazioni. AmericanExpress, con l’avvento del 2013, manda a casa 5.400 dipendenti.

Il gruppo di carte di credito colpito dalla crisi testimonia che quella americana è così profonda a non risparmiare neanche un emblema della finanza.

► La crisi economica europea nel 2013

Basti pensare che è il taglio di costi più lacerante dell’ultimo quinquennio.

A cosa è dovuto il Maxi Taglio di American Express?

La decisione arriva alcuni mesi dopo il raggiungimento dell’intesa da 127,5 milioni di dollari (compresi quei 85 milioni finalizzati al rimborso-clienti) trovato con il Consumer Financial Protection Bureau, con la Federal Reserve e con altri regolatori del settore bancario, il base al quale il gruppo aveva commercializzato in modo errato alcuni prodotti, attuando procedure illegali.

Ma il taglio dei dipendenti è dovuto anche ai risultati preliminari del quarto trimestre, rilasciati in attesa di quelli definitivi che saranno annunciati il prossimo 17 gennaio.

In base ai dati erogati si evince che gli utili di American Express sono in netto calo del 47%.

Ora, tra liquidazioni dei dipendenti e spesse connesse, l’azienda dovrà sborsare una cifra che si aggira sui 400 milioni di dollari.

Non solo. Nell’ambito delle operazioni in uscita, American Express dovrà rimborsare la clientela per un totale 153 milioni di dollari e dovrà poi sborsare 342 milioni legati al programma fedeltà.

Global Travel: la divisione più colpita è quella Global Travel, con il conseguente trasferimento dei servizi sul canale digitale, così da migliorarne l’efficienza.