Crisi Turchia: la lira ai minimi storici nei confronti del dollaro

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In primo luogo vi è una forte recessione che da due anni a questa parte continua a colpire il paese. A ciò si aggiungono le tensioni sociali e l’atteggiamento ambiguo nei confronti dell’Isis e dei curdi.

Adesso, a complicare le cose ora arrivano anche le elezioni anticipate. Le conseguenze si riverberano immediatamente sul fronte economico. La prima è più che evidente con il crollo della lira turca: all’annuncio del più che probabile ritorno alle urne, la valuta di Ankara ha perso ancora terreno e ha chiuso le contrattazioni ai minimi storici contro il dollaro americano.

Eppure, fino a due anni fa, la Turchia poteva vantare i fondamentali economici tra i migliori dei paesi europei. Una paese giovane, con un mercato interno in grande espansione, fatta di una nuova classe borghese con voglia di consumare. Nonché con una filiera di imprese che hanno saputo sfruttare al meglio per un decennio il fatto di essere confinanti con l’Eurozona, ma senza avere l’euro come moneta: per cui stipendi più bassi e prodotti competitivi da esportare nel Vecchio Continente, anche se nelle face medio-basse.

Tutto questo ha permesso tassi di crescita elevati, con il Prodotto lordo nazionale salito in alcuni anni quasi in doppia cifra. Tanto da fa parte della pattuglia delle nuove “economie emergenti” mondiali. Successi che hanno avuto come emblema principale la crescita esponenziale dell’aeroporto di Istambul e della compagnia Turkish Airline, diventato uno dei più importanti del mondo a livello di hub e sicuramente per i collegamenti con l’Oriente, sia medio che estremo. Un successo imprenditoriale che si è concretizzato con l’acquisizione di società dell’Eurozona. Il caso più noto in Italia, ha visto il passaggio del marchio di abbigliamento Lumberjack a uno dei leste del settore calzaturiero in Turchia, il gruppo Ziylan.

 

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