Gli investitori cinesi e gli indiani potrebbero salvare le industrie italiane

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  In Alcoa è pronta ad investire una multinazionale anglo-svizzera. I cinesi  si preparano per Termini Imerese. I franco-indiani (Arcelor) per l’Ilva. Gli indiani (Jindal) investiranno nella Lucchini di Piombino. Quindi tutti investitori esteri. Per la Lucchini di Trieste, sono stati gli italiani della Arvedi, a capire in anticipo le potenzialità dell’acciaiera comperando la Ferriera di Servola. Sarà prodotta banda stagnata e l’acciaio magnetico al silicio per la produzione dei motori elettrici. Una maniera per portare «in Italia produzioni che oggi la nostra manifattura è costretta ad acquistare all’estero» per Giovanni Arvedi. È lo stesso imprenditore che rivendica il bisogno di una rete nazionale di produttori di acciaio. Non a caso la Arvedi si è proposta per avere un ruolo anche nel rilancio dell’Ilva. Insieme  ad altri imprenditori italiani, naturalmente. E soprattutto insieme a un gruppo minerario come Arcelor-Mittal, il colosso franco-indiano in pole position per Taranto.

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Per gli stabilimenti di Trieste della Lucchini dovrebbe esserci l’accordo con il miliardario indiano Sajjan Jindal. Mentre sono rimaste in stallo le proposte dell’indiana, Jspl, dell’ucraina Steel Mont e della tunisina Smc. Il gruppo Jws potrebbe in poco tempo avere il controllo della società passata dai russi della Severstal al tribunale fallimentare dopo il crac del 2012.

Sono per parti più piccole le altre offerte giunte al Mise a luglio per la ex-Lucchini: Duferco Italia e Feralpi Siderurgica mirano al laminatoio di Lecco; le Acciaierie Venete alla partecipazione del 69,27% del capitale della Gsi Lucchini così come la Steel Mont e la Elti alla sola Vertek Piombino.

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