L’austerity non piace agli intellettuali

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 L’austerity è la parola d’ordine dell’anno scorso. Nel 2012, infatti, la crisi è stata così imponente che tutti i paesi a rischio default hanno chiesto alla popolazione di tirare la cinghia. E’ rimasta proverbiale l’austerity greca. Adesso però questa parola e questa pratica sono già finite sotto accusa.

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Gli economisti sono concordi nel ritenere che stringere la cinghia troppo a lungo non è positivo per l’economia di un paese. Il primo a dirlo è stato Paul Krugman che ha dato il suo placet anche ai partiti europei che hanno espresso la ribellione all’austerity. Per esempio Krugman ha elogiato il Movimento 5 Stelle italiano.

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L’intensità dell’austerity, tra l’altro, è stata modulata con formule matematiche che sul lungo periodo hanno dimostrato di non essere abbastanza calzanti. Per esempio: Kenneth Rogoff e Carmen Reinhart dell’Harvard University, già nel 2010 spiegavano che quando il debito pubblico supera il 90 per cento della produzione c’è una decrescit economica pari allo 0,1 per cento. L’esperimento, la formula, ripetuta oggi, con gli stessi dati, dà un risultato diverso: si parla di crescita del 2,2 per cento.

Questa teoria, che adesso dovrà essere revisionata, è stata alla base della politica di austerity usata da molti governi. Quindi si dimostra oggi che combattere “contro il debito pubblico” non è un metodo efficace per ottenere la crescita economica.

 

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