Come pagare la tassa di successione

 In alcuni post pubblicati prima di questo ci siamo occupati di descrivere la tassa di successione, ovvero di quell’imposta che deve essere pagata da tutti coloro che ricevono beni in eredità da una persona scomparsa. La tassa di successione, come abbiamo visto, grava sia sui beni mobili che su quelli immobili, e deve essere calcolata sul valore complessivo del lascito ereditario, anche se poi varia per ogni erede a seconda del grado di parentela con la persona estinta. 

Come calcolare l’imposta di successione

 Sui beni ricevuti in eredità da una persona scomparsa gli eredi sono in genere tenuti al pagamento di alcune tasse di successione, la principale delle quali è l’imposta di successione, che si applica ai beni mobiliari e a quelli immobiliari e varia a seconda del grado di parentela che l’erede intrattiene nei confronti dell’estinto. 

Quali tasse si pagano in caso di successione?

 Quando si acquista o si scambia un immobile con un altro si è in genere soggetti in Italia al pagamento di alcune tasse al fisco. Ma anche in caso di successione, ovvero quando si diventa proprietari di un immobile in seguita alla scomparsa di un parente, vi sono alcune imposte da pagare, e importi e aliquote di quest’ultime hanno in parte subito delle modifiche a partire dal 1 gennaio 2014. 

I beni dei defunti non devono essere confusi

 In materia di successione e di diritti degli eredi  legittimi o nominati in un testamento, la giurisprudenza italiana è molto complessa quindi sono provvidenziali alcuni chiarimenti enunciati dalla Corte di Cassazione. L’ultimo in ordine cronologico, invita gli eredi a non fare confusione tra i beni che fanno parte del patrimonio del defunto e i beni che possono “entrare” nel testamento in un secondo momento. 

 Le origini dell’imposta di successione

La sentenza nasce a seguito di una notifica dell’ufficio tributario di una sanzione per una dichiarazione di successione presentata oltre i termini. Il contribuente ha specificato che il ritardo era dovuto al fatto che ci sono dei beni che sono entrati a far parte dell’asse della successione in seguito al decesso.

La Cassazione, per dirimere la questione, ha pensato bene di ribadire il concetto di “sopravvivenza ereditaria” nella sentenza numero 409 del 10 gennaio 2013.

 Lo status di erede anche dall’atteggiamento concludente

Il riferimento è il Testo unico imposta di successione e donazione che spiega che la dichiarazione di successione deve essere presentata sempre entro i 12 mesi dall’apertura della successione. Se ci sono delle entità patrimoniali che al momento dell’apertura della successione non sono conosciute e si scoprono tardivamente, queste vanno inserite in una dichiarazione integrativa successiva, ma la dichiarazione unica va intesa in scadenza entro un anno.

Le origini dell’imposta di successione

 Nella nostra storia tributaria esistono dei contributi che facciamo difficoltà a digerire ma che affondano le radici nell’antichità, per esempio l’imposta di successione, di cui abbiamo avuto modo di parlare anche in passato in relazione alla situazione americana.

Nel nostro ordinamento, trascurando i prodromi della tassa dell’età augustea (la vigesima hereditatum di Augusto del 7 d.C.) e i tributi dell’età moderna (il quintello veneziano, datato 1565), possiamo dire che l’imposta sulla successione è nata in Francia intorno al 1704 come “derivazione” dell’imposta di registro.

In pratica esisteva un’imposta che il contribuente doveva corrispondere all’amministrazione tributaria dell’epoca per autenticare e datare i testamenti. Questa imposta, dall’essere un compenso per il servizio, si è trasformata in imposta sulle cosiddette quote ereditarie, distinte in base al grado di parentela.

Lo stato italiano, in uno stampato parlamentare postunitario del 1863 ha grosso modo sintetizzato questa procedura con la frase:

“avuto riguardo alle considerazioni morali che fanno giudicare maggiore il vantaggio che si acquista, se minore e meno legittima era l’aspettativa di lucro, e più lontana o inesistente affatto la relazione di famiglia e di parentela”.

Nell’Italia napoleonica, l’imposta di stampo francese, è stata assorbita da numerosi stati dell’epoca preunitaria. Soltanto il Regno delle due Sicilie prevedeva diritti fissi sui testamenti. E’ facile immaginare dunque la semplicità della traduzione di questa imposta nell’ordinamento dell’Italia unita.

Quando gli eredi sono risarciti dal notaio

 Il tema su cui si è pronunciata questa volta la Corte di Cassazione è la dichiarazione di successione che deve essere inviata dal notaio che ha ottenuto il mandato per farlo dagli attori coinvolti nell’atto. In soldoni, la sentenza numero 21082 del 27 novembre 2012, spiega che il notaio deve risarcire gli eredi in caso di ritardo nella presentazione dell’atto di successione.

Il fatto alla base del pronunciamento. Un contribuente, in proprio e in qualità di legale rappresentante dei suoi figli non ancora maggiorenni, ha portato davanti al Tribunale di Roma il notaio che aveva incaricato di presentare la denuncia di successione.

La richiesta del contribuente era quella di accertare che la responsabilità del ritardo fosse del notaio e al tempo stesso obbligarlo a pagare le sanzioni pecuniarie definite dall’Agenzia dell’Entrate, tenuto conto della rivalutazione e degli interessi.

I porporati hanno accertato che l’incarico dato al notaio era pervenuto nel tempo utile a predisporre la dichiarazione e quindi il ritardo è esattamente responsabilità del notaio. Il Tribunale di Roma ha quindi condannato quest’ultimo al pagamento di un risarcimento al contribuente.

Il risarcimento era equivalente alla pena pecuniaria con gli interessi. Il notaio ha fatto ricorso in appello e spiegando i dettagli della pratica, la quale si è sviluppata in due step successivi, ha ottenuto una riduzione della pena e dovrà corrispondere al contribuente un risarcimento minore rispetto a quello definito dal giudice di primo grado.