Venezuela a rischio default

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Crisi nera in Venezuela. L’agenzia di rating Moody’s ha deciso di intervenire declassando il debito sovrano del Paese tagliandolo di due gradini e portandolo a “Caa3″.

Si tratta a tutto gli effetti del livello più basso assegnato ai paesi non in default, al pari di quello dato all’Ucraina, devastata dalla guerra con la Russia e dallo smembramento della Crimea, e alla Giamaica che ha dichiarato default due volte da cinque anni a questa parte.

Per quanto riguarda le altre agenzie di rating, Fitch aveva declassato i bond di Caracas a “CCC” il mese scorso, mentre a settembre S&P li aveva retrocessi a “CCC+”.

Questo il parere degli analisti di Moody’s:

Esiste un elevato rischio di default del Venezuela, a causa della crisi del petrolio, le cui quotazioni sono diminuite del 58% dal giugno scorso, quando il greggio rappresenta il 95% delle esportazioni del paese sudamericano e delle sue entrate di dollari. Per ovviare a questo crollo ed evitare di inasprire la già grave crisi fiscale, ci aspettiamo che il governo potrebbe svalutare il bolivar, ma con ciò rendendo più difficile il rimborso dei bond emessi in dollari. Per tale ragione, riteniamo che entro 1 o 2 anni, in Venezuela si verificherà un “credit event”, ovvero si avranno situazioni di mancato pagamento del debito in scadenza o di ristrutturazione dello stesso. In quest’ultimo caso, gli obbligazionisti potrebbero ricevere meno del 50% di quanto posseggono. I rendimenti dei bond sovrani e quelli dei cds, i titoli che assicurano dal rischio fallimento, implicano una probabilità di default del 75% entro un anno e del 97% entro 5 anni.

La situazione è tesissima nel paese. La Banca Centrale del Venezuela ha annunciato ieri che le riserve sono scese ancora di 1,2 miliardi a 20,9 miliardi di dollari. Il presidente Maduro potrebbe rassegnare le dimissioni. Nel frattempo, in termini di beni regna l’assoluta scarsità. In Venezuela manca di tutto. Le imprese non riescono a produrre, sia per le limitazioni ai prezzi imposti dal governo, sia per l’assenza di dollari disponibili, necessari per importare beni dall’estero.

 

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