Prezzi del caffé sul piano inclinato

 I prezzi del caffé continuano a scendere perché si deve prendere atto dell’aumento della produzione. Ad una maggiore offerto di un bene corrisponde una diminuzione del prezzo dello stesso bene, è una delle prime regole che s’impara in economia.

Le quotazioni del caffé, dunque, sono scivolate sotto la soglia dichiarata di “sicurezza” ma questa inclinazione del valore di un bene così diffuso e consumato, non sorprende i mercati che da tempo osservano la produzione di caffé a livello mondiale.

Per esempio, sul mercato londinese, la qualità robusta di caffé, per la prima volta dopo nove mesi di scambi, si è dovuta arrendere ad una quotazione ai minimi storici che vuol dire 1903 dollari per tonnellata. Un destino analogo per la miscela arabica a New York dove le quotazioni sono scese ai minimi da oltre 4 mesi. Per una libbra di caffé, nella Grande Mela si pagano soltanto 150,60 cents.

Quando le quotazioni erano davvero ai minimi storici, nel 2010, l’ICE aveva delle scorte ragguardevoli: circa 2,4 milioni di sacchi da 60 chili. Nel 2012, a fronte di una perdita di valore del 33% circa di alcune miscele, si guarda al raccolto della Colombia e del Centro America.

In Honduras, per esempio, il raccolto di caffé quest’anno è stato un raccolto record. Soltanto in Brasile sono stati messi da parte circa 50,5 milioni di sacchi, nella speranza che il prezzo salga un po’.

Il trend dell’oro nel 2013

 L’industria dell’oro, nonostante le stime entusiasmanti dell’anno passato, ha dovuto fare i conti con un 2012 in cui le contrattazioni sono state praticamente sottotono. Adesso gli analisti provano a rilanciare l’argomento offrendo nuovi spunti di riflessione e nuove indicazioni d’investimento per chi compra opzioni binarie.

Il trend dell’oro potrebbe svoltare e ascendere a partire dal 2013 raggiungendo, già il prossimo anno, una quota pari a 1800 dollari l’oncia. Le informazioni arrivano direttamente dal meeting tra investitori e trader che si è tenuto ad Hong Kong.

In realtà anche gli analisti di Bloomberg sono ottimisti. Il loro oracolo prevede che entro il settembre del 2013 l’oro potrebbe raggiungere un nuovo record: 1849 dollari l’oncia che rappresenterebbero un incremento del 7% del valore del metallo rispetto alla quotazione odierna che è di 1729 dollari.

Rispetto all’anno scorso le stime sono più realistiche, basta pensare che dando ascolto ad alcune previsioni, quest’anno ci sarebbe dovuto essere un picco di 2019 dollari. In realtà un picco è stato registrato nelle valutazioni dell’oro, 1920 dollari l’oncia a settembre, ma poi si è tornati ad oscillare tra valori più modesti compresi tra 1530 e 1800 dollari.

Dal 2013 le cose potrebbero in parte cambiare e le stime ottimistiche assecondate, perché entra in campo la Cina che oggi si configura come uno dei maggiori acquirenti sul mercato aureo.

Chi investe nei porti italiani

 La Cina basa la gran parte del suo impero commerciale nelle esportazioni e, nell’ultimo periodo, si assistito ad un nuovo flusso imponente verso l’Europa. Per far arrivare la merce cinese in Europa e poi anche in Italia, fino a questo momento, sono stati usati i porti nel Nord Europa.

La posizione di Rotterdam e degli scali del Benelux più in generale, è strategica nella gestioni dei flussi commerciali che arrivano dalla Cina, dall’Inghilterra o dal Sud dell’UE. In previsione dell’intensificazione dei rapporti economici tra Cina e Vecchio Continente, però, gli armatori cinesi stanno studiando un modo per accorciare le rotte.

Per l’evidente congiuntura economica, in questo momento, sono nel mirino gli scali greci, il porto di Atene soprattutto che potrebbe diventare il centro degli scambi tra Cina ed Europa ma anche tra Sud e Nord del Vecchio Continente.

La Grecia è poi vicina a tutta l’area turca e dei Balcani ma i cinesi sembrano siano maggiormente interessati a paesi più solidi economicamente come l’Italia dove operano già imprese straniere. Per esempio la Evergreen Marine Corp taiwanese è nel porto di Taranto, mentre la COSCO che lavora prodotti cinesi è già nel porto di Napoli.

Il problema, a questo punto, è soltanto nella volontà di rendere competitivi gli scali italiani.

 

Italia e Cina più vicine grazie ai porti

 I rapporti commerciali tra l’Italia e la Cina si sono intensificati negli ultimi anni grazie all’accresciuta disponibilità di spesa dell’impero commerciale asiatico. Oggi si sta aprendo un nuovo spazio, un nuovo terreno d’investimento comune per Cina ed Italia: i porti.

La Commissione Europea, in uno degli ultimi rapporti, ha sottolineato come nel nostro paese e nell’UE in generale siano cresciute del 21 per cento circa le importazioni dalla Cina. Il periodo di riferimento è quello compreso tra il 2003 e il 2007.

In questo lasso di tempo l’Unione Europea ha importato merci dai mercati cinesi per un valore che supera i 230 miliardi di euro. C’è anche da considerare che questo genere di flussi sono aiutati dal fatto che il 40 per cento dell’economia cinese è affidata alle esportazioni.

Nella pratica, la Cina ha intenzione di vendere i suoi prodotti in Europa e l’Europa ha tutta l’intenzione di agevolare flussi di tipo commerciale con l’impero del Sol Levante. Sono determinanti per l’arrivo della merce cinese nell’UE e in Italia, dei porti attrezzati.

Finora il punto d’arrivo prediletto dalla Cina sono stati i porti del Nord Europa come Rotterdam o come i Paesi Bassi. All’intensificarsi dei traffici, però, questi approdi potrebbero apparire fin troppo lontani. Fa gola dunque lo sviluppo delle aree portuali italiane. 

Stati Uniti verso l’autonomia petrolifera

 Entro il 2017 gli Stati Uniti si emanciperanno del tutto dal petrolio straniero e anzi, diventeranno i più grandi produttori di petrolio al mondo. E’ questa la notizia più interessante che arriva dall’ultimo rapporto annuale sulle fonti e i consumi energetici nel mondo, stilato dall’Agenzia Internazionale dell’Energia, l’AIE.

Attualmente i maggiori produttori di petrolio sono la Russia e l’Arabia Saudita ma gli USA possono superarli con facilità e c’è da fidarsi delle previsioni dell’AIE che inizia a prefigurare un cambio nella gestione dei flussi energetici ed economici a livello mondiale.

L’AIE è un’organizzazione internazionale intergovernativa fondata dall’OCSE dopo il Settanta, anni che sono passati alla storia per la crisi energetica mondiale. Mai però, aveva dato indicazioni sulla produzione così precise.

Come si riorganizzerebbero quindi i flussi petroliferi nel 2017? In primo luogo gli Stati Uniti raggiungerebbero l’autonomia energetica, emancipandosi dalle fonti esterne, mentre oggi importano il 20 per cento del petrolio per il consumo interno. A quel punto lascerebbero nel dimenticatoio tutti i progetti di trasporto del petrolio, costruzione di oleodotti e quant’altro.

Su questa fetta di mercato potrebbero quindi entrare i paesi orientali, la Cina in primo luogo che, per il ritmo di crescita che ha, probabilmente, necessiterà di sempre maggiore energia.

L’AIE dice che gli USA raggiungeranno l’autonomia energetica grazie all’aumento dei sistemi d’estrazione ma anche grazie alla nuova politica energetica di riduzione dei consumi. Ecco allora che le previsioni dell’AIE non convincono gli analisti.

Prezzi in calo per le commodities agricole

 La produzione agricola, per quanto si possano fare stime dettagliate, dipende in gran parte dalle condizioni meteo e se la siccità di fine estate aveva indotto gli analisti a fare stime pessimistiche sul raccolto, le piogge autunnali hanno invertito l’overview.

Il Dipartimento USA dell’Agricoltura, alla fine della scorsa settimana di contrattazioni, ha sorpreso un po’ tutti gli investitori che si sono concentrati sul mercato delle commodities agricole, con delle previsioni che sono andate oltre le attese.

L’effetto iniziale è stato un sell-off sui futures trattati dal Chicago Board of Trade. Nel dettaglio si è registrato un calo del 2 per cento dei contratti a termine sui semi di soia che sono scesi ai livelli minimi registrati dalla fine di giugno.

I futures sul frumento hanno fatto registrare perdite altrettanto consistenti mentre si parla di flessione anche se marginale per i futures sul mais. Questa situazione è stata scatenata dai dati sulla produzione che sono stati migliori delle attese.

Maggiori scorte, però, vuol dire anche calo dei prezzi. Un mese fa ci si aspettava di fare i conti con una produzione molto più risicata. Basta pensare ai dati sulla soia: fino all’ultimo comunicato non ci si aspettava assolutamente un incremento del 4 per cento sui raccolti americani di questo prodotto.

Il mercato delle conifere

 L’Organizzazione europea delle segherie e l’European Timber Trade Federation hanno da poco concluso un appuntamento molto importante, l’International Softwood Conference tenutasi a Stoccolma. Ne è emerso un miglioramento delle condizioni del mercato delle conifere in Nord America e un peggioramento della situazione europea.

La produzione di segati di conifere, all’interno dei paesi dell’Organizzazione europea delle segherie è stato valutato in calo del 5,3% alla fine dell’anno in corso e per il 2013 la stima è di un calo dell’1 per cento della produzione.

Questa situazione è diametralmente opposta a quanto sta succedendo in America, soprattutto nel mercato settentrionale del paese dove i segati di conifere fanno registrare un 7,2% di aumenti per il 2012 e si prevede una chiusura in positivo, del +2,2 per cento anche per il prossimo anno.

Si passerà dunque da 88,9 milioni di metri cubi di segati di conifere prodotti nel Nord America a ben 90,8 milioni di metri cubi.

Al di là della produzione occorre valutare anche il consumo di questi prodotti e la situazione risulta però speculare: a fronte di un aumento dei consumi di segati di conifere del 6,6% in Nord America, si deve prendere atto di una riduzione dei consumi del 3,4 per cento nell’area dell’Organizzazione europea delle conifere e nei Paesi europei Isc.

 

Calano i consumi di petrolio

 Il petrolio ha da sempre subito con delle oscillazioni imprevedibili, l’incertezza del panorama di crisi. Tendenzialmente, in questo momento, i mercati evidenziano un rallentamento nella domanda di petrolio che rischia di essere al di sotto delle aspettative di medio periodo.

Questa situazione si lega alla scarsa fiducia nella crescita economica globale che seppure dovesse iniziare nel 2013, sarà comunque graduale.

Tutte queste indicazioni fanno parte del rapporto annuale World Oil Outlook, preparato dall’Opec. Il documento indica che la domanda complessiva di petrolio sarà in aumento, passando dagli attuali 88,7 milioni di barili, fino ai 91,8 milioni di barili al giorno nel 2015.

All’inizio si pensava che nello stesso arco di tempo ci sarebbe una produzione di petrolio con un milione di barili in più all’anno, ma l’Opec ha ridotto le quotazioni. In generale, il prezzo del petrolio si è assestato sui 100 dollari al barile nel medio termine.

Soltanto per avere un’idea dei rincari e per suggerire qualche investimento, ricordiamo che l’Opec un anno fa parlava di prezzi medi tra gli 85 e i 95 dollari. Oggi è sceso di 1,08 dollari.

Il petrolio, tra l’altro, oggi deve fare i conti anche con nuove forme energetiche, per esempio lo shale gas, il cosiddetto gas non convenzionale che rischia di rivoluzionare il sistema, visto che si estrae da argille e scisti.

Investire nell’oro oggi

 L’oro nei secoli manterrà il suo fascino di bene rifugio per eccellenza. Nonostante ormai tutto il bello della finanza sia racchiuso nella compravendita di titoli e valute, in un periodo di crisi il chiodo fisso sono i lingotti. Anche se oggi le opportunità d’investimento hanno portato in piazza il cosiddetto “oro di carta”.

Nell’ultima settimana di contrattazioni appena archiviata l’oro ha raggiunto e superato la soglia dei 1790 dollari l’oncia che è grosso modo il valore che il metallo giallo aveva alla fine del 2011, poco prima che esplodesse la bolla del debito pubblico che ha investito totalmente i bilanci di Spagna e Italia.

Il massimo storico delle quotazioni era stato toccato nell’estate del 2011, con il picco dei 1895 dollari l’oncia. Oggi le vendite di oro continuano ad essere sostenute e non è venuta meno la domanda, anzi possiamo affermare che c’è stato un incremento vero e proprio delle richieste. In primo luogo dalle banche centrali e dalla cinese in particolare, e secondo poi dagli investitori privati.

I piccoli risparmiatori affascinati da questo mercato possono acquistare oro attraverso fondi e certificati specializzati, o attraverso altri strumenti come l’Etc che consentono d’investire nelle materie prime. Il problema dell’oro di carta risiede soltanto nella possibilità d’insolvenza dell’emittente.

Sale l’offerta russa di greggio

La domanda di greggio, dicono gli analisti, è in miglioramento e nello stesso tempo si prende atto di una novità sul fronte dell’offerta: l’incremento della produzione russa di petrolio. Ecco gli effetti di questo nuovo scenario.