Cnh e Fiat pronte alla fusione

C’è l’intesa: Cnh dice sì a Fiat Industrial. Lo Special Committee, che è un comitato super partes costituito dal cda di Cnh (Case New Holland), considera positiva l’ultima offerta presentata da Fiat Industrial alla controllata americana per l’accorpamento e, dopo quasi sei mesi di trattative, indica ai propri advisor di lavorare con Fiat Industrial per portare la negoziazione al termine e consegnare la documentazione definitiva.

Lo Special Committee di Cnh ha affermato in una nota quanto segue:

“I termini dell’offerta sono il risultato di un «robusto e costruttivo scambio con Fiat Industrial nel corso degli ultimi mesi», afferma in una nota lo Special Committee di Cnh. Fiat Industrial ha migliorato nei giorni scorsi la propria offerta del 25%, mettendo sul piatto un dividendo straordinario di 10 euro per azione ai soci Cnh prima della fusione da erogare, se possibile, prima della fine dell’anno. L’offerta implica la fusione di Fiat Industrial e di Cnh in una società di nuova costituzione con sede in Olanda (la NewCo) in cui gli azionisti di Cnh riceveranno 3,828 azioni di NewCo per ciascuna azione Cnh da loro detenuta e gli azionisti di Fiat Industrial riceveranno una azione di NewCo per ogni azione di Fiat Industrial”.

Un’offerta che sembra essere dunque vantaggiosa per entrambi gli universi di riferimento.

Il gettito Imu 2012

L’IMU è l’Imposta municipale unica che si paga sugli immobili e sui terreni edificabili.

Attiva da circa un anno, è il momento di effettuare alcune analisi sull’effetto della sua prima applicazione.

A farle è il Dipartimento delle finanze del ministero dell’Economia, all’interno di uno studio programmato per il rapporto «Immobili in Italia 2012».

Lo studio sarà illustrato oggi alla Camera.

In base al rapporto le unità censite al catasto a fine 2010 erano più di 60 milioni, un milione in più di quelle censite nel 2009, però se le rendite sono cresciute in maniera più accelerata, giungendo a 34,5 miliardi (+1 miliardo sul 2009), per allineare i valori del patrimonio abitativo a quelli reali del mercato resta ancora moltissima strada da fare. A cominciare dalla revisione delle tariffe d’estimo, non più congrue con i valori di mercato e la loro dinamica.

In base agli ultimi dati forniti dal Ministero, il gettito IMU 2012 sale a 18 miliardi di euro, senza considerare terreni e aree fabbricabili.

L’importo medio si attesta sui 761 euro, ma è molto più basso per l’abitazione principale, per la quale, in media, gli italiani avranno versato a fine 2012 206 euro. Lo studio rivela che

“La tassa è molto concentrata sugli immobili di maggior pregio e sui contribuenti con i redditi più elevati. Considerando solo le proprietà delle persone fisiche, il 10% delle unità con le rendite catastali più elevate paga il 44,7% dell’Imu complessiva, con un importo medio di 2.693 euro, mentre il 10% dei contribuenti i cui immobili sono caratterizzati dalle rendite più basse versa appena il 2,8% del totale”.

ReddiTest, dubbi sulla valutazione dei bilanci familiari

Le dichiarazioni degli italiani ora possono essere gestite tramite un Redditometro. Come funzionerà? Il direttore di Eutekne.Info, Enrico Zanetti ha affermato:

«Tra i tanti limiti e difetti del Redditest, vi è se non altro un pregio di carattere sociale. Ora che tutti i contribuenti saranno chiamati a confrontarsi con uno strumento che, pur partendo da dati reali, opera poi forfetizzazioni e standardizzazioni, con la pretesa di quantificare ciò che andrebbe dichiarato al Fisco, finalmente anche i lavoratori dipendenti, i pensionati e i relativi tribuni capiranno perché si può essere lavoratori autonomi onesti e ugualmente guardare con enorme diffidenza e preoccupazione agli studi di settore e ai loro risultati».

Quello che preoccupa però è la valutazione di tipo qualitativo, le schizofrenie e le eventuali contraddizioni, a partire dal fatto che dalle simulazioni effettuate sono apparse diverse incongruenze:
«Non si tratta di criticare il lavoro effettuato dai tecnici delle Entrate – continua Zanetti – perché è lo strumento in sé che non può funzionare: è palese l’estrema difficoltà di tramutare in reddito presunto il possesso di beni e le spese a vario titolo sostenute nel corso dell’anno».
Insomma la speranza è che il ReddiTest diventi uno strumento per consentire a dichiarare il giustoe non un sistema per indagare nelle abitudini di spesa degli italiani.

Produttività, l’accordo c’è ma senza la CGIL

Nella serata di ieri Palazzo Chigi ha diffuso una nota con la quale ha comunicato che il governo e le parti sociali hanno trovato e firmato l’accordo per la produttività, il quale dovrebbe cambiare le basi contrattuali.

Nell’intesa raggiunta, tuttavia, non rientra la Cgil che ha deciso di non firmare. Il Presidente del Consiglio Mario Monti si augura che la Cgil decida comunque di firmare il documento aggiungendo la sua firma.

Nella nota di Palazzo Chigi si legge:

“Il Governo auspica vivamente che l’intesa, a cui hanno aderito Abi, Ania, Confindustria, Lega Cooperative, Rete imprese Italia, Cisl, Uil, Ugl, sia sottoscritta anche dalla Cgil”.

La produttività è una meta importante e il governo ha parlato di cuneo fiscale e di defiscalizzazione.

Ne testo si legge:

“Il governo ritiene che sussistano le condizioni per confermare l’impegno di risorse destinato alla riduzione del cuneo fiscale del salario di produttività e per procedere, nell’ambito della legislazione vigente e delle risorse disponibili, alla conseguente implementazione degli atti normativi necessari a definire i criteri di operatività dei meccanismi di defiscalizzazione necessari a sostenere, in una logica di incentivazione della contrattazione di secondo livello, i salari e la produttività”.

Il contratto nazionale sarà sempre una garanzia del fatto che i trattamenti economici e normativi restino comuni a tutti i lavoratori così come gli aumenti dei salari. Ora, tuttavia, si parla anche di stare sulla lunghezza d’onda delle tendenze economiche.

Le novità proposte nel documento riguardano anche il fatto che la contrattazione procede verso il livello locale e aziendale.

La Uil ha inoltre chiesto e ottenuto che per i redditi dei dipendenti fino a 40 mila euro lordi l’anno la detassazione al 10% del salario di produttività venga resa strutturale.

Il divieto dei sacchetti di plastica non rispetta le regole dell’economia libera

 Il divieto di commercializzazione dei sacchetti in plastica non biodegradabile, entrato in vigore in Italia il primo gennaio del 2011 che ha anche causato una lettera di richiamo da parte della Commissione europea al nostro paese, pone dei forti limiti all’economia italiana, sia per le aziende italiane che per quelle straniere.

A dirlo è il Consorzio Carpi, che parla in rappresentanza di società che si occupano della raccolta e del riciclo degli imballaggi in plastica terziari:

Il divieto di commercializzazione dei sacchetti di plastica non biodegradabili da parte del Governo italiano è in aperto contrasto con le regole di una qualsiasi economia di mercato che si definisca libera. Imporre la commercializzazione o meno di un prodotto, a favore della salvaguardia e tutela ambientale, deve essere il risultato di una scelta mirata, altamente studiata e non dettata da scelte di convenienza.

In sostanza la legge impone un vincolo di produzione (basti pensare ai diversi spessori che si devono prevedere in base all’utilizzo finale del sacchetto), che è molto difficile da rispettare e che, oltre a mettere in difficoltà le imprese italiane, allontana quelle straniere che vogliono puntare ancora sul nostro paese.

Ma non si tratta di una contrarietà all’oggetto in questione, ma alle modalità con le quali è stato deciso di operare che non hanno preso in considerazione il danno economico a cui si sta andando incontro. la tutela ambientale è un dovere da parte delle istituzioni e delle aziende, ma

è innegabile che la messa al bando dei sacchetti in plastica non biodegradabili ha creato non pochi problemi alle aziende del settore. Tutto questo in un contesto in cui non è ancora stata fatta piena chiarezza sui reali benefici dei sacchetti biodegradabili rispetto a quelli tradizionali.

Budget ristretto per Natale, regali a rischio contraffazione

 Secondo l’analisi della Coldiretti sulla base dell’indagine «Xmas Survey 2012» di Deloitte, per questo Natale 2012 il budget medio a disposizione dei cittadini italiani per i regali da mettere sotto l’albero è di poco più di 260 euro a testa (sono stati stimati 263,6 euro a persona).

Si tratta di una riduzione del budget del 9% rispetto allo scorso anno, il che mette a dura prova l’ingegno degli italiani per la scelta e l’acquisto dei doni. Secondo la Coldiretti, questa ennesima diminuzione del budget disponibile, fa crescere il rischio che la scelta ricada su oggetti contraffatti che permettono di risparmiare molto rispetto ai prodotti originali.

Di questi 260 euro, il 39% sarà destinato all’acquisto di regali per i bambini, per i quali si sceglieranno, prevalentemente, giocattoli e oggetti tecnologici, il resto è dedicato ai regali per adulti, in cui la fanno da padrone l’abbigliamento e gli accessori. Se per i bambini si ha una preferenza netta nella scelta di giocattoli certificati, per quanto riguarda abbigliamento e accessori, invece, il 52% degli italiani si è dichiarato disposto a comprare oggetti contraffatti, soprattutto quelli che copiano le grandi firme.

La contraffazione colpisce anche il settore alimentare, dove, però, gli acquirenti molto spesso sono ignari della non autenticità del prodotto.

Governo e parti sociali firmano per la produttività, ma la CIGL rimane fuori

 Ieri sera è stato finalmente raggiunto l’accordo per la produttività. Il primo ministro Monti si è detto soddisfatto dell’accordo e auspica un ripensamento della CIGL, che ieri non ha firmato. E’ proprio Susanna Camusso, segretario del sindacato, a ribadire le sue perplessità sul contenuto dell’accordo.

E’ stata scelta una strada sbagliata per cui il contratto nazionale non tutelerà più il potere d’acquisto dei lavoratori. Il punto più critico dell’accordo è che abbassa i salari reali. Il governo scarica sul lavoro i costi della crisi e le scelte per uscire dalla crisi abbassando i redditi da lavoro.

Di tutt’altro avviso i rappresentanti degli altri sindacati, per i quali, invece, l’accordo sulla produttività è il primo passo importante per uscire dalla crisi in cui si è arenato il paese. Ma allora, perché la CIGL non ha voluto apporre la sua firma?

In primo luogo perché i 21 miliardi di euro stanziati dal governo serviranno a detassare i salari ma non le tredicesime. In secondo luogo i nuovi contratti nazionali previsti dall’accordo gli aumenti salariali saranno legati al raggiungimento degli obiettivi, il che potrebbe portare ad una disparità dei minimi nelle categorie lavorative interessate.

Un altro punto che ha portato la CGIL a non firmare è la nuova flessibilità prevista dall’accordo, secondo il quale le imprese potranno definire nuovi orari e nuove mansioni, il che vuol dire che potrebbe anche essere ridotta la retribuzione, meccanismo questo che ora è impedito da apposite norme del codice civile.

Provincie, tagli ancora in alto mare

Sono trascorsi venti giorni da quando il Consiglio dei ministri ha approvato il decreto legge che abroga trentacinque province su 86.  Da quel giorno è di fatto partito il  count down di due mesi, previsti per la conversione in legge del decreto.

Tuttavia, ci sono alcuni ostacoli lungo il percorso. Occorre infatti tenere in considerazione la lunga pausa delle feste di fine anno, e dunque la conversione dovrà essere effettuata prima del periodo natalizio.

Se così non dovesse essere si rischia la scadenza del decreto e, all’atto pratico, non verrà tagliata neanche una provincia.

Le operazioni stentano a decollare e tutto procede a rilento. Attualmente non si è verificato alcun primo passo e tutto rimane in alto mare. Nello specifico il decreto è  congelato in commissione Affari costituzionali, al Senato. Nella giornata di ieri è stato procrastinato per l’ennesima volta. Si tratta di una decisione presa successivamente alla dura battaglia consumatasi durante l’incontro tra il Ministro della Pubblica amministrazione, Filippo Patroni Griffi, e i capigruppo dei partiti.

C’è da sottilineare che, ad esempio, la Lega è da sempre contraria ai tagli e in particolar modo allo scioglimento delle giunte prima dei termini previsti dalla scadenza naturale del mandato. Sul fronte opposto, il Pd ha richiesto alcune modifiche ma non ha mai mantenuto una posizione forte tra gli oppositori al decreto. Il più agguerriti? I politici del Popolo delle Libertà, i quali nella persona del vice capogruppo Oreste Tofani, hanno presentato una pregiudiziale di costituzionalità.

Capitali italiani in Svizzera: accordo quasi raggiunto

 Tutti gli italiani che hanno dei conti aperti in Svizzera, fra poco meno di un mese, si troveranno a dover affrontare garanzie di segreto bancario fortemente ridotte rispetto a quelle da sempre garantite dalle banche elvetiche. Il Ministro Grilli sta lavorando ad un accordo con la Svizzera per portare alla luce i capitali italiani depositati nelle banche svizzere e trasformarli in capitale fiscalizzato.

Un accordo che altri paesi europei hanno già stretto da tempo: i cittadini di Germania, Gran Bretagna e Austria vedono tassati i loro capitali già da tempo e le entrate fiscali sono versate dalla banche svizzere alle relative autorità fiscali di ogni paese.

E’ quello che accadrà presto anche in Italia, con modalità simili sulle quali i rispettivi governi stanno ancora lavorando: le delegazioni dei due paesi si incontrano settimanalmente, ma ci sono ancora dei punti che devono essere risolti.

Il ministro dell’Economia Grilli, al suo arrivo alla riunione dell’Eurogruppo per la Grecia, ha commentato:

Stiamo lavorando, abbiamo già fatto diversi incontri a livello tecnico e la prossima settimana ci sarà uno steering committee. Lavoriamo con grande lena, ma ci sono ancora problemi sul tavolo, in termini di trasparenza, riciclaggio e scambio di informazioni. L’auspicio è comunque che si raggiunga un accordo ovviamente non polemico, ma deve essere fatto con tutti gli ingredienti che per noi sono indispensabili.

Bilancio sociale dell’Inps: in Italia la situazione continua a peggiore

 La situazione sociale italiana è sull’orlo del collasso. A rivelarlo il bilancio sociale dell’Inps che più della metà dei pensionati percepisce una pensione al di sotto dei mille euro al mese (circa 7,2 milioni di persone).

Il 17% dei pensionati deve riuscire a vivere con una pensione che non arriva a toccare i 500 euro al mese, il 35% può contare su una somma compresa tra i 500 e i 1000 euro, il 24% tra i 1000 e i 1500 e solo il 2’9% ha reddito pensionistico che arriva a superare i 3000 euro mensili.

Ma non sono solo i pensionati a risentire di tagli e manovre. Anche i giovani under 30 sono una categoria che non ha grandi prospettive per il futuro, con una perdita dell’11,3% degli occupati nel settore privato tra il 2009 e il 2011. I giovani al di sotto dei 30 anni devono poi fare i conti anche con il crollo dei contratti di apprendistato: nel biennio 2009-2011 si è registrato un crollo del -14,6% per questa tipologia di contratto.

Anche l’occupazione delle donne ha subito dei profondi cambiamenti: le donne italiane tornano a fare le colf e si uniscono alla lunga fila di immigrati che da anni, ormai, erano molto presenti nel settore. Nel 2008 le domestiche e badanti di nazionalità italiana erano 119.936, fino ad arrivare a 134.037 nel 2009, 137.806 nel 2010 e 143.207 nel 2011 (23.000 in più in tre anni, circa il 20%).