Licenziamento nullo se la donna ha taciuto la gravidanza

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Un argomento estremamente delicato quel del lavoro femminile e soprattutto della carriera delle donne che oltre ad avere stipendi inferiori a quelli degli uomini e oltre al fatto che non ricoprono posizioni di rilievo, hanno anche problemi aggiuntivi quando si tratta di avere un bambino. 

Essere genitori è una questione che riguarda uomini e donne, una scelta che il più delle volte interessa una coppia di lavoratori, ma a farne le spese è generalmente la donna. Può capitare che la donna in cerca di un’occupazione debba tacere della prossima gravidanza. Poi però il datore di lavoro può pensare che ci sia stata una scorrettezza e licenziarla subito dopo.

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Bene, la Corte di Cassazione ha stabilito che in casi come quelli descritti a titolo esemplificativo, il licenziamento è nullo. Ecco il caso su cui si è pronunciata la Cassazione. Il fatto che una dipendente abbia taciuto la propria gravidanza in fase di assunzione, secondo quanto stabilito dalla Sentenza n. 13692 del 2015, rende il successivo licenziamento nullo.

La gravidanza quindi non può essere considerata un giustificato motivo di licenziamento, anche se il datore di lavoro è stato informato di questo “importante particolare” soltanto dopo la formalizzazione del contratto di lavoro. Questa sentenza prova a spostare la percezione della maternità ma soprattutto spiega che non esiste alcun obbligo d’informazione sulla maternità. Sottolinea la Corte:

“Il licenziamento intimato alla lavoratrice dall’inizio del periodo di gestazione fino al compimento di un anno di età del bambino in violazione dell’art. 2, secondo  comma, legge n. 1204 del 1971, è affetto da nullità, a seguito della pronuncia  della Corte Cost. n. 61 del 1991, ed è improduttivo di effetti, con la conseguenza che il rapporto deve ritenersi giuridicamente pendente e il datore  di lavoro inadempiente va condannato a riammettere la lavoratrice in servizio ed a pagarle tutti i danni derivanti dall’inadempimento, in ragione dal mancato  guadagno” (v. Cass. 15-9-2004 n. 18537, Cass. 10-8-2007 n. 17606).

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