Il caffè che vale il licenziamento

Home > Lavoro > Normative Lavoro > Il caffè che vale il licenziamento

 Impossibile rinunciare alla pausa caffè. E comunque tutti i contratti di lavoro prevedono che il lavoratore, secondo i criteri stabiliti dal contratto stesso, abbia diritto a concedersi qualche minuto di riposo, senza incorrere in nessuna conseguenza. Ma ci sono dei casi in cui la pausa caffè può valere il posto di lavoro.

► Sentenza della Corte di Cassazione su controlli per locali ad uso promiscuo

Lo ha deciso la Corte di Cassazione: sono passibili di licenziamento tutti quei lavoratori che, allontanandosi dalla propria postazione, causino dei rallentamenti al normale svolgimento del servizio.

Il caso è stato portato in tribunale da un lavoratore licenziato di una sede siciliana del Credito Emiliano. Il lavoratore, in data 27 novembre 1997, ha abbandonato lo sportello per prendere il caffè, senza aver portato a termine un’opera finanziaria dal valore di 250 mila euro. Appreso il disservizio, la banca ha proceduto con il licenziamento.

Il lavoratore si è allora rivolto alla Suprema Corte, nella speranza di avere indietro il suo posto di lavoro, ma, con la sentenza 7819 la Cassazione ha confermato il provvedimento del datore di lavoro, anche se, come spiegato nella difesa, al momento erano operative altre casse. Secondo la Cassazione, però:

► L’imprecisione autorizza il risarcimento del consulente

La presenza di una pluralità di casse non esclude che il venir meno di una cassa rallentava le operazioni delle altre sulle quali venivano dirottati i clienti in fila. La giusta causa di licenziamento di un cassiere deve essere apprezzata con riguardo non soltanto all’interesse patrimoniale della banca, ma anche alla potenziale lesione dell’interesse pubblico alla gestione del credito.

Lascia un commento