Crisi Regioni, chi ha pagato di più?

L’Italia ha faticosamente rialzato la china durante lo scorso anno. Nel 2015 infatti il Pil è tornato in positivo e la disoccupazione in rientro dopo sette anni, ma i lunghi anni della crisi hanno lasciato la loro pesante traccia nel Paese e nelle tasche dei cittadini.

Uno studio della Uil mostra i costi della politica che sono di circa 757 euro per contribuente

 È possibile risparmiare sui costi della politica è riservare maggiori risorse ai lavoratori e ai pensionati. Con questa motivazione la Uil ha fatto uno studio dettagliato sui costi della politica per fare capire al governo se per tagliare il cuneo fiscale si possono anche utilizzare i fondi derivanti da una razionalizzazione dei costi della politica.
Il segretario della Uil Luigi Angeletti aveva affermato che avrebbe fatto questo studio dettagliato al Presidente del Consiglio Enrico Letta e ora ci sono i dati che sono stati presentati in una conferenza stampa e che si possono trovare anche sul sito della Uil.
Il report dello studio della Uil mostra come gli organi istituzionali, le società pubbliche, le consulenze, le auto blu e tutto ciò che riguarda la voce costi della politica pesa per 23,2 miliardi l’anno. Questa è l’1,5% del Pil. Le persone che lavorano nelle attività legate alla politica sono 1 milione e 100 mila e corrispondono al 5% dei lavoratori italiani. Considerando quanto costa la politica in proprorzione agli abitanti italiani si ha un rapporto di 386 euro per persona. Se si considera solo chi paga l’Irpef, e non anche i bambini e i neonati, il costo è di 757 euro a persona.
Per Angeletti, si potrebbero ridurre i costi della politica di circa un terzo che sarebbero 7 miliardi risparmiati che per la Uil dovrebbero essere utilizzati per abbassare le tasse sul lavoro.
Gli organi istituzionali delle amministrazioni centrali e decentrate costano 6,1 miliardi. Nel 2013 c’è  un risparmio dl 4,6% rispetto al 2012, ma ci sono situazioni diverse. Come quelle delle regioni che costano di più. Le consulenze costano 2,2 miliardi; gli organi degli enti e dlle società partecipate costano 2,6 miliardi; le altre spese, come il personale nominato dalla politica, le auto blu o i direttori delle Asl, costano 5,2 miliardi.
I 7,1 miliardi che rimangono sono quelli che secondo Angeletti potrebbero essere tagliati. Un terzo circa di 23,2 miliardi. Queste spese riguardano costi generali di funzionamento per 3,2 miliardi. L’accorpamento dei comuni con meno di 15 mila abitanti, il taglio delle provincie e la riduzione delle spese delle regioni potrebbe far risparmiare su queste spese.

Per le Regioni alla Cig manca almeno un miliardo

 Solo qualche settimana fa il Governo ha stanziato, attraverso l’ approvazione dell’ apposito decreto legge IMU – Cig, un miliardo di euro per rifinanziare, per l’anno 2013, la Cassa integrazione in deroga (CIG), uno degli ammortizzatori sociali di maggiore urgenza per il Paese. Ma dalla Conferenza delle Regioni, nel corso dell’audizione davanti alle commissioni Lavoro e Finanze della Camera, arriva ora un nuovo allarme: per coprire il reale fabbisogno dei lavoratori in cassa integrazione manca almeno un altro miliardo di euro.

>Da oggi in vigore il decreto sull’IMU ma i nodi da sciogliere restano

Moody’s taglia il rating di quattro Regioni

 Quattro Regioni italiane sono recentemente finite nel mirino di Moody’s, a causa dei crescenti timori sorti in merito alla loro posizione finanziaria. Si tratta, nello specifico, di Piemonte, Campania, Lazio e Sicilia, che hanno così visto ribassarsi il giudizio sul proprio debito da parte dell’ agenzia americana.

Moody’s sulla situazione creditizia italiana

Piemonte, Campania e Sicilia sono infatti passate da una valore di  “Baa3” a “Ba1”, mentre il Lazio, da solo, è passato da una posizione di “Baa3” a “Ba2”. Le quattro regioni italiane, del resto, sono quelle in cui c’è la maggiore probabilità della necessità di un futuro risanamento dei conti, attuabile attraverso un aumento delle tasse e una razionalizzazione delle spese.

Moody’ conferma l’outlook negativo per l’Italia

I quattro bilanci regionali risultano, infatti, particolarmente sotto pressione al momento, ragione per cui, all’ accumulo di nuovi debiti, il loro outlook non può che essere considerato negativo.

Andando più nello specifico, la Campania soffre per l’ alto tasso di disoccupazione e per il PIL pro capite inferiore alla media della nazione, il Lazio soccombe sotto grandi pressioni finanziarie, il Piemonte, invece vive di grandi squilibri nel bilancio e grandi livelli di debito.

Anche il taglio del rating della Sicilia, infine, è dovuto a deficit di bilancio.

Servono 2 miliardi per evitare l’aumento dei ticket sanitari

 Sulla base di una manovra finanziaria approvata nell’ estate del 2011 dall’ allora Ministro dell’ Economia Giulio Tremonti, a partire dal 1 gennaio 2014 i ticket sanitari dovrebbero subire un forte rincaro.

> La crisi mette in ginocchio la Sanità

Ma il Governo Letta sembra essere intenzionato, per diversi motivi, ad evitare che questo accada. Sono di questo stesso parere, infatti, sia il premier Enrico Letta, che si è impegnato ad eliminare lo scatto delle tariffe, sia i Ministri Lorenzin, alla Salute e Saccomanni, al Ministero dell’ Economia e delle Finanze.

Nessun aumento per i ticket sanitari?

Condizione necessaria affinché ciò non avvenga, tuttavia, sembra essere, come sempre, il reperimento delle necessarie coperture. Per evitare che il prezzo dei ticket sanitari aumenti in tutta Italia, infatti, sono necessari all’ incirca 2 miliardi di euro, che dunque eviterebbero alle famiglie italiane un aggravio di altri 350 euro sul bilancio familiare per le spese sanitarie.

Un’ ipotesi circolata in questi giorni prevede quindi di usare come risorse i risparmi di spesa realizzati nel corso del 2012, come indicato nel Documento di programmazione economica e finanziaria 2013. Ancora cauta, tuttavia, in merito a prese di posizioni ufficiali Beatrice Lorenzin, che ha colto l’ occasione per ricordare invece i lavori in corso dell’ esecutivo sul Patto per la salute con le Regioni, che hanno accolto con favore la notizia del probabile blocco degli aumenti.

Asse bipartisan tra le Regioni contro il patto di stabilità

 Le politiche di rigore applicate agli enti locali stanno piano piano uccidendo gli enti locali. E’ per questo che quattro governatori di quattro regioni italiane si sono riuniti in un asse bipartisan per chiedere al Governo Letta di allentare la rigidità delle politiche di austerity connesse con il patto di stabilità.

I Comuni non subiranno alcun deficit di liquidità

L’ iniziativa è stata presa dai presidenti delle Regioni Lazio, Nicola Zingaretti, Puglia Nichi Vendola, Lombardia Roberto Maroni e Veneto, Luca Zaia, come confermato anche nel corso di una conferenza stampa congiunta, al fine di limitare la compressione delle spese imposta dal patto di stabilità , e sarà seguita da una campagna di informazione e di mobilitazione.

L’Ance avverte il Governo: il decreto non basta a frenare il debito delle Pa

Per Vendola, ad esempio, l’ idea principale è quella di raccogliere tutti gli alleati possibili e costituire al più presto un movimento istituzionale. Un movimento che si opponga alla cecità dei tagli lineari e del contenimento delle spese volute dall’ Europa, e che dimostri che, procedendo di questo passo sarà molto difficile arrivare anche solo al 2014.

Anche per Zingaretti il patto di stabilità europeo sta colpendo in maniera non corretta le amministrazioni locali, bloccando in maniera non utile i patrimoni. E’ necessario quindi allentarne i cordoni che riducono le possibilità di spesa.

Sanità a rischio e default per le Regioni

 Il Cnr attraverso l’Issirfa, l’Istituto di studi sui sistemi regionali federali e sulle autonomie, ha recentemente pubblicato un mega rapporto sulle Regioni per il 2012, in cui vengono messi in chiara luce i rischi che sta correndo e che si prevede continuerà a correre l’intero Sistema Sanitario Nazionale, che attualmente si trova sull’ orlo del collasso.

> Sanità sempre più cara

I servizi sanitari, infatti, che attualmente sono a carico dei bilanci regionali, rischiano di non poter essere più garantiti neanche per quanto riguarda i cosiddetti Lea, ovvero i Livelli essenziali di assistenza, a causa della mancanza dei fondi.

Il debito della sanità pubblica

La colpa è da imputare al perdurare della crisi che costringe le famiglie italiane a tagliare anche le spese mediche, ma soprattutto ai bilanci regionali, all’interno dei quali le spese per il mantenimento di Asl e di ospedali pesano circa per l’ 80%.

Le Regioni, di conseguenza, si trovano anche’esse a rischio default, se non si troveranno nel breve tempo quelle risorse che nel giro di pochi anni, dice il rapporto, sono state tagliate all’intero mondo della Sanità, e che la Corte dei Conti ha quantizzato in circa 31 miliardi di euro.

La crisi economica, dunque, la spending review, si riversano sul mondo del diritto alle cure, modificandone qualità e quantità.