Intervista a Giulio Coppi, giurista nelle ONG

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Giulio Coppi, è un giurista e negoziatore con sette anni di esperienza nell’ambito della sicurezza e della cooperazione internazionale. Si è laureato con lode in Giurisprudenza (International Legal Affairs) presso la Link Campus University di Roma. 

Giulio, tu hai studiato Giurisprudenza alla Link Campus University, con un indirizzo internazionalistico. Quanto ti è servito per lavorare nell’ambito della cooperazione e della difesa dei diritti umani?
La scelta di studiare legge è stata fondamentale sotto almeno due profili. Innanzitutto alla base della difesa dei diritti non c’è altro che i principi di legge ed i suoi strumenti: conoscerli vuole dire capire da dove vengono, come proteggerli o promuoverli. Inoltre, Giurisprudenza contribuisce ad una struttura mentale ed intellettuale concreta adatta ad una realtà – quella delle zone di crisi – dove a volte l’unico obiettivo realistico è più simile al “meno peggio” che non all’utopia dei principi.

Ci puoi raccontare la tua esperienza dopo gli studi? Come sei entrato in questo mondo?
Ci sono entrato per esclusione. Il mio sogno è sempre stato lavorare nel settore internazionale, ma dall’università tutto mi sembrava confuso e non avevo nessuno che potesse spiegarmi le differenze tra le varie professioni. Poco a poco, tramite alcuni professori, ho cominciato a conoscere alcuni professionisti e da lì ho iniziato il mio percorso fatto soprattutto di stage e concorsi. Ho cambiato di “ambito” almeno quattro volte prima di capire che il settore dell’umanitario era quello che faceva per me.

Non è facile spiegare la tua professione, eppure potrebbe interessare a molti. Se dovessi raccontare la tua professione in un ricordo o in un’immagine, di cosa parleresti?
Parlerei della sensazione impagabile di essere nella stessa settimana in un meeting di coordinazione con i colleghi, su una piroga in un fiume amazzonico per assistere delle comunità dopo un combattimento, seduto su di un tronco a negoziare per ore con un comandante della guerriglia, in piedi davanti ad un generale dell’esercito discutendo del comportamento delle sue truppe, e in un ruscello per lavarmi prima di andare a dormire in una tenda da campo davanti ad una scuola od un centro di salute in un villaggio sperduto. Ma anche del senso di dolore od impotenza davanti a delle vittime che si può solo assistere e confortare, dopo aver comunicato una notizia terribile. I privilegi e le responsabilità di questo mestiere vanno a braccetto.

A cosa stai lavorando ora?
Avendo preso una pausa dalle operazioni sul terreno dopo l’ultima missione nel sud dell’Afghanistan, mi occupo di ricerca e sviluppo di progetti legati ai profili giuridici dell’assistenza “cross-border” (come il caso della Syria o dell’Ucraina) ed alla promozione di collaborazioni pubblico-privato in caso di emergenza.

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