9 miliardi di dollari per cinguettare in borsa

 L’offerta fatta da BlackRock per l’acquisto dei titoli di Twitter ai dipendenti che le possiedono è arrivata a quota 80 milioni di dollari. Una cifra molto importante e soprattutto inaspettata, dato dopo ciò che è successo con la quotazione in Borsa di Facebook.

Il social network creato da Mark Zuckerberg, infatti, fu quotato con capitalizzazione di mercato da cento miliardi di dollari per crollare poi dopo pochi giorni, lasciandosi appresso uno strascico di amara delusione e di cause giudiziarie. Quindi gli analisti finanziari guardano con scetticismo la quotazione in borsa di questa tipologia di aziende, ma questo no sembra accadere con Twitter.

Facebook lancia Graph Search ma la borsa s’aspettava di più

Il social network di microblogging, infatti, pur se aspramente criticato ai suoi esordi per non avere un piano di marketing ben definito, è riuscito lo stesso a crescere: al suo lancio nel 2006 valeva 500 milioni di dollari, ora vale 11 miliardi; il numero di utenti è di circa 500 milioni per circa 340 milioni di tweet ogni giorno. Migliorie grazie alle quali Twitter è riuscito a far aumentare gli introiti della pubblicità dai 45 milioni di dollari del 2010 ai 288 milioni del 2012.

Aumento profitti Google

In soli sette mesi Twitter è riuscito ad aumentare il suo valore da 3,7 miliardi a 8 miliardi di dollari. Grazie a questo trend di crescita strepitosa, il social network potrebbe presentare la documentazione per l’ Initial public offering già alla fine del 2013 o all’inizio del 2014, quando i ricavi previsti dovrebbero arrivare a un miliardo di dollari.

Lo spread delle pensioni

 L’Europa deve crescere unita. E’ questo quello che chiedono dall’Eurotower e  dintorni, ma la realtà dei fatti ci racconta un’altra storia, della quale protagonista assoluta è la Germania.

Anche il tema della storia è sempre lo stesso, lo spread, ma non quello che c’è tra i nostri buoni del tesoro e gli equivalenti teutonici, ma quello esistente nella previdenza pensionistica. La Germania, anche grazie all’alto tasso di occupazione registrato nell’ultimo periodo, infatti, è riuscita a mettere nelle casse della Rentenversicherung, l’equivalente della nostra Inps, qualcosa come 30 miliardi di euro.

Record pensioni Germania 2012

Situazione molto diversa da questa parte dell’Europa, invece, in cui paesi come l’Italia, ma anche la Francia e il resto dei paesi che affacciano sul Mediterraneo, riescono a stento a affrontare il pagamento dei mensili pensionistici attuali e non hanno molto per poter garantire che, in futuro, si potrà continuare a dare le stesse speranze di reddito.

Ma la Germania, nonostante la situazione positiva che ha permesso addirittura di diminuire i contributi previdenziali obbligatori dovuti dai lavoratori, ha voluto comunque placare gli animi e ha invitato alla prudenza, soprattutto cercando un modo per cui i politici, attuali e che verranno, non possano mettere mano a questo tesoretto e dissiparlo, rovinando le speranze nel futuro della popolazione tedesca.

Bundesbank rivede stime di crescita

Non si tratta di una paura ingiustificata: queste riserve pensionistiche potrebbero essere utilizzate per ridurre i contributi dell’erario pubblico al sistema pensionistico di circa 4,75 miliardi di euro, fatto che metterebbe il paese nelle condizioni di criticità dei suoi colleghi europei se dovesse esserci un riaggravarsi della crisi o una qualsiasi emergenza.

Novità dal mercato degli smartphone

 Da quel momento in poi la telecomunicazione ha cambiato i suoi connotati. Addio ai telefoni a tastiera, che resistono ancora grazie soprattutto ai BlackBerry, che erano in grado di telefonare, mandare messaggi e, al massimo, fare delle fotografie.

Ora la comunicazione viaggia su Internet e, se fino a qualche tempo fa questa tecnologia era ad esclusivo appannaggio dei business man, adesso è di massa, tanto che, solo nel 2012, in un periodo di piena crisi economica, gli smartphone venduti a livello globale sono stati 700 milioni.

Crollo di Apple in borsa

Il che vuol dire che il giro di affari generato è di 1 miliardo 600 milioni, più della metà del volume di affari di tutto il mercato dei cellulari, in aumento del 43% rispetto ai dati del 2011. La colpa, se così si può definire, fu di quel primo iPhone e di tutto il marketing che la casa di Cupertino è stata in grado di creare intorno a questo nuovo ritrovato.

Apple lancia l’iPhone low cost

Una concorrenza spietata che ha messo in ginocchio case di produzione, fino ad allora leader come la Nokia, e ha dato alla Apple e alla Samsung la possibilità di ingigantire i propri fatturati. Ma, se questa è una battaglia vinta, non si può dire lo stesso della guerra: sono in arrivo, infatti, delle novità dall’Oriente che potrebbero rovesciare le sorti soprattutto della Apple.

Cameron contro Starbucks

 Cosa c’entra il premier inglese Cameron con il caffè? Nulla, a meno che non si stai parlando del caffè di Starbucks. Il premier inglese, nel suo ultimo intervento al WEF di Davos ha voluto lanciare una frecciatina ad una delle più grandi catene di caffè americane, la Starbucks.

Draghi al WEF: il 2012 anno dell’euro

Sull’onda delle tante polemiche che da più parti si stano sollevando contro le multinazionali -soprattutto quelle tecnologiche, tra cui le più bersagliate sono Apple e Google– il premier inglese ha ribadito che, spesso, le multinazionali del genere approfittano del loro potere per non pagare le tasse.

Se sia vero nel caso della Starbucks ancora non è dato saperlo, fatto sta che dai piani alti dell’azienda sono arrivati commenti molto duri su questa ‘illazione’ del premier e fanno sapere, attraverso la voce di Chris Engskov, direttore della filiale inglese, che se il premier non rivede quanto detto, gli investimenti in programma nel prossimo periodo sul territorio inglese potrebbero anche essere rivisti.

La lotta all’evasione colpisce la tecnologia

La linea di difesa scelta dalla Starbucks è molto semplice: dal momento che la società non ha avuto profitto in Inghilterra non è tenuta a pagare le tasse. Ma il problema è che nell’ultimo rapporto di Starbucks si parla di un profitto globale di 274 milioni, ma nessuno di questi generato in Inghilterra, che nel documento, non ha neanche un prospetto separato.

La crisi non influenza il calcio

 Alla faccia della crisi. Le prime 20 squadre al mondo, senza nessuna difficoltà creata dalla situazione economica globale, hanno totalizzato un fatturato complessivo di quasi 5 miliardi di euro.

E’ quanto emerge dalla sedicesima rassegna dello studio Football Money League 2013, pubblicato da Deloitte. La notizia riguarda il nostro Paese da vicino, poichè tra le prime venti squadre ben 5 sono quelle italiane che figurano in classifica.

Tenendo in consdierazione che la prima rilevazione effettuata nel 1996-1997, facendo un rapido raffronto, ad oggi i ricavi sono quattro volte tanto.

Real Madrid in vetta

I prime club in graduatoria sono i top club del campionato spagnolo. In cima c’è il Real Madrid, il quale per la prima volta nella storia sfonda la soglia di 500 milioni (512 per la precisione).

Se messo insieme al Barcellona, altro club di spessore mondiale e massimo protagonista nella Liga, di fatto si giunge a guadagni per oltre 1 miliardo. In proporzione le due squadre si impongono nella top list con oltre un quinto di percentuale tra le prime venti in classifica. Occorre però fare caso al fatto che i diritti televisivi della Liga si configurano con una diversa assegnazione: su un totale di 655 milioni, Real e Barca hanno guadagnato 140 milioni ciascuna, dunque dieci volte di più rispetto alle altre squadre spagnole.

A loro volta le squadre in cima rappresentano circa il 20% dei ricavi totali dell’industria del calcio.

Italia

L’Italia è ben piazzata. Andiamo al Nord, dove il Milan è in ottava posizione con 256,9 milioni, subito dietro alManchester City.

Segue la Juventus, che per effetto dei primi introiti guadagnati dal nuovo stadio di proprietà è locata attualmente al decimo posto con 195,4 milioni. Per il club torinese si tratta di un considerevole salto in avanti, pari al 27%.

Successivamente, in dodicesima posizione, troviamo l’Inter a quota 185,9 milioni. Menzione d’onore per il Napoli che guadagna ben cinque posizioni in classifica, posizionandosi al quindicesimo posto con 148,4 milioni.

Fanalino di coda delle italiane (e della speciale lista) è la Roma, attualmente al diciannovesimo posto con 115,9 milioni di ricavi.

 

Tagli banche inglesi 2013

 Tremano le grandi banche. Le loro strutture, note per aver per permesso agli istituti internazionali di consolidare il loro primato in tutto il mondo,continuano ad essere vittime di tagli, per effetto di una situazione economica tutt’altro che favorevole.

I grandi istituti sono sempre più condizionati dalla pesantezza dei conti delle ultimi stagioni, i cui effetti stanno influendo non poco nella conduzione odierna.

Barclays

Fonti autorevoli affermano ad esempio che in Gran Bretagna Barclays avrebbe dato l’ok per un piano di taglio del 15% della forza lavoro in Asia, Giappone compreso, in particolar modo nel comparto dell’investment banking.

Morgan Stanley

Lo stesso provvedimento, quello dei tagli al comparto dell’investment banking, era stato già avviato in un recente passato da Morgan Stanley. La decisione è stata presa a causa dello scarso livello di marginalità creato dalle tradizionali attività di supporto alla sottoscrizione di azioni e bond, di advisory in generale e di consulenza nelle attività extra finanzarie.

Lloyds Banking Group

Quella che è la banca numero due del Regno Unito, dopo aver avviato modifiche significative ai vertici nella scorsa estate in seguito allo scoppio dello scandalo Libor, ha anche da poco intrapreso la strada per la riduzione degli organici in Europa, sempre per quanto riguarda le posizioni dell’investment banking. I tagli dovrebbero riguardare circa 2 mila dipendenti. Anche Lloyds Banking Group ha cominciato un piano di licenziamenti da oltre mille unità.

Draghi al WEF: il 2012 anno dell’euro

 Mario Draghi al WEF non solo si è scagliato contro il governo Monti, ma nel suo intervento a Davos ha anche parlato di quanto la Banca da lui governata abbia fatto per aiutare i paesi dell’Eurozona a uscire dalla drammatica situazione economica in cui ci troviamo.

Monti e Bersani: è polemica al WEF sugli esodati

Per il presidente della BCE, infatti, il 29012 è stato un anno in cui la moneta unica ha fatto da protagonista e di come abbia riguadagnato terreno, anche grazie agli interventi mirati fatti dal suo istituto. Ma non è finita, la crisi è ancora presente, ma già a partire dalla seconda metà dell’anno sarà possibile vedere i primi segni di miglioramento.

Mario Monti al WEF spiega i motivi della sua candidatura

Ora, però, dopo il tanto lavoro fatto dalla Banca Centrale Europea per evitare problemi drammatici, come i tagli ai tassi e le iniezioni di liquidità per gli istituti bancari in difficoltà, la palla passa in mano ai singoli paesi, perché proseguano la strada del consolidamento fiscale e delle riforme strutturali.

World Economic Forum Outlook 2013

Mario Draghi ha colto l’occasione anche per definire la sua opinione per quanto riguarda la supervisione bancaria: i paesi coinvolti non devono agire come singoli, ma in sinergia con tutti gli altri e con il supervisore centrale che sarà, appunto, la Banca Centrale Europea.

Draghi al WEF si scaglia contro il governo Monti

 Al World Economic Forum di Davos si sono riuniti tutti i più grandi economisti ed esperti di finanza mondiali, tra i quali c’era anche Mario Draghi, il presidente della Banca centrale europea. Oltre a parlare dell’euro e dell’anno appena trascorso in Europa, il presidente della BCE ne ha approfittato per dire la sua anche riguardo alla situazione italiana.

Mario Monti al WEF: polemica con Bersani sugli esodati

Una stoccata ben direzionata è arrivata direttamente a Mario Monti e alle sue scelte. Secondo Draghi l’economia italiana necessita di una riduzione sostanziosa della pressione fiscale che ora, soprattutto dopo le manovre fatte nel corso dello scorso anno dal governo tecnico, grava in modo pesante su imprese e famiglie. Solo in questo modo sarà possibile uscire fuori dalla crisi e far crescere l’economia.

Mario Monti al WEF spiega i motivi della sua candidatura

Draghi ha parlato riferendo anche della situazione degli indicatori economici: l’Italia ha riconquistato fiducia, grazie anche a quanto fatto fino ad ora, ma è arrivato il momento di fare le riforme per il sostegno e il rilancio dell’economia reale, cosa che ancora non è stata fatta.

Secondo Mario Draghi, quindi:

I paesi devono proseguire sia il consolidamento fiscale sia le riforme strutturali, che aumentano competitività e creano posti di lavoro e crescita. Se i governi dei paesi dell’area euro riusciranno a perseverare su risanamento dei conti pubblici e riforme strutturali dell’economia, le politiche della Bce favorevoli alla crescita finiranno per trasmettersi all’economia reale.

In sostanza il presidente si è schierato contro Monti e, dato che ora il premier uscente ha deciso di salire in politica, anche contro la sua lista.

Indice Pmi dà i primi segnali di ripresa

 Il PMI (Purchasing Managers Index) è un indicatore dell’attività manifatturiera di un Paese che riflette la capacità dell’acquisizione di beni e servizi da parte di un paese. Questo indice è prodotto da Markit Group che, in queste ultime ora, ha anche reso noto alcune stime di quello che sta succedendo in questo primo periodo del 2013.

FMI rivede le stime di crescita del Pil globale

A dispetto di molte altre stime, quella fatta da Markit Group sembra essere in controtendenza: gli analisti, infatti, evidenziano che, secondo i dati relativi al PMI, già dalla fine del 2012 sono stati avvistati i primi segnali di uscita dalla recessione economica, che porteranno ad una ripresa dell’attività economica a partire dalla seconda metà dell’anno in corso.

A trainare le vendite e gli acquisti è il mercato cinese, paese in cui l’attività manifatturiera ha raggiunto il livello massimo degli ultimi due anni proprio a gennaio. Stesso discorso anche negli Stati Uniti con l’indice PMI manifatturiero che è salito a 56,1 punti dai 54 di dicembre. Le buone performance di questi due paesi stanno positivamente contagiando anche la situazione della zona euro, in cui la Germania fa da protagonista, con un indice PMI globale pari a 47,5 punti ((a dicembre segnava 46,1).

Confindustria contro la crisi

Certo, non si può parlare di fine della crisi, per quello ci vorrà ancora del tempo, ma gli analisti di Markit sono convinti che questo rialzo tendenziale dell’indice PMI sia un chiaro segno di una incipiente, seppur lenta, stabilizzazione economica.

Record pensioni Germania 2012

La cassa pensioni tedesca è gonfia di credito. A fine 2012 la riserva dei fondi disponibili per il pagamento dei trattamenti pensionistici ha stabilito la nuova cifra record di 29,4 miliardi di euro, aumentata ad oltre 30 miliardi con l’aggiunta di altra liquidità. L’ottimo stato della cassa pensioni è dato dai bassi livelli di disoccupazione, all’aumento dei salari ed ai sostanziosi versamenti provocati dalle tredicesime.

Evento storico

Non era mai successo prima di oggi nella storia della Repubblica federale tedesca: mai gli ammortamenti pensionistici erano arrivati un livello tanto elevato, poiche’ il record precedente era stato raggiunto nel 1992 con 25 miliardi di euro di riserve. All’inizio degli anni ’70 le riserve dei fondi pensionistici oscillavano tra 20 milioni di euro e 22,7 milioni. Le riserve accumulate attualmente bastano per coprire gli esborsi pensionistici di 1,7 mesi.

Ritorno alla crescita

Markit Economics ha dichiarato che in Germania il dato preliminare relativo all’Indice PMI Manifatturiero, nel mese di gennaio, è aumentato da 46,0 punti a 48,8 punti. Il dato è apparso superiore alle attese degli analisti che avevano stimato un indice pari a 46,8 punti. L’Indice PMI dei servizi ora si aggira a 55,3 punti, in aumento in confronto ai 52,0 punti rilevati in dicembre e segnalando una buona espansione dell’attività del settore terziario tedesco. L’indice PMI Composito finale, che misura i risultati combinati delle attività manifatturiere e dei servizi, è sopra i 53,6 punti in gennaio dai 50,3 di dicembre, per il secondo mese di fila sopra la soglia di equilibrio di 50,0 punti. La lettura di gennaio si configura come un ritorno alla crescita, in contrasto con la crisi vista durante l’ultimo trimestre del 2012.