Fmi: “Accordo su Fiscal Cliff insufficiente”

Qualcuno ha cantato vittoria troppo presto. Le Borse hanno festeggiato con un’ottima chiusura dopo l’accordo raggiunto sul Fiscal Cliff tra Repubblicani e Democratici negli Usa, ma il Fondo Monetario Internazionale ha rovinato la festa a tutti: l’intesa non basta a ripianare i conti.

L’America, dunque, sembrava aver evitato il precipizio fiscale e la tempesta economica, raggiungendo alla Camera dei Rappresentanti l’accordo per scongiurare la crisi. L’Istituto diretto da Christine Lagarde, però, è lapidario. L’intesa non garantirà a lungo termine la salute dei conti pubblici d’America.

Per il Fondo Monetario Internazionale, dunque, c’è ancora molta strada da percorrere se si vogliono riportare in vita le finanze pubbliche statunitensi. La ripresa stenterà a decollare e “Non va danneggiata”, come sottolinea il portavoce dell’Istituto Gerry Rice.

Certo è che il Fiscal Cliff servirà a riportarsi sulla strada giusta, inquadrando nel breve periodo le condizioni del debito e quelle del deficit.

Le strategie da adottare sono ancora tante, anche perché il rischio è quello di un crollo del rating, il cui rischio è ancora alto. A sottolinearlo è un portavoce dell’Agenzia di Rating Moody’s.

Tutto da rifare? No, ma molto da rivedere e tanto da aggiungere.

L’accordo sul Fiscal Cliff è solo un rinvio dei tagli alla spesa pubblica

 Obama, soddisfatto per il raggiungimento dell’accordo sul Fiscal Cliff, è subito ripartito per le Hawaii dove ha lasciato moglie e figlie per seguire da vicino ciò che stava succedendo a Washington, ma il lavoro non è ancora finito, anzi, si può dire che la vera battaglia potrebbe iniziare solo ora.

Il prossimo appuntamento importante per l’economia americana sarà a fine febbraio, quando il Congresso degli Stati Uniti sarà di nuovo convocato per decidere il da farsi per scongiurare davvero la recessione. Perché, se da un lato l’accordo raggiunto ieri ha evitato un aumento delle tasse generalizzato per tutta la popolazione, è anche vero che la middle class, la classe che Obama ha sempre voluto sostenere, si vedrà decurtare lo stipendio di 125 dollari.

Ed è anche vero che i tagli alla spesa non sono stati evitati: il problema è stato solo rimandato di un paio di mesi. Il Congresso della nuova amministrazione Obama si insedierà domani e da subito partiranno le trattative per capire cosa fare: i repubblicani hanno a malincuore accettato l’aumento delle tasse per i redditi a partire da 400 mila dollari, ma non sono disposti a cedere ulteriormente. E hanno una grande arma a disposizione: il rinnovo del tetto sul debito, che scade proprio alla fine di febbraio.

 

Raggiunto l’accordo sul Fiscal Cliff: le nuove leggi

 La legge sul Fiscal Cliff è stata votata al Congresso con 257 voti a favore e 167 contrari. un voto sofferto che ha visto una grande spaccatura crearsi all’interno della compagine repubblicana, che ha provato a ribaltare l’accordo con 85 voti sfavorevoli.

Ecco quali saranno le novità per l’economia americana:

Aumento delle tasse per i ricchi: l’aliquota per le tasse passa dal dal 35% al 39,6% per redditi annui superiori ai 400 mila dollari

Sgravi fiscali per la classe media: nessun aumento delle tasse conferma delle facilitazioni già previste.

Aumento della tassa di successione, la cui l’aliquota viene elevata dal 35% al 40% sulle proprietà che hanno un valore superiore ai 10 milioni di dollari.

Proroga per le indennità disoccupazione fino alla fine del 2013.

Estensione dei crediti di imposta per altri cinque anni a favore delle famiglie con figli piccoli o per gli studenti che devono andare al college.

Estensione dei crediti di imposta fino alla fine dell’anno per le imprese che investono in ricerca e innovazione e nelle energie rinnovabili.

Doc Fix: i pagamenti dei medici previsti dal programma Medicare vengono lasciati invariati.

Rimandati i tanto paventati tagli alla spesa pubblica, di cui si parlerà di nuovo fra almeno altri sessanta giorni. Le risorse che sarebbero dovute arrivare da questa fonte, nel frattempo, arriveranno dai tagli effettuati in altri settori, come quello della difesa.

Calo di fine anno per le Borse europee

L’ultimo dell’anno a livello economico-finanziario è senza ‘il botto’.

Le Borse europee sono deboli e fanno registrare dei ranghi assolutamente ridotti in quella che è a tutti gli effetti l’ultima seduta dell’anno che sta per volgere al termine tra pochissime ore.

La situazione, letta dalla borsa di Milano, è la seguente: l’indice d’area Stooxx 600 e’ poco inferiore all’effettiva parità. Per quanto riguarda la situazione delle poche Piazze realmente aperte ed attive, si segnala che Londra e Madrid hanno ceduto una percentuale che si aggira intorno al mezzo punto.

Per quanto concerne Parigi la diminuzione appare di quasi un quarto di punto.

ANSIA FISCAL CLIFF

A cosa è dovuta l’attuale debolezza dei listini? Con ogni probabilità le Borse europee sono molto preoccupate per la situazione di stallo che si sta verificando negli Stati Uniti in merito alle (lentissime e difficilissime) trattative tra repubblicani e democratici sul fiscal cliff.

Per quanto riguarda la situazione ad un livello livello settoriale sono molti deboli i bancari mentre gli acquisti si concentrano sull’energia.

Guardiamo da più vicino la fase di chiusura nelle Piazze di Parigi, Madrid e Londra.

PARIGI

La Borsa di Parigi chiude in rialzo con l’indice Cac 40 che segna +0,58% a 3.641,07 punti.

MADRID

La Borsa di Madrid chiude in positivo. L’indice Ibex-35 segna un +0,45% a 8.167,50 punti.

LONDRA

Chiusura in territorio negativo per la Borsa di Londra. L’indice Ftse-100 cede lo 0,47% a 5.897,81 punti.

 

 

Draghi è l’uomo dell’anno per ‘The Times’

Va al presidente della Bce, Mario Draghi il titolo di Uomo d’affari dell’anno. Il Presidente della Banca Centrale europea è stato nominato con questo illustre riconoscimento dal ‘The Times’ quotidiano britannico.

Secondo quanto affermato dal ‘The Times‘, Mario Draghi è il banchiere centrale che è riuscito a salvarsi dall’immenso caos dell’ultimo periodo economico e finanziario.

Sulle colonne del quotidiano inglese, inoltre, si legge che Mario Draghi è stato senza dubbio il “candidato incontrastato dando forza alla sua istituzione come una delle poche voci credibili nella zona dell’euro”.

Ma le parole sul Presidente della Banca Centrale Europea non finiscono qui. Sul suo conto il quotidiano ‘The Times’ ha aggiunto: “Mario Draghi è riuscito a dare la scossa ai mercati, elevandosi sopra i battibecchi dei leader politici europei per salvare l’euro dalla disintegrazione”.

Ora, però, per Mario Draghi, carico di questa forte responsabilità proveniente dall’incoronazione di uomo d’affari dell’anno del tabloid, arriva la sfida più difficile. Quale: traghettare l’Europa fuori dalla cocente crisi nel corso del prossimo anno. Più volte il Governatore della Banca Centrale europea ha fatto sapere che la missione da compiere avrà dei tempi molto lunghi, e che con ogni probabilità la risalita prevista non arriverà prima del 2014.

 

 

Fiscal Cliff, accordo ancora lontano

L’America rischia grosso e il tempo sta per scadere. Per il Fiscal Cliff è necessario trovare un’intesa entro questa sera. Se così non fosse, il 2013 arriverebbe con una bruttissima notizia per la popolazione: aumento delle tasse ad libitum e tagli alla spesa.

L’accordo tra i Repubblicani e i Democratici sembra, però, essere ancora molto lontano.

Barack Obama dà la colpa ai repubblicani, rei di non dare la propria disponibilità per il raggiungimento di un eventuale compromesso. I negoziati sono iniziati con il piede sbagliato, proprio all’indomani della rielezione del Presidente.

Tutto lascia presagire che i Repubblicani vogliano mettere a priori i bastoni tra le ruote alla gestione Obama.

Entrando nel dettaglio, la lotta si gioca sul fronte delle imposte per i redditi più alti.

I democratici vorrebbero aumentare infatti le imposte a coloro che superano annualmente i 250.000 dollari.

I repubblicani si oppongono. Il compromesso, nella migliore delle ipotesi, potrebbe essere trovato nell’aumento delle imposte entro la soglia dei 400.000 dollari su base annua.

RISCHIO RECESSIONE

Se democratici e repubblicani non si accordano gli Usa potrebbero piombare nel baratro della recessione. Succederebbe infatti che da domani ci sarebbe l’avvio dei tagli automatici alla spesa. Tagli per un valore di 1.200 miliardi. Inoltre, si verificherebbe in automatico l’aumento delle tasse per tutti i contribuenti nonché il rischio per il sussidio di disoccupazione.

Germania: la crescita sarà lenta, ma ci sarà anche nel 2013

 E’ questo ciò che prevede Hans Heinrich Driftmann, presidente dell’Associazione delle Camere di Industria e Commercio (Dihk), alla ‘Frankfurter Allgemeine Zeitung’ (Faz). Secondo Driftmann, infatti, il 2013 la crescita dell’economia tedesca sarà dello 0,7%. Una crescita lenta, ma pur sempre una crescita che eviterà al paese lo spauracchio della recessione.

La Germania, quindi, continua a dimostrare di essere il paese dall’economia più solida in questa parte di Europa, un paese in cui la crisi è arrivata ma che ha avuto tutte le carte in regola per evitare i danni peggiori, soprattutto quelli che la recessione porta al mercato del lavoro, che in Germani resterà solido e che, anzi, prevede tra i 150mila e 200mila nuovi posti di lavoro, soprattutto nel settore dei servizi.

Non è in discussione l’uscita dell’euro. Nonostante negli ultimi tempi si siano levate molti voci, soprattutto a livello internazionale, che vedono nell’abbandono della moneta unica la vera soluzione per uscire dalla crisi, Driftmann parla di un ritorno al marco come di un passo indietro nella costruzione del mercato unico e della libera circolazione delle merci, soprattutto per l’economia tedesca dove le esportazioni sono una buona fetta del Pil.

 

In Spagna aumentano i salari minimi, ma anche i pignoramenti e gli sfratti

 La Spagna sta attraversando un momento davvero complicato. La sua situazione economica è sull’orlo del baratro e, nonostante gli aiuti che giungeranno dall’Unione Europea, il paese è ancora in una situazione di stallo che non prevede miglioramenti nel breve termine.

Per questo il governo spagnolo è tornato sulle sue decisioni e ha proposto un aumento dei salari minimi dello 0,6% a partire dal primo gennaio 2013. I salari base, infatti, erano stati congelati per tutto il 2012 (l’ultimo aumento risale al 2011 quando al governo c’era Zapatero), ma ora, per dare modo alla popolazione di resistere in qualche modo alla crisi, saranno portati dagli attuali 641,40 euro a 645,30, per tentare di recuperare, almeno in parte, la perdita del potere d’acquisto sceso del 4,6% dal 2010.

Ma lo stipendio non è l’unica preoccupazione della Spagna: su base annua è stata evidenziato un aumento degli sfratti (+15,9%) e dei pignoramenti (+18,3%) delle case e delle aziende agricole locali: la crisi non permette più alle famiglie e ai piccoli imprenditori di far fronte ai debiti contratti per l’acquisto delle abitazioni. Stando a quanto riportato dalle autorità giudiziarie iberiche, solo nei primi tre mesi del 2012 sono state predisposte 49.702 procedure di sfratto e 67.537 per il pignoramento.

Nuovo incontro sul Fiscal Cliff

 L’incontro tra democratici e repubblicani era previsto per il 30 dicembre, ma Obama ha ritenuto opportuno accorciare i tempi e già questa sera ci sarà un primo incontro con i rappresentanti del Congresso. Il tema è sempre lo stesso: trovare un accordo per ridurre il debito del paese e riuscire così ad evitare che scattino automaticamente, a decorrere dal I gennaio 2013, i tagli alla spesa pubblica che metterebbero in serio pericolo la sopravvivenza della classe media a stelle e strisce.

Infatti, proprio ieri è arrivato il monito del Tesoro degli Stati Uniti che avverte che il tetto del debito pubblico sarà raggiunto già prima del 31 dicembre, e non durante il corso del prossimo anno come previsto nel 2011 dall’accordo fatto tra le due fazioni opposte, che però prevedeva anche che entro la stessa data venissero approvate nuove misure per ridurre il deficit (ora è all’8%) e il debito (arrivato ad oltre il 70% del Pil).

Se tutto questo non avverrà, verranno tagliati circa 600 miliardi di dollari al welfare (tra sussidi di disoccupazione, taglia i trasporti e riduzione del personale di sicurezza) e saranno aumentate le tasse sui salari del 2%. Questo vuol dire che l’economia del paese potrebbe perdere 3 punti di Pil, ma vuol dire anche che il deficit della nazione si ridurrebbe al fino al 2% nel 2016: niente recessione, quindi, ma il costo sociale di un mancato accordo sarebbe davvero troppo alto.

Il Natale nero degli americani

 Il Natale è passato e gli Stati Uniti sperano che il periodo post vacanze sia meglio di quello appena trascorso, in modo particolare i commercianti che hanno passato il loro peggior Natale dal 2008, anno in cui gli Stati Uniti erano in recessione.

Dal 28 ottobre al 24 dicembre, secondo i dati di MasterCard Advisors SpendingPulse, le vendite sono aumentate solo dello 0,7%, a fronte di un +2% registrato lo scorso anno. La stima è in linea con le  altre che parlavano già nei mesi precedenti di una crescita debole, in un periodo in cui i rivenditori riescono a guadagnare circa la metà dei loro profitti annuali.

Le peggiori performance si sono avute nella zona dell’Atlantico, duramente colpita dall’uragano Sandy, ma gli americani tutti hanno frenato gli acquisti a causa delle preoccupazioni sul fatto che a Washington c’è ancora una grande incertezza sul raggiungimento di un accordo per evitare gli aumenti delle tasse e i tagli alla spesa. E’ Brian Sozzi, capo analista dei titoli azionari di NBG Productions ha dare il quadro della situazione:

Chi vuole il debito sulla carta di credito nel mese di gennaio, quando ci saranno il 2 per cento di controlli e un anno di aliquote fiscali più elevate sui redditi?