La merce invenduta rimessa in circolo dalle startup

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Se per produrre alcuni oggetti si spende 100 e si vende a 150 con la speranza di guadagnare qualcosa, capita anche che il surplus si possa azzerare se la merce resta invenduta. Oggi però delle start up operano in questo settore. Così l’ADNKronos dà informazioni su quello che sta succedendo:

Hopstok -spiega la fondatrice Giulia Ruggi nasce dall’osservazione di un problema reale che chi ha un negozio si trova ad affrontare quotidianamente: la merce invenduta e la difficoltà del riassortimento”.

“Parlando con circa un centinaio di negozi del comparto moda e sport -racconta- ci hanno confermato che da tempo stavano cercando una soluzione come Hopstok, che consente di recuperare l’investimento e non svalutare la merce”.

Sulla piattaforma si possono effettuare scambi e compravendite a prezzo di costo, lasciando al negoziante la facoltà di inserire autonomamente il prezzo di vendita e di modificarlo in corso d’opera, in base alle proprie necessità. In questo primo momento, Hopstok decide di puntare sui negozi del mondo streetwear, per aprirsi successivamente ad altri settori del comparto moda ed estendere il servizio anche ai distributori e alle aziende.

L’idea nasce da esigenze concrete: “Solo in Italia sono presenti circa 140 mila punti vendita multimarca indipendenti di abbigliamento, che ogni anno hanno merce invenduta per 4 miliardi di euro. Mentre a livello globale, ogni anno, la merce invenduta nel settore moda vale circa 240 miliardi di dollari. L’invenduto va a pesare il 20% in media sul fatturato di un negozio, e l’impossibilità di pronto riassortimento causa il 30% di mancate vendite”.

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