Norvegia, segnali di crisi

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Brutte notizie per un ‘paradiso’ come la Norvegia. Lo stato scandinavo che assicura sanità e istruzione (inclusa quella universitaria) praticamente gratuita, con il più alto livello di welfare in Europa ha cominciato a fare i conti con il rallentamento dell’economia globale.

A peggiorare la situazione è il clamoroso crollo del greggio che ha visto calare le sue quotazioni di oltre il 50 per cento in meno di un anno. Ma anche della crisi europea, innescata dalla Grecia, e della brusca frenata delle economie emergenti, partita dal Brasile e allargatasi alla Cina.

Tutto ciò non ha potuto che avere gravi ripercussioni sulle entrate del Governo di Oslo. La ricchezza della Norvegia (industria della pesca a parte) arriva tutta dai giacimenti di gas e petrolio del mare del Nord. In parte sfruttati direttamente dalla società pubblica Statoil, in parte dati in concessione (anche Eni opera nell’area, come tutte le big oil company). Con i soldi guadagnati dai giacimenti off shore, la Norvegia ha garantito un Pil pro capite pari a 98mila dollari all’anno e ha alimentato il suo fondo sovrano, diventato il più grande del mondo con oltre 870 miliardi di masse da utilizzare per gli investimenti.

Il Fondo ora, però, comincia a guadagnare molto meno di quanto è avvenuto fino allo scorso anno e a raccogliere meno capitali. Per la prima volta in tre anni, il fondo sovrano ha fatto registrare un trimestre in rosso. Il rendimento negativo è dovuto per buona parte al comparto obbligazionario, che rappresenta più di un terzo (34,5%) del portafoglio: secondo i dati della Banca di Norvegia che lo gestisce, nel secondo trimestre ha avuto un rendimento in calo del 2,2%. Le azioni, la parte più consistente (62,8% del portafoglio), hanno registrato un rendimento leggermente negativo dello 0,2%, mentre gli investimenti nel settore immobiliare (2,7% del portafoglio) hanno visto aumentare il loro valore del 2 per cento.

 

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