Giovannini frena sulla Riforma del Lavoro

 Il nuovo Ministro del Lavoro Enrico Giovannini frena gli entusiasmi di tutti coloro che si stavano già mettendo al lavoro per una revisione della Riforma Fornero: la Riforma deve, sì, essere modificata, ma occorre cautela nell’intervenire in un programma che solo ora inizia a dare i primi risultati.
► Le modifiche alla riforma Fornero

Quindi, nonostante nel programma del neo premier Letta ci fosse stata fin da subito una revisione della Legge 92, il nuovo capo del dicastero del Lavoro pensa ad un aggiustamento di quello che sembra non andare, ma in modo molto meno profondo rispetto a quanto ci si fosse aspettato.

Enrico Giovannini, dati alla mano, ha parlato di una riduzione della disoccupazione: dopo il grande record registrato nell’ultimo periodo del 2012, il trend disoccupazionale si è stabilizzato – con una sensibile ripresa dei contratti a tempo determinato – il che sarebbe il primo effetto della Riforma voluta dal suo predecessore.

► Letta annuncia modifiche alla riforma Fornero

Inutile, quindi, se non deleterio, pensare ad una revisione profonda della Riforma, soprattutto se queste sarà fatta con provvedimenti di normativa, fiscale o contributiva. Ciò che serve al paese, al momento, è centrare gli obiettivi di crescita, solo in questo modo si potrà pensare a creare nuova occupazione.

Badanti, numero raddoppiato in 10 anni

 Rispetto a 10 anni fa il numero dei badanti e degli assistenti domestici che si prendono cura di anziani e disabili presso le famiglie italiane è cresciuto del 53%, per un totale odierno di un milione e 655 mila persone.

Per la maggior parte stranieri, sono in prevalenza donne, l’82,4% del totale, che hanno un’età compresa tra i 36 e i 50 anni, per un totale di circa 2 milioni di famiglie italiane che ricorrono al loro ausilio.

► Cosa fanno gli immigrati in Italia?

Questi sono i numeri riportati da una ricerca realizzata da Censis e Ismu (Iniziative e studi sulla multietnicità) per conto del ministero del Lavoro, che, se vista al di là della specificità di questi numeri evidenzia, oltre alla massiccia presenza di immigrati chiamati a fare questo lavoro, l’invecchiamento della popolazione del nostro paese.

Ma non tutte le famiglie possono permettersi una badante per assistere il nonno non più autosufficiente. Il costo, infatti, di tale aiuto, se fatto in regola e non attraverso il ricorso al lavoro nero, è di 667 euro al mese per famiglia, nel caso si sia in possesso dei requisiti per accedere ad assegni sociali.

Altrimenti le famiglie rischiano di spendere anche il doppio: 800 euro di paga mensile che diventano 1.200 una volta che si sono versati contributi e pagate le ritenute.

► La tassa sul licenziamento della colf

Quando non si può sostenere una spesa del genere, evidenzia il rapporto, per pagare il collaboratore si riducono i consumi famigliari (48,2% dei casi), si ricorre al risparmio (20,2%) e all’indebitameto (2,8%).

Ma c’è anche chi sceglie di rinunciare al lavoro e stare, quindi, a casa e prestare assistenza in famiglia.

Per gli statali 3000 euro in meno in tre anni

 Tra il 2010  e il 2013 le retribuzioni dei dipendenti statali hanno subito un calo complessivo di circa 3000 euro lordi. Lo rileva, con apprensione, la Cgil, che ricorda come a partire dal 2010 sia stata approvata l’ interruzione degli aumenti salariali per l’ intera categoria e come, entro la fine di quest’ anno, gli stipendi per questi ultimi saranno ridotti di altre 600 euro circa.

Stipendi statali bloccati fino al 2014

La Cgil chiede dunque che vengano al più presto rinnovati i contratti per i lavoratori precari della Pubblica Amministrazione – circa 200 mila contratti tra quelli a termine, gli lsu, gli interinali e le collaborazioni, in scadenza a luglio, in mancanza dei quali molti servizi oggi offerti potrebbero non venire più coperti. Le cifre relative al numero degli addetti del settore, tra l’ altro, non è entusiasmante. In soli 4 anni si sono potuti registrare più di 150 mila dipendenti in meno, che rischiano di diventare 400 mila entro il 2014.

La nuova normativa sulle professioni non organizzate

Stando così le cose, sottolineano dal sindacato, sono almeno due i grandi problemi affrontati dai lavoratori del settore pubblico nel giro di pochi anni: il calo generale del costo del lavoro, che tra il 2010 e il 2014 è stato ridotto di circa 7 miliardi di euro e il gravoso blocco del turn over, che impone un pesante taglio del personale, permettendo di reintegrare solo il 20% dei lavoratori fuoriusciti.

Emergenza cassa integrazione

 Il 2013 è partito molto male per i lavoratori. Nei primi quattro mesi dell’anno sono rimasti a casa 530.000 persone, facendo registrare una perdita media a testa di 2.600 euro.

A dichiararlo è la Cgil, che ha analizzato i dati dall’Inps.

Secondo questi ultimi, nel primo quadrimestre sono stati autorizzate 365 milioni di ore di cassa integrazione con un incremento del 13% in confronto allo stesso periodo del 2012.

Tuttavia, una parte di questi lavoratori rischiano di restare a casa per sempre, perdendo il posto dopo il periodo di cassa integrazione.

La Cisl afferma inoltre che i posti di lavoro a rischio sono 178.000 i posti di lavoro a rischio, se si tengono in considerazione i lavoratori in cassa in deroga o in cassa straordinaria, nonché i provvedimenti che preludono più facilmente alla perdita del posto di lavoro. I sindacati con vigore tornano a chiedere il rifinanziamento della cassa in deroga (caduta nei primi quattro mesi del 54,41% rispetto allo stesso periodo del 2012 a causa della mancanza di fondi) tuttavia avvertono che le risorse non andranno cercate all’interno dei fondi del lavoro come quelli per il salario di produttività.

Il segretario generale Cgil Susanna Camusso, intanto, non ci crede e sbigottita afferma: “Non può essere che per finanziare la cassa integrazione il governo pensi a recuperare le risorse da altre voci che riguardano il lavoro. Sia chiaro: così non ci stiamo».

La laurea? Serve sempre a meno

 Molti di loro hanno preso 110 e lode, ma non se ne fanno nulla. Se gli va bene lavorano come camerieri o in una ditta di pulizie. E lo fanno senza batter ciglio. Lo conferma un’indagine effettuata intervistando 9.000 under trenta. La crisi continua a pesare moltissimo qualità della vita dei ragazzi che, a livello europeo, vedono compromesse le loro prospettive per un futuro autosufficiente dalle famiglie, vero ammortizzatore sociale di questo Stato.

Lasciano la casa dei genitori e mettono su famiglia più tardi degli altri.

Tra gli intervistati, un giovane su quattro ormai si accontenterebbe anche un impiego ben lontano dal lavoro desiderato. E al Sud il rapporto sale ad uno su tre.

Il problema, però, è arrivare a fine mese contenti. A volte il problema è arrivarci con qualcosa da mangiare in frigo.

In altri termini, tra stage sottopagati – che a differenza del nome diventano un vero e proprio lavoro – e impieghi di fortuna, il principale motivo di frustrazione che emerge dal rapporto è legato alla retribuzione, inadeguata per il 47% degli intervistati.

Una consolazione c’è. Per fronteggiare la difficile situazione, i laureati disoccupati le provano tutte e spesso decidono di mettersi in proprio rischiando e costruendosi il futuro. Ce la faranno? Si, perché posseggono uno spiccato senso dell’imprenditoria.

La ricetta della Germania per l’occupazione

 In Europa il tasso di disoccupazione medio è del 10,9%. In Italia, dove la mancanza di lavoro si avverte in maniera drammatica, è dell’11,5%.

► Il lavoro? E’ in Germania

In Germania, invece, la percentuale dei senza lavoro è solo del 5,4%, per un totale di persone che è già sotto ai tre milioni di persone e che scenderà ancora il prossimo anno. Com’è possibile?

La ricetta è semplice quanto intelligente. In Germania c’è il minijob, altrimenti chiamato anche “400-euro-job”, in quanto la retribuzione massima prevista da questo contratto è di 400 euro al mese, che sono diventati 450 all’inizio dell’anno. Introdotto nel 2003, questo tipo di contratto aveva lo scopo di rilanciare l’occupazione, e così è stato, ma ci sono anche dei lati oscuri.

Ad essere impiegati in Germania con questo tipo di contratti sono circa 7,3 milioni di persone, più del doppio del numero dei disoccupati, tutte persone che non pagano tasse e che possono anche usufruire degli ammortizzatori sociali ma che, di contro, non hanno neanche ferie né malattie.

► Disoccupazione in aumento nel 2013 e nel 2014

Ad essere assunti con questo contratto sono soprattutto i giovani sotto ai 25 anni, gli immigrati e il personale non qualificato.

Sicuramente il minijob è un’ottima opportunità per chi non ha alcun reddito, ma ridimensiona di molto il clamore intorno al basso tasso di disoccupazione tedesco.

Il lavoro? E’ in Germania

 Il paese della cancelliera Merkel è considerato il nuovo Eldorato per i giovani italiani in cerca di lavoro. A dimostrarlo il 40% in più rispetto al 2011 di italiani che nel 2012 hanno lasciato l’Italia per andare in Germania in cerca del lavoro che in Italia non c’è.

► Angela Merkel sul problema dei tassi della Bce

Ma non sono solo gli italiani affamati di lavoro a scegliere le Germania, la maggior parte dei disoccupati dei paesi mediterranei dell’europa la sceglie come paese in cui trovar fortuna.

I dati sono stati pubblicati questa mattina da Destatis, l’istituto federale di statistica. Dati che scattano una foto a tinte forti della situazione nella quale versano i cittadini del sud dell’Europa, schiacciati da disoccupazione e austerity: nel 2012, i migranti che hanno avuto come meta la Germania sono stati 1 milione e ottomila persone.

Cifra controbilanciata, anche se solo in parte, dall’esodo dei tedeschi: 712.000 cittadini tedeschi si sono mossi ancora più a nord, non per cercare lavoro, ma nella speranza di trovarne uno più redditizio rispetto a quello che hanno in patria.

► Per la Merkel la situazione italiana è difficile

La maggior parte di coloro che lasciano il loro paese per la Germania sono, in percentuale, sono spagnoli, con il 40% degli arrivi totali, seguiti da  greci e portoghesi (43%) e italiani (40%). La maggior parte di loro è giovane (10 anni in meno rispetto alla media di età tedesca) e in possesso di un alto titolo di studio.

Record di richieste di cassa integrazione ad aprile

 Un aumento del 3,1% su marzo 2013 e del 16,05% rispetto ad aprile dell’anno scorso. Questo è il nuovo record che hanno segnato le richieste di cassa integrazione per aprile 2013.

Nello specifico, però, i dati sembrano essere discordanti.

 

► Per Bonanni è necessario rifinanziare la CIG entro maggio

Infatti, da un lato c’è la richiesta di ore di cassa integrazione in deroga che hanno subito un importante calo: 6,8 milioni di ore in totale, il 65,7% in meno rispetto a marzo (19,9 milioni) e il 76,5% in meno rispetto allo stesso periodo dello scorso anno (29 milioni).

Secondo Antonio Mastrapasqua, però, il calo non è dovuto solo ad una diminuzione delle richieste ma ai problemi di finanziamento legati a questo strumento.

Per quanto riguarda la cassa integrazione ordinaria, il mese di aprile 2013 ha fatto segnare una richiesta pari a 35,7 milioni di ore, contro i 34 di marzo e i 27,2 milioni di aprile 2012, con particolare concentrazione delle richieste per il settore industriale e il settore edile.

57,5 milioni di ore le richieste di cassa integrazione ordinaria, in aumento del 33,4% rispetto a marzo e del 92,2% rispetto ad aprile 2012.

► Nessun calo della disoccupazione per i prossimi mesi

A completare il quadro di un mercato del lavoro sempre in crisi ci sono le 400mila nuove domande di disoccupazione pervenute all’Inps dall’inizio dell’anno.

Per Bonanni è necessario rifinanziare la CIG entro maggio

 Il punto di vista del segretario generale della Cisl, Raffaele Bonanni, sull’ emergenza disoccupazione in Italia è a dir poco tassativo: il Governo, infatti, dovrà trovare al più presto – cioè entro la fine del mese di maggio – quel miliardo  e mezzo utile al rifinanziamento della Cig, la Cassa Integrazione in deroga, a meno di non aggiungere una ulteriore emergenza ad una situazione già estremamente precaria.

Disoccupazione in aumento nel 2013 e nel 2014

Secondo Bonanni, infatti, ad essere a rischio è la stessa tenuta sociale del Paese, poiché, qualora la Cig non venisse rifinanziata, oltre 700 mila cassaintegrati andrebbero andare ad aggiungersi al già alto numero dei disoccupati italiani.

> I giovani disoccupati sono il 38,4%

E per quanto riguarda le cifre relative alla disoccupazione italiana, a partire dal 2007 ad oggi, cioè dalle prime avvisaglie della crisi economica, il numero delle persone senza lavoro in Italia è praticamente raddoppiato. Così che, secondo le ultime stime fornite dall’ Istat, il tasso di disoccupazione del nostro Paese raggiunge oggi quasi il 12%, e si tratta di un valore privo prospettive di miglioramento in futuro.

Per il leader della Cisl, inoltre, le altre emergenze sociali a cui bisogna trovare presto una soluzione sono rappresentate dalla questione degli esodati, dalla necessità di promuovere l’ occupazione e da quella di abbattere la pressione fiscale.

Cosa fanno gli immigrati in Italia?

 Come gli italiani qualche decennio fa lasciavano la patria in cerca di fortuna altrove, così adesso è il nostro paese ad essere la destinazione di migliaia di persone che, provenienti da paesi dove il lavoro non c’è o paesi che stanno attraversando difficili momenti storici e sociali, lasciano le loro terre per tentare fortuna da noi.

► In aumento le imprese straniere in Italia

Il numero esatto degli immigrati in Italia è difficile da stabilire, a fronte di un grande numero che ha ottenuto regolare permesso di soggiorno, infatti, ce un popolo di immigrati che non entrerà mai in nessun conteggio e in nessuna lista. Ma coloro che sono riusciti ad ottenere un regolare permesso, cosa fanno?

Una larga percentuale sono collaboratori domestici. Lo dice l”Indagine sull’assistenza familiare in Italia: il contributo degli immigrati’, uno studio realizzato con il contributo di Unicredit e pubblicato ieri dal Centro studi e Ricerche Idos. Sono stati intervistati quasi 900mila collaboratori domestici dichiarati all’Inps ed è risultato che il 50% di loro è rappresentato da extracomunitari e il 35% da stranieri comunitari, l’85% del totale.

Quasi tutte donne, però, gli uomini che si dedicano all’assistenza domiciliare sono solo un sesto del totale.

► I dati del rapporto Noi Italia dell’Istat

Il rapporto dà anche un quadro completo di come vivono queste persone nel nostro paese: nove intervistati su 10 sono iscritti al servizio sanitario nazionale e nelle stesse percentuali hanno dichiarato di essere soddisfatti del trattamento ricevuto dalle famiglie presso cui è impiegato e di essere apprezzato dai propri datori di lavoro. Solo il 14% degli immigrati occupati nell’assistenza domestica – nel 50% dei casi per anziani non autosufficienti – ha dichiarato di voler cambiare lavoro.