Fine dell’accordo Facebook-Zynga

 Facebook e Zynga sono due aziende che da sempre collaborano per rendere più divertente e appetibile l’esperienza degli utenti sul social network. Non che Zynga si occupi di User Exsperience Design, semplicemente produce giochi.

Zynga, tanto per ricordarlo, è la madre di FarmVille e CityVille. Da tempo cerca di emanciparsi dalla cornice del social network, pur sapendo che migrando verso altri lidi, anche di sua proprietà, non riuscirà a portare con sé i facebookiani con tutti i loro amici.

Nonostante la perplessità appena annunciata, nei giorni scorsi Facebook e la casa di produzione di giochi online hanno raggiunto un accordo che in qualche modo svincola Zynga dal social network blu: non ci sarà più un accordo privilegiato con Facebook che, a sua volta, potrà aprire le porte ad altri sviluppatori.

L’accordo esisteva già dal 2010 ma non era mai stata definita una data certa per la separazione. Fino a questo momento, infatti, si era piuttosto del modo con cui Facebook avrebbe dovuto far crescere gli utenti di Zynga prima di lasciarla andare.

Ora, la separazione è prevista per il prossimo 31 marzo 2013. Sul fronte “giochi” si è fatta già avanti un’altra azienda pronta a rimpiazzare Zynga, si tratta dell’Electronics Arts; sul fronte borsistico, invece, si prende atto di un accordo che pende a favore di Facebook. Il titolo del social network infatti, dopo l’annuncio ufficiale, guadagna subito valore e le sue azioni tornano al livello di 27,27 dollari, mentre perde quota il titolo Zynga che lascia sul terreno di Wall Street ben 12 punti percentuali. 

Berlino: sì agli aiuti alla Grecia

 La Camera bassa del parlamento tedesco ha finalmente sciolto le riserve sulla questione greca e con grande soddisfazione da parte dei mercati che ora tirano un sospiro di sollievo, i deputati del Bundestag hanno approvato gli aiuti europei da inviare ad Atene per salvare la Grecia dal default.

I deputati tedeschi non erano stati convinti dalla liceità della terza tranche di aiuti alla Grecia perché avrebbe comportato un ulteriore sforzo economico anche per la Germania che risulta sull’orlo della recessione. Invece, quando si aspettava soltanto il sì della coalizione di governo formata da Cdu-Csu e Fdp, la situazione si è sbloccata con un’approvazione ad ampia maggioranza sostenuta anche da Verdi e Spd.

Il sì di Berlino, come spiega bene il ministro delle finanze Schaeuble, arriva dalla presa di coscienza che il fallimento di Atene porterebbe alle estreme conseguenze la crisi del debito nell’Eurozona. Ecco le sue parole:

I potenziali effetti di un default greco in altri stati potrebbe essere grave, anzi a dire la verità potrebbe aver conseguenze imprevedibili.

La similitudine usata dal ministro tedesco è quella della Grecia come i paesi dell’Europa dell’Est dopo la fine dell’URSS, ma adesso è allo studio un programma con le misure utili a risolvere in tre anni la crisi del debito dell’Eurozona. Tutto in linea con quanto fatto anche da Angela Merkel in questi mesi

Bpm: avanti con i licenziamenti

 I titoli bancari possono essere un ottimo strumento d’investimento se l’istituto di credito riesce a mantenere una certa linearità nei conti. Il sistema bancario, in generale, quest’anno è stato molto sotto stress a causa della crisi economica e finanziaria. Si è dimostrato il primo a cadere davanti alle difficoltà del mercato.

E’ chiaro che alcuni strumenti nelle mani dei bancari facilitano il percorso degli istituti di credito. La politica dei tassi della BCE è stata provvidenziale, ma in alcuni casi non basta, quindi gli investitori devono sempre tenere le orecchie tese per anticipare le inversioni del trend.

Rientra in questo giro la Banca Popolare di Milano che non ha trovato un accordo con i sindacati. Un accordo del valore di 35 milioni di euro che dovrebbero essere usati dall’istituto di credito lombardo per la riduzione del costo del lavoro.

Nell’ultimo incontro tra le parti sociali e il management della banca, non è stato raggiunto l’accordo. Originariamente l’accordo prevedeva un capitale di 70 milioni di euro. Le trattative vanno avanti da 4 mesi ma sono in calendario nuovi incontri. Il prossimo sarà tra una settimana e tutti sembrano intenzionati a trovare una soluzione.

La banca, intanto, ha annunciato che vorrebbe ottenere una soluzione che preveda anche il licenziamento o comunque l’uscita di 700 dipendenti entro l’inizio del 2013.

Fintecna alla Cdp per ridurre il debito

 Che cos’è Fintecna? E’ un’azienda con un patrimonio immobiliare enorme dentro il quale sono confluiti nel tempo complessi industriali dismessi della siderurgia, ex manifatture di tabacchi, ma anche alberghi, villaggi turistici e l’ex sede del Poligrafico di Stato che sta ai Parioli a Roma.

Fintecna è anche un’azienda tra le maggiori produttrici di navi da crociera e traghetti. Detiene una piccola quota di Air France e un’altra piccola quota di Ansaldo Sts. Peccato che la sua struttura, le finalità e i giri di denaro che determina Fintecna, siano sempre sotto la lente d’ingrandimento.

Per esempio dentro l’azienda che abbiamo messo anche sotto i nostri riflettori, ci sono tantissimi pezzi dell’ex IRI, liquidata dal Governo Amato nel 2000. Anzi, nonostante gli scettici sulla sua tenuta futura, Fintecna ha assorbito l’IRI con l’aiuto di Tremonti.

Oggi, l’ultimo passaggio di quest storia, racconta di un trasloco di Fintecna nel grande contenitore rappresentato dalla Cassa depositi e prestiti che è controllata, com’è noto, dal Ministero dell’Economia. La Cassa depositi e prestiti, è alimentata con i soldi dei risparmi degli italiani, di coloro che depositano i loro soldi alle Poste con l’obiettivo di acquistare buoni fruttiferi oppure obbligazioni.

Il Tesoro, che con la stessa tecnica usata con Fitecna, ha inglobato anche Sace e Simest, spera adesso che gli entrino ben 10 miliardi di euro da usare per la riduzione del debito pubblico.

Le borse festeggiano l’accordo sulla Grecia

 Dopo tanta incertezza sulla decisione di concedere aiuti economici alla Grecia e dopo le indiscrezioni dello Spiegel sulla proposta della Troika di tagliare il debito di Atene, le borse prendono atto della risoluzione della faccenda e l’avvio di giornata è quanto meno entusiasmante.

Il mercato azionario nostrano, dell’Unione Europea, risulta in rialzo per tutta la prima parte della mattinata, visto che nella notte è stato raggiunto  l’accordo sulla Grecia. A rallegrarsi c’è anche il Ftse-Mib che apre con un +1% e a metà mattinata ha già il +0,70%. In crescita anche l’All Share al +0,64%.

A Piazza Affari colpisce molto il buon rendimento dei titoli bancari con Unicredit che guadagna l’1,1 per cento, Intesa Sanpaolo che cresce dello 0,09 per cento e le popolari che guadagnano più dell’1 per cento.

Sotto la lente d’ingrandimento ci sono anche le performance di Mediaset con il +4 per cento e Mediobanca. Dopo la diffusione delle indiscrezioni sul nuovo piano industriale, prende quota anche il titolo di Rcs Mediagroup che guadagna addirittura il 7,1 per cento.

La protagonista assoluta della Borsa di Milano, però, resta Mediaset che fa registrare la migliore prestazione tra le milanesi. L’effetto dell’accordo sulla Grecia si sente anche sulle quotazioni dell’Euro che apre in rialzo sfiorando quota 1,2994 dollari.

Borse in rosso per paura di Atene

 I mercati azionari europei, dopo una settimana di rialzi, la scorsa, adesso hanno aperto le contrattazioni in ribasso. Questo rally sembra collegato all’attesa per il vertice europeo che dovrebbe decidere sulla situazione di Atene.

Purtroppo gli analisti scettici e molti investitori ritengono che il vertice europeo non servirà a sbloccare i fondi destinati alla Grecia. Sul nostro paese ha pesato molto anche la previsione di Morgan Stanley sulla crescita dell’Italia.

Alla fine della giornata Piazza Affari ha chiuso in calo con una perdita dello 0,74 per cento. Fiat Industrial è stato il peggior titolo di giornata. La notizia della fusione con la Cnh non ha fatto bene al titolo che ha perso ben 3 punti percentuali ed è diventato il peggiore dei titoli del Ftse-Mib.

Anche la borsa di Londra ha chiuso le contrattazioni con un saldo negativo, -0,6 per cento. Sulla mercato inglese ha pesato molto la perdita di valore del titolo Barcklays che ha chiuso con un -4 per cento dopo che il fondo sovrano del Qatar ha annunciato di monetizzare la quota restante di 379 milioni di warrant della banca.

Perdono quota anche il Dax di Francoforte (-0,23%), il Cac 40 di Parigi (-0,79%), il Ftse 100 di Londra (-0,56%), l’Ibex di Madrid (-0,44%), lo S&P500 e il Dow Jones (-0,7%), nonché il Nasdaq (-0,3%).

Fiat Industrial migra in Olanda

 Fiat Industrial già a maggio, aveva manifestato l’intenzione di fondersi con la Case New Hollande, con una serie di vantaggi per tutti gli azionisti. Ogni giorno, dall’annuncio di primavera, poteva essere ideale per la fusione che è diventata operativa pochi giorni fa.

Tutti parlano di furto della famiglia Agnelli all’Italia, di scippo a dire la verità. In questo caso, infatti, in gioco non ci sono i trasferimenti degli stabilimenti all’estero, ma si tratta di un’operazione squisitamente finanziaria. E’ tutta l’azienda che migra in un altro paese europeo.

Dallo spostamento si avranno benefici di natura societaria ma soprattutto benefici fiscali che andranno ad allargare il patrimonio degli azionisti di maggioranza che sono proprio gli Agnelli. Alcuni amministratori indipendenti della Cnh hanno dovuto dare il via libera definito alla fusione.

E’ bastata in realtà la loro scelta visto che il resto della decisione era nelle mani delle assemblee dei soci delle due società ma, visto che gli Agnelli sono azionisti di maggioranza in entrambe le società, il risultato, anche per gli osservatori, è stato abbastanza evidente.

Con questa fusione, all’Italia è sottratto un colosso da 25 miliardi di ricavi. Per gli investitori sembrano ottimi i benefici, basta guardare al posizionamento dei fondi internazionali che sono saliti del 13 per cento nel capitale di Fiat Industrial. Facciamo riferimento ad Harris Associated, Fmr, Blackrock e al fondo sovrano di Singapore.

Banche: chiesto il rinvio di Basilea 3

 Chiesto il rinvio delle regole di Basilea 3 da parte delle banche italiane che non vedono nelle nuove norme che dovrebbero entrare in vigore a partire dall’anno prossimo, uno strumento di rilancio dell’economia e di consolidamento del settore creditizio.

La protagonista assoluta di questa vicenda è la federazione bancaria europea che ha inviato una lettera direttamente al Commissario europeo per il Mercato Interno, Michel Barnier, con la richiesta di un rinvio dell’applicazione delle regole previste per il Basilea 3. 

La richiesta parte dalla considerazione che anche le banche americane potrebbero attraversare un momento di crisi a partire dal primo gennaio dell’anno prossimo, se la nuova normativa diventasse operativa. A diffondere la lettera e gli intenti della Federazione, ci ha poi pensato anche l’Abi.

Qualora la richiesta fosse esaudita e qualora gli analisti della Federazione avessero ragione, la ripresa economica dovrebbe iniziare già a metà dell’anno prossimo. Si dovrebbe infatti chiudere un ciclo economico, le imprese dovrebbero avere maggior credito a disposizione ma ci potrebbe essere un ritorno ai livelli precrisi anche per quanto riguarda i finanziamenti e le richieste di mutuo per le famiglie.

L’analisi della situazione americana è stata abbastanza convincente ma di cosa parla l’accordo Basilea 3 nello specifico? Definisce degli standard validi a livello internazionale, validi per le banche, riguardo il loro patrimonio e la disponibilità di liquidità.

L’approfondimento sul sito della Banca d’Italia.

I nuovi progetti di Volkswagen

 Per la Volkswagen l’obiettivo prioritario è uno solo: diventare il principale produttore mondiale entro il 2018 o anche prima. Per questo negli anni ha accumulato un bel gruzzoletto ed ora, in un momento di crisi che interessa i principali “avversari”, può permettersi anche nuovi investimenti.

L’ultima notizia dal settore automobilistico che si riflette molto bene anche in campo finanziario, è quella dell’esposizione della Volkswagen rispetto alla crisi, in confronto a quanto sta accadendo anche a Peugeot, Citroen, Open e Fiat.

Il gruppo automobilistico tedesco, dalla sua, ha una grande liquidità che ha consentito al Consiglio di Sorveglianza di deliberare un programma di investimenti triennale di circa 50,2 miliardi di euro che saranno impiegati dall’azienda dal 2013 al 2015. 

Con i soldi messi in campo si provvederà allo sviluppo di nuovi modelli al fine di realizzare anche nuove fabbriche più produttive rispetto a quelle attualmente presenti. Chiaramente gli investimenti interesseranno in  modo equo tutti i 12 marchi del gruppo, mentre non saranno coinvolte in questo piano di sviluppo le join venture cinesi.

Il presidente del Gruppo Volkswagen, intervistato sui piani futuri, ha spiegato che l’intenzione è quella di espandersi al di fuori del Vecchio Continente con la costruzione di nuovi stabilimenti in Russia ma anche in Cina e in Messico.

Wall Street: sembra già “Natale”

 Il ritorno di Wall Street dopo il Giorno del Ringraziamento è stato abbastanza interessante perché ha dimostrato che il mercato americano si prepara già ai dividendi di Natale. Un po’ in anticipo, ma tutto trova giustificazione nelle previsioni degli analisit.

Le società USA, rispetto all’anno scorso, hanno aumentato di quattro volte il ritmo di erogazione dei dividendi straordinari delle società. Si tratta di un’accelerazione nella retribuzione degli azionisti che nasce dalle previsioni per l’inizio del nuovo anno. Sembra infatti che ci sarà presto un aumento delle aliquote sulle rendite finanziarie.

A sottolineare questa nuova situazione ci ha pensato anche Bloomberg che ha osservato e spiegato che ci sono state ben 59 società americane, quotate nell’indice Russell 3000 che hanno pagato dividendi extra, se si confrontano i numeri con quanto accaduto nel 2011.

La corsa ai dividendi, secondo gli analisti, passa anche da un cambio di prospettiva con il nuovo mandato di Obama. Con George W. Bush, per esempio, era stata varata una tassa al 15 per cento su dividenti azionari. Adesso che l’America attraversa un periodo di crisi, Obama potrebbe scegliere d’incrementare questa imposta.

L’unica alternativa per invertire la rotta delineata è un intervento del Congresso prima che l’aliquota sulle rendite finanziarie arrivi al livello “di partenza” pari al 39,6 per cento.