Italia, male import ed export

Non sono molto confortanti i dati Istat circa l’import e l’export italiano.  Le statistiche mettono in chiara evidenza l’influenza della crisi sul commercio estero. Le esportazioni italiane non vanno a gonfie vele e rasentano soglie minime che non si verificavano da più di tre anni fa.  A non andare bene sono anche le importazioni: si registra una diminuzione del 4,2%, mentre su base annua la diminuzione è ancora più forte e giunge addirittura al 10,6%. Un vero e proprio crollo delle importazioni dunque.

Il periodo al quale i dati fanno riferimento è quello di Settembre, con le esportazioni che sono scese del 2% rispetto al mese precedente di Agosto. In totale sono scese del 4,2% in un anno.

Rispetto ai volumi, la diminuzione delle importazioni e delle esportazioni è ancora più alta con, rispettivamente, il -15,3% e il -7,8%. Le esportazioni si mostrano in crescita se prendiamo in considerazione il terzo trimestre 2012 con il 2,2%.

In particolare, l’Istat fa vedere come l’import sia diminuito soprattutto da Paesi quali il Giappone con il -35% e l’India con il -30,9%. Per quanto concerne le esportazioni, sono in diminuzione soprattutto quelle di beni strumentali con il -8,3% e quelle di prodotti intermedi con il -5,3%.

Particolare difficoltà si riscontra in due settori economici. Nel settore dei mezzi di trasporto, senza prendere in considerazione gli autoveicoli, e nel settore dei prodotti tessili.

Peggiora la situazione del credito, arriva il monito di Visco

 Lunedì scorso la Banca d’Italia ha pubblicato il “Rapporto sulla stabilità” ha messo in evidenza lo stato in cui versano le banche italiane e le imprese italiane e il vertice annuale tra Ignazio Visco, presidente della Banca d’Italia, e i vertici delle cinque principali banche italiane – Unicredit, IntesaSanpaolo, Ubibanca, Mps, Banca Popolare – si configura come un evento chiave per il futuro dell’economia.

I nodo centrale della questione è il credito: quello che le banche non concedono più alle imprese non perché queste non siano ritenute in grado di saldare, poi, i loro debiti, ma perché le banche preferiscono trattenere le proprie risorse in vista di possibili correzioni di bilancio.

E questo fatto, non fa certo bene alle imprese, che dovranno aspettarsi un acutizzazione del problema per tutta la prima parte del 2013. A soffrire di più sono le banche più grandi, almeno secondo le stime e i test dell’Eba e di Bankitalia, ma devono fare attenzione anche gli istituti di media grandezza, soggetti ai rischi derivanti da eventuali fallimenti delle imprese, le quali, tra recessione e contrazione del credito, sono sempre più in difficoltà.

Ci si aspetta, dunque, che in questo vertice il presidente Visco, seguendo le direttive della Commissione Europa, rinnovi l’invito al rafforzamento degli istituti, attraverso un sostegno alla posizione patrimoniale.

 

Contrazione del mercato immobiliare terziario

 Si parla ancora di immobili. Ma questa volta non sono gli immobili pubblici che pesano sul bilancio dello stato,ma quelli privati da utilizzare nel terziario.

Nel 2011 la flessione delle compravendite di immobili uso ufficio ha registrato una flessione del 5,5%, dato che è quasi quadruplicato nel primo trimestre del 2012, quando la flessione ha toccato la percentuale del 19,6%. I dati del trimestre successivo sono ancora più preoccupanti, con un -32,7%.Un mercato che sente le conseguenze della crisi, ma che riesce a salvarsi grazie al fatto che molti proprietari di immobili ad usi ufficio stanno puntando sulla qualità e sulla modernità: le ricerche e i conseguenti contratti di vendita o locazione si concentrano su edifici di classe A, ben posizionati, ristrutturati e già cablati.Ma non solo, si registra anche un’altra tendenza in questo mercato, quella della rinegoziazione dei canoni o del prezzo a metro quadro. Avere un immobile del genere sfitto o invenduto è un peso molto impegnativo da sostenere, quindi i proprietari sono disposti a guadagnare di meno pur di riuscire ad affittare o vendere.

Secondo l’Osservatorio sul Mercato Immobiliare di Nomisma nel primo semestre di quest’anno i prezzi medi di compravendita di uffici nelle 13 grandi città italiane sono diminuiti del 2,1%.

La vendita degli immobili pubblici non salva gli italiani dalle tasse

 La vendita degli immobili pubblici – caserme, edifici, siti industriali, uffici – porterà nelle casse dello Stato una cifra irrisoria: si tratta di 3/5 miliardi di euro, su un totale potenziale di circa 400 miliardi.

Denaro che sarebbe dovuto essere utilizzato per la riduzione del debito pubblico italiano. Una risorsa enorme che lo Stato ha a disposizione per evitare l’aumento generalizzato della tassazione sul popolo ma che, invece, rimane inutilizzabile a causa di una resistenza da parte del governo e delle amministrazioni. E’ il ministro dell’Economia Grilli a gelare le belle speranza che si erano sollevate un anno fa, dicendo che gli immobili pubblici potranno essere venduti solo in parte e dilazionati nel tempo.Non è la prima volta che in Italia si prova a fare un censimento degli immobili pubblici e di capire quali e in che termini possono essere venduti, ma tutti gli esprimenti finora fatti si sono sempre arenati prima di giungere a qualche risultato. Il problema, non nuovo in Italia, è la resistenza di chi ha il diritto all’utilizzo di questo patrimonio pubblico, che viene utilizzato, secondo Gualtiero Tamburini, presidente di Federimmobiliare, per

fare favori (affitti regalati, prezzi di vendita ridicoli). Nessuno si priva di uno strumento di potere. Per spezzare questo circolo vizioso occorreva un coraggio e una lungimiranza che questo governo d’emergenza forse non poteva avere.

 

Bilancio dello Stato

 Tra i documenti più importanti per ogni stato c’è il bilancio, ossia il documento in cui i contabili delle amministrazioni pubbliche registrano e conteggiano ciò che si prevede che incasserà lo stato (in termini di entrate fiscali) e ciò che prevede di spendere (spese per la pubblica amministrazione).

Il bilancio dello Stato è il riflesso delle scelte che il paese fa in termini di politica economica, in cui rientrano, quindi, anche le scelte della finanza pubblica sulle questioni prioritarie e sulle esigenze della collettività.

Come nel caso del bilancio d’esercizio, il bilancio dello stato mette in luce la differenza tra le entrate e le uscite e si possono ottenere tre diversi risultati:

pareggio di bilancio
avanzo primario (saldo positivo tra entrate e uscite)
deficit pubblico (saldo negativo tra entrate e uscite)

Le funzioni principali del bilancio dello stato sono:

Funzione contabile: conoscenza della situazione contabile e della regolamentazione delle attività future.

Funzione di garanzia: i cittadini sono più tutelati se lo stato deve confrontarsi con delle cifre precise e pubbliche.

Funzione politica: serve per capire quali priorità decide di affrontare il governo in carica.

Funzione giuridica: il bilancio deve essere approvato da un’apposita commissione. Senza l’approvazione non si può intraprendere nessuna attività.

Funzione economica: in questo senso il bilancio diventa uno strumento di programmazione dell’attività finanziaria dello stato.

Telecom e Sawiris, si deciderà il 6 dicembre

 Il magnate egiziano Sawiris vuole una parte delle quote della Telecom. In una intervista al Financial Times, pur non riferendosi direttamente all’azienda di Bernabè, ribadisce il suo interesse ad entrare in Telecom:

Quando hai sempre fatto affari nelle tlc è difficile lasciarle. Weather II (il veicolo presieduto da Sawiris), intende allocare parte del suo capitale in questa direzione quando le condizioni sono favorevoli. Per la prima volta in vita mia ho zero debiti personali e zero debiti delle mie società. In questo contesto è una posizione salutare.

Quello che succederà lo si saprà solo il 6 dicembre, dopo il cda Telecop al quale parteciperanno sia il presidente Franco Bernabè che l’ad Marco Patuano, il quale si trova in una posizione difficile, dal momento che la sua entrata in Telecom avrebbe dovuto risollevare le sorti della telefonia mobile, cosa che non è avvenuta.

Patuano non sembra essere d’accordo con l’entrata di Sawiris nella società, anche se questo porterebbe un consistente aumento di capitale da sfruttare per allargare il giro di affari in America Latina. Si prospetta un cda difficile, dal quale potrebbe anche nascere una rottura definitiva tra i quadri aziendali, che porterebbe all’estromissione di uno dei due.

Marchio Alfa rimane in Fiat, anche dopo la fusione con Chrysler

 Non si tratta di soldi o di affari. Quando c’è di mezzo un brand che ha fatto la storia di una casa automobilistica e che,da sempre, è stato il fiore all’occhiello della produzione, non ci sono cifre che possano valerne la cessione. E’ quanto afferma Sergio Marchionne, numero uno del Lingotto, che, in un’intervista al periodico americano Automotive News, ha paragonato l’Alfa Romeo all’Audi:

Se andate a chiedere l’Audi alla Volkswagen non ve la daranno, non è un questione di soldi e lo stesso vale per l’Alfa.

Confermando che il nuovo modello – Giulia, che sarà l’erede della 159 – è già in fase di progettazione e che sarà prodotta negli stabilimenti italiani.

La Giulia sarà una prima iniezioni di fiducia, che sarà seguita da quella dei risultati della fusione tra Fiat e Chrysler: la produzione dei modelli del marchio americano potrà portare le vendite a 4 milioni e 300 mila veicoli, la metà dei quali (2,6 milioni) con le insegne Chrysler.

Marchionne interviene anche sulla possibilità di aiuti statali, come successo in Francia dove il governo ha concesso 7 miliardi di euro per salvare il gruppo Psa Peugeot-Citroen

Il rischio è che ci siano interventi degli Stati destinati a proteggere le entità nazionali che non necessariamente faranno bene al mercato europeo. Stiamo tutti aspettando le determinazioni dell’Unione Europa sul fatto se l’intervento sia corretto e all’interno delle regole.

 

General Motors vuole tenersi Opel

 Durante la sua trasferta a Rüsselsheim, in Germania, Dan Akerson, presidente del gruppo General Motors, smentisce le voci su una possibile rottura con il gruppo Opel. E lo fa davanti a 5000 dipendenti dell’azienda, preoccupati per la possibilità, non proprio remota, dati le ultime vicissitudini del comparto automobilistico in Europa e nel resto del mondo, di perdere il posto di lavoro.

Non chiuderemo né molleremo perché siamo un’azienda globale e l’Europa resta indispensabile: abbiamo bisogno di un forte sviluppo prodotto, di centri design e di una rete di concessionari efficace e Opel ha tutte queste cose.

Queste le parole del presidente di General Motors che ha voluto rassicurare i dipendenti Opel che, nonostante i tagli annunciati di circa 2.600 addetti e le altre misure volte al contenimento delle perdite, la GM continuerà a dare il suo sostegno.

Dan Akerson ha confermato che la Opel, grazie ai due nuovi modelli (Mokka e Adam), c’è la possibilità di vendere fino a un milione di nuove autovetture e che, dato che gli impianti hanno un eccesso di produttività, anche la produzione dei modelli della Chevrolet saranno di competenza Opel.

Una strada da percorrere per riuscire a tornare, entro il 2015, ad un pareggio di bilancio dopo dieci anni di perdite.

Spending review, i tagli per il settore ospedaliero

 I tagli previsti per il settore ospedaliero in Italia voluti dal governo tecnico rischiano di diminuire pesantemente le opportunità di cura e di assistenza per i cittadini italiani.

Con la spending review potrebbero essere tagliati circa 7000 posti letto (attualmente in Italia la disponibilità è di 230 mila) e di chiudere circa 257 ospedali privati accreditati, portando il numero dagli attuali 406 a 149. Gli ospedali privati che rischiano la chiusura sono quelli con meno di 80 posti letto.

I governatori delle regioni sono già pronti a dare battaglia per evitare una tale diminuzioni di posti letto che potrebbe rivelarsi un dramma per la popolazione e cercheranno, la prossima settimana quando è prevista la Conferenza Stato-Regioni sull’argomento, di arrivare, per quanto possibile, ad un compromesso con il Ministro Balduzzi.

Sono tantissime le realtà messe a rischio dal provvedimento che, non solo comportano una minore possibilità di accesso alle cure per i malati, ma anche una sostanziosa perdita di posti di lavoro. Gabriele Pelissero, presidente dell’Aiop, commenta:

Ma è corretto che un provvedimento tanto delicato non passi dal Parlamento? I criteri adottati per riorganizzare la rete di cure sono estremamente rigidi ed è come se mettessero in una gabbia di ferro il sistema ospedaliero. Non solo: da una prima valutazione del provvedimento per gli ospedali privati accreditati ci sarebbe una perdita di circa 10 mila posti letto e altrettanti posti di lavoro.

Fisco, le novità riguardanti l’agricoltura

Il comparto primario è sicuramente il settore che in questo periodo fa da traino all’economia italiana, posizionandosi davanti a comparti quali quello automobilistico e quello industriale.

Non vi è dubbio che l’agricoltura stia attraversando un buon momento di forma. Le novità fiscali approvate dall’emendamento presentato due giorni fa per quanto concerne il disegno di legge sulla stabilità, ne tengono conto e considerano molto il settore.

Parliamo, anzitutto, delle società agricole.

A decorrere dal 2013, Snc, Sas ed Srl agricole ritorneranno alla tassazione originaria: quella che si basa sulla differenza dei costi e dei ricavi. Confermate invece le previsioni contenute nel testo originario circa gli acconti d’impresa. Essi dovranno essere rideterminati tenendo in considerazione il bilancio e non con riferimento ai redditi catastali, a partire dal gennaio del prossimo anno.

Soffermiamoci su ditte individuali e società semplici. Queste due micro-categorie continueranno a determinazione il reddito sulla base dei criteri catastali.

Resta da considerare la nuova situazione fiscale relativa ai terreni agricoli.

La rivalutazione dei redditi dominicali e agrari dei terreni del 15% verrà applicata dal 2013 e non da quest’anno, come invece era stato inizialmente stabilito all’interno dell’originaria legge di stabilità.

Vi era infatti una rivalutazione del 15% che è ridotta al 5% se i terreni sono posseduti e coltivati da coltivatori diretti e imprenditori agricoli professionali.