La ricerca italiana “impatta”

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 Una recente indagine del governo inglese (rilevabile in http://bit.ly/1d4BNxq) ha messo in confronto la quantità di ricerche effettuate nei paesi più evoluti con il cosiddetto fattore di impatto, ossia il numero che indica quante volte uno studio sia stato citato per importanza e qualità in altri studi o riviste scientifiche.

Tra i paesi coinvolti nell’indagine (Stati Uniti, Gran Bretagna, Cina, Francia, Giappone, Germania, Italia, Canada, Brasile, India, Russia) gli Stati Uniti si classificano al primo posto per numero di ricerche realizzate (il 24% del totale mondiale), ma quanto a fattore d’impatto si collocano alle spalle della Gran Bretagna, che vanta il primato mondiale del fattore d’impatto con l’1,6% di ricerche citate.

 

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L’Italia, che realizza il 4% delle ricerche mondiali, si colloca la quinto posto per fattore d’impatto con un significativo 1,4%, uguale a quello della Germania  che però è titolare del 6% di ricerche globali) e leggermente superiore a quello della Francia, che produce il 5% della ricerca scientifica mondiale.

L a posizione dell’Italia acquista un particolare valore se si considera che il nostro paese investe in ricerca solo un modesto 1,25% del PIL, contro le aliquote maggiori rappresentate dal 2,88% della Germania, il 2,77% degli Stati Uniti, il 2,25% della Francia,l’ 1,77% della Gran Bretagna.

Alquanto negative le performance della ricerca russa, che a fronte di un 2% di ricerche prodotte sul totale mondiale, guadagna un fattore d’impatto pari solo allo 0,6% (inferiore a quello indiano e brasiliano), abbastanza modesto, come lo è quello della Cina che con il 17% della ricerca mondiale tocca un fattore d’impatto non che non supera lo 0,7%.

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