Quando lo Stato investe in formazione e poi non riconosce il merito (Tfa)

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 In Italia sentiamo parlare molto spesso di “sprechi”. Spreco di soldi pubblici e di risorse, non solo economiche ma anche intellettuali. Si parla di “fuga dei cervelli” e, altrettanto spesso e molte volte a sproposito, di ” merito”. Sarebbe forse il caso di dare il giusto peso alle parole.
Nel nostro Paese, la meritocrazia è più volte offesa e a tal punto che, ormai, sembra normale non aspettarsela quando si aspira a un lavoro. Quando, poi, il datore di lavoro è lo Stato, alcune situazioni sono ancora più assurde. Il paradosso di uno Stato che seleziona duramente e forma i suoi insegnanti e poi li tiene fuori dall’insegnamento è veramente tipico di uno Stato confuso.
Questo paradosso si chiama Tfa (Tirocini Formativi Attivi). Questi corsi, previo concorso, hanno portato alla formazione annuale degli insegnanti. Sono stati introdotti dal ministro dell’Istruzione Mariastella Gelmini con il D.M. 249/2010 per soddisfare la reale domanda lavorativa e per avere insegnanti più preparati. Una prova preselettiva nazionale, due prove concorsuali con scritto e orale ed ecco i selezionati. Poi il corso all’Università, con lezioni obbligatorie, corsi disciplinari e pedagogico-didattici, esami, il tirocinio a scuola di 475 ore, i laboratori e l’esame finale. Dopo un anno, i nuovi e preparati insegnanti sono sfornati e pronti a portare il loro aggiornato sapere nelle aule. Lo Stato ha investito sulla formazione di queste risorse e ora ci si aspetta che la scuola possa accoglierli e migliorarsi grazie alla loro competenza.
In Italia, però, la storia non segue sempre un percorso logico. Anzi, molto più spesso ne segue uno tortuoso. Quindi, gli insegnanti abilitati con il Tfa non hanno accesso alle Gae, le Graduatorie a Esaurimento, e non possono aspirare al ruolo. Hanno superato le prove del concorso, seguito i corsi, fatto il tirocinio nelle scuole e speso circa 2 mila 600 euro, ma non diventeranno insegnanti di ruolo.
Diventeranno insegnanti precari? Nemmeno, per il momento, perché le graduatorie di Istituto, quelle gestite dalle scuole per le supplenze “brevi”, sono chiuse e si riapriranno con il prossimo anno scolastico.
Questi insegnanti selezionati e formati dovranno aspettare allora il prossimo anno per vedere riconosciuti i loro meriti? Sono 11 mila e sono stati selezionati su una platea di 120 mila. Sarebbero un’eccellenza, ma anche per il prossimo anno scolastico questi meriti non vedranno riconoscimento. In effetti, il ministero dell’Istruzione ha più volte chiuso la porta a un possibile inserimento nelle Gae e poi ci sono i Pas, l’ennesima sanatoria in puro stile italiano.
Il ministro Profumo ha dato l’ok ai Pas prima che il governo Monti cadesse. I Pas riguardano corsi per l’abilitazione all’insegnamento che non prevedono selezione in ingresso. L’attuale ministro dell’Istruzione Carrozza ha stabilito i criteri per accedere ai Pas, probabilmente influenzata dal volere dei sindacati. Basta avere insegnato per almeno tre anni dal 1999 ad oggi, anche in scuole paritarie, per partecipare ai Pas e ottenere l’abilitazione. Niente merito, solo esperienza.
Nell’Italia dell’anti-merito e del riconoscimento dell’anzianità, quindi, chi ha insegnato per tre anni scolastici è favorito rispetto a chi ha superato tre prove concorsuali. Il prossimo anno, gli abilitati con il Tfa soccomberanno a confronto degli abilitati Pas, che hanno dalla loro il punteggio degli anni di insegnamento. Lo studio, il tempo e i soldi spesi dagli abilitati con il Tfa sembrano persi ma, soprattutto, ci si chiede perché il ministero imposti una linea di formazione e reclutamento investendo risorse e formando personale che poi non verrà utilizzato.
Ci vorrebbe un intervento della politica che sia indipendente dai calcoli e dagli interessi dei sindacati. La politica, però, non sembra interessata e, a questo punto, per gli abilitati Tfa depredati non resta che la giustizia amministrativa.

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