Ue, il debito pubblico cala al 92,7%

 Nel terzo trimestre del 2013, il debito pubblico medio dei Paesi dell’Eurozona è diminuito rispetto ai tre mesi precedenti, e si è attestato  al 92,7% del Pil.

Alla fine di giugno del 2013 infatti, il debito era fissato a quota 93,4%. In termini meramente percentuali si tratta di un calo di 0,7 punti, ma è assai più significativo il fatto che questo è il primo ribasso che si registra a partire dalla fine del 2007.

In valori assoluti, rileva Eurostat, ciò implica una diminuzione del debito da 8.875,107 a 8.841,823 miliardi.

Tuttavia, sempre rispetto al terzo trimestre del 2012, il debito pubblico relativo ai 17 paesi della moneta unica è aumentato, sia in termini di valore assoluto (ammontava a 8.529,324 miliardi) sia in termini di punti percentuali sul Pil (era del 90,0%).

 

Nuovo record del debito pubblico

 

Sulla formazione del debito pubblico incidono i prestiti intergovernativi erogati principalmente a Grecia, Portogallo e Irlanda, che da soli gravano per il 2,4% del Pil, corrispondenti a 224,686 miliardi. Anche questi dati si segnalano in crescita sia rispetto ai dati del trimestre precedente (2,3%, 221,079 miliardi) sia a rispetto quelli del terzo trimestre 2012 (1,7%, 158,483 miliardi).

Per quanto riguarda l’Unione Europea dei 28 , invece, il debito pubblico è salito ancora raggiungendo il valore di 11.310,458 miliardi di euro, pari all’86,8% del Pil. Nel trimestre precedente erano 11.282,059 miliardi (86,7% del Pil) e nello stesso periodo del 2012 erano 10.959,398 miliardi (84,9% del Pil).

Il debito pubblico italiano rimane ancora il più alto, in termini percentuali, fra i Paesi dell’intera Unione , ma è comunque diminuito di 0,4 punti nel terzo trimestre 2013 (132,9%) rispetto al trimestre precedente (133,3%): si tratta della prima flessione a partire dal terzo trimestre del 2011.

Nuovo record del debito pubblico

 Il debito delle amministrazioni pubbliche in Italia ha raggiunto il record storico: 2104 miliardi di euro, ivi compreso l’aumento di 18,7 miliardi registrato nel mese di novembre del 2013.

Il fabbisogno, secondo una nota emessa da Bankitalia, per una quota di 12,8 miliardi deriva in gran parte dal sostegno finanziario versato ai Paesi dell’area euro.

In particolare, l’aliquota di competenza italiana dei prestiti erogati dall’European Financial Stability Facility (EFSF) è stata pari a 6,7 miliardi, mentre i versamenti del terzo e quarto rateo della sottoscrizione di capitale dell’European Stability Mechanism (ESM), effettuati rispettivamente nei mesi di aprile e ottobre, hanno comportato oneri per complessivi 5,7 miliardi.

 

► La Banca d’Italia lancia l’allarme sul debito pubblico

 

Il contributo italiano al sostegno finanziario dei Paesi euro, dal 2010 ad oggi, è stato pari a 55,1 miliardi, così suddivisi: 33,6 miliardi relativi alla quota di partecipazione ai prestiti in ambito EFSF; 11,5 miliardi per la sottoscrizione del capitale dell’ESM; 10 miliardi per la partecipazione ai prestiti bilaterali in favore della Grecia, la cui erogazione si è conclusa nel 2011.

Tra gennaio e novembre del 2013 le entrate tributarie assegnate al bilancio dello Stato hanno prodotto un gettito di 339,1 miliardi (di cui 31,2 nel mese di novembre), registrando una lieve diminuzione rispetto alle entrate dello stesso periodo del 2012, che si era assestato su 340,7 miliardi.

 

► Per il debito pubblico un nuovo record e calano le entrate fiscali

 

Gli investitori  non residenti detengono in portafoglio titoli di Stato italiani per un ammontare di 693,061 miliardi di euro (ottobre 2013) con un incremento rispetto ai 684,208 miliardi del mese di settembre.

La percentuale dei titoli del debito pubblico italiano in mano a soggetti esteri si è attestata in ottobre al 39,4% del totale (stesso livello del mese precedente) includendo in essa anche i titoli di Stato sottoscritti dalle banche centrali estere e dalla BCE ,nonché dagli da investitori nazionali attraverso soggetti non residenti.

A giugno del 2011 la quota dei titoli pubblici italiani in mano a soggetti esteri superava, sia pur di pochi decimi, il 50%.

Lo spread Btp-Bund torna ai livelli del 2011 e l’Italia festeggia il risparmio sul debito

 L’arrivo del 2014 ha portato per l’Italia anche una notizia molto positiva in ambito finanziario, che va ben sperare in merito all’apertura per il nostro paese di positive possibilità di ripresa. Proprio in questi giorni, infatti, il differenziale tra i titoli di stato italiani Btp e i titoli tedeschi Bund è sceso sotto la soglia record dei 200 punti, valore che non si incrociava dall’estate del 2011. 

Lo Spread sotto i 200 punti apre alla crescita e al taglio delle tasse

 Lo Spread sotto i 200 punti non si vedeva da luglio 2011. Il 2014 si apre bene e con un nuovo record quindi per quanto riguarda il differenziale tra i Btp italiani e i Bund tedeschi a dieci anni. Un record che fa piacere ascoltare, mentre è ancora presente nella mente degli italiani il livello raggiunto nei momenti peggiori della crisi a più di 500 punti.
Il governo manifesta la sua soddisfazione per questo risultato e il ministro dell’Economia Fabrizio Saccomanni, in una nota, si appresta a dire che lo Spread sotto i 200 punti significa maggiore fiducia dei mercati finanziari sull’Italia, conti pubblici migliori e maggiori risorse per la crescita e il taglio delle tasse. Nella nota si legge: “Lo spread che a inizio anno si aggira attorno ai 200 punti base, scendendo anche sotto tale soglia, indica che i mercati apprezzano l’operato del governo, il suo impegno per il mantenimento della stabilità dei conti e per l’avvio delle riforme, sia istituzionali che economiche”.
Oltre a Saccomanni, molti altri membri del governo Letta hanno fatto affermazioni sulla notizia che lo Spread è sceso sotto la soglia, per certi versi psicologica, dei 200 punti.
Il ministro dell’Economia Saccomanni ha aggiunto: “Ho sempre sostenuto che livelli più elevati di spread fossero influenzati da fattori di carattere speculativo improntati all’incertezza politica. Oggi, pur mantenendo la dovuta cautela suggerita dalla volatilità dei mercati, possiamo essere più fiduciosi perché le prime indicazioni sono favorevoli. Le previsioni che avevamo descritto nella Nota di Aggiornamento al Def si stanno attuando. Di particolare rilievo è il dato sui rendimenti, sotto il 4%”.
Lo Spread non è un elemento teorico ma pratico. Gli effetti sono minori interessi sul debito pubblico e quindi maggiori risorse per gli investimenti, per alleggerire la pressione fiscale e per l’accesso al credito di famiglie e imprese.

Equitalia invita le Partite Iva alla compensazione crediti – debiti

 Anche al direttivo di Equitalia è sembrato opportuno negli ultimi tempi ricordare ai contribuenti la possibilità di compensare debiti con lo Stato con crediti commerciali vantati con le pubbliche amministrazioni. Equitalia Spa ha infatti recentemente inviato a 150 mila titolari di Partita Iva una comunicazione in merito. 

Per il debito pubblico un nuovo record e calano le entrate fiscali

 Il debito pubblico italiano fa segnare un nuovo record. La Banca d’Italia, nel supplemento al Bollettino statistico, ha comunicato infatti che a ottobre 2013 il debito pubblico è arrivato a 2.085.321 milioni. A settembre il debito pubblico era a 2.068.722 milioni mentre a ottobre 2012 era a 2.016.042 milioni. Una crescita continua, quindi, che sembra inarrestabile. L’Italia ha uno dei debiti pubblici più alti del mondo e questo è sempre un elemento di richiamo da parte dell’Europa e un limite allo sviluppo.
Oggi Standard and Poor’s ha confermato per l’Italia il rating BBB e l’outlook negativo basato proprio sull’alto debito pubblico e sulle previsione scarse di crescita. Il debito pubblico già alto continua quindi a crescere e le possibilità di vedere la crescita economica in Italia si assottigliano, soprattutto se la politica non interviene con scelte efficaci.
La Banca d’Italia ha mostrato anche i dati sul fisco. Da questi dati emerge che nei primi dieci mesi di quest’anno, gli incassi delle tasse sono stato di 1,442 miliardi. Nel periodo che va da gennaio a ottobre 2013 il gettito è stato di 307,8 miliardi. Nello stesso periodo del 2012, il gettito è stato invece di 309,3. Per lo Stato si registra quindi un minore gettito dello 0,4%.
Il debito pubblico che aumenta e le minore entrate fiscali non sono quindi belle notizie per l’Italia impegnata a uscire dalla recessione a favorire lo sviluppo industriale. I segnali della ripresa della produzione industriale e del Pil che non è più in discesa fanno ben sperare, ma per molti analisti economici gli effetti sull’economia e soprattutto sull’occupazione, un problema importante per l’Italia, non saranno ottenibili a breve.

Standard and Poor’s conferma BBB e outlook negativo

 Questa mattina Standard and Poor’s ha confermato che la valutazione per l’Italia con un rating a lungo termine BBB. Per l’agenzia di rating l’outlook rimane negativo e il rating di breve termine è a A-2.
Nella nota di Standard and Poor’s si legge che le prospetive di crescita dell’Italia sono ancora contraddistinte dalla debolezza e che il debito pubblico continua a essere uno dei più alti tra tutti i Paesi su cui si ha un rating. Inoltre, il meccanismo di trasmissione monetaria viene definito come indebolito. Da questo dipendono le condizioni più chiuse nel credito per i privati e il rischio del peggioramento della situazione a livello finanziario.
Per Alessandro Tentori di Citi, la crescita è sempre bassa e la stabilità politica sempre in discussione. Inoltre, la liquidità che la Banca centrale europea (Bce) ha passato alle banche non si è tradotta in finanziamenti e investimenti sia per le banche stesse sia per un problema strutturale di domanda. Il fatto che le piccole e medie imprese non vogliono più investire influenza in maniera negativa l’occupazione e la crescita.
Standard and Poor’s afferma che sono necessarie le riforme nell’ambito lavoro, servizi, energia e fisco e dice anche che è difficile che le stesse possano essere realizzate nei prossimi due anni. La situazione dipende anche da quella politica e da come questa evolverà in questi mesi e in questo anno.
L’agenzia di rating afferma anche che la legge di stabilità del governo Letta è un primo passo verso la realizzazione di queste riforme, in quanto contiene l’abbassamento delle tasse sul lavoro e le imprese, ma l’effetto di questi per Standard and Poor’s è limitato allo 0,2% del Pil.
Le agendie di rating Moody’s e Fitch hanno anch’esse per l’Italia un outlook negativo. Il rischio è che il governo non riesca a realizzare le politiche per la crescita e a evitare il peggioramento superiore alle previsioni degli indicatori finanziari.

La Bce conferma il sostegno all’economia Ue

 Il Presidente della Banca centrale europea (Bce) Mario Draghi conferma la politica economica basata sui tassi di interesse bassi per il sostegno ai Paesi Ue. I tassi di interesse resteranno bassi ancora a lungo come confermato da Mario Draghi in un intervento al Parlamento europeo. L’Eurozona potrà contare sul sostegno della Bce, visto che l’economia è ancora in affanno, e i tassi d’interesse, che sono al minimo storico, potrebbero scendere ancora.
Per l’Italia c’è ancora la richiesta di contenere il debito pubblico e fare più sforzi per il risanamento. Nel bollettino mensile, quindi, la Bce chiede all’Italia di fare di più in quanto il peggioramento delle condizioni economiche è imputabile primariamente a rapporto deficit/Pil che è sopra le stime e le previsioni. Quello della Bce è quindi un monito visto che l’obiettivo del rapporto deficit/Pil del 2,9% non è stato raggiunto, è al 3%, e per il 2014 la previsione è all1,8%. Il risanamento non è quindi in linea con quello richiesto e si chiedono maggiori sforzi.
Il Presidente Mario Draghi ha affermato: “Abbiamo ridotto i nostri tassi di interesse a livelli storicamente bassi e per chiarire l’orientamento della nostra politica monetaria a venire abbiamo introdotto delle linee guida future. Abbiamo detto che ci aspettiamo che i tassi di interesse chiave rimangano al livello attuale o inferiore per un lungo periodo di tempo. Abbiamo ridotto due dei tassi di interesse chiave con la diminuzione della pressione dei prezzi e abbiamo anticipato la debolezza dell’inflazione. Mantenendo queste anticipazioni confermiamo anche le nostre linee guida nella loro formulazione originale”.
La Bce si concentra anche sull’abbassamento dei tassi di finanziamento alle piccole e medie imprese che sono la base dell’economia. C’è poi l’importanza dell’Unione bancaria che per Mario Draghi si può raggiungere prima della fine della legislatura del Parlamento Ue.

Per la Corte dei Conti il debito pubblico e il fisco limitano la crescita

 La Corte dei Conti lancia un monito al governo su debito pubblico e tasse che non permettono la crescita economica del Paese. Il presidente della Corte dei Conti Raffaele Squitieri nel discoso sul suo insediamento ha prlato dell’eccessivo peso del fisco che è arrivato al 45% del Pil. Un aspetto che limita la crescita economica soprattutto se le risorse sempre più alte del prelievo fiscale non saranno spese meglio. Il presidente Raffaele Squitieri ha affermato: “Poiché ormai nella nostra economia il prelievo fiscale ammonta a circa il 45% del prodotto non si potrà avere un consistente miglioramento nell’allocazione delle risorse, e con esso un rilevante accrescimento della produttività totale e, dunque, una sensibile accelerazione della crescita economica, se non sapremo spendere, meglio di quanto ora facciamo, le ingentissime risorse derivanti dal prelievo fiscale”.
La Corte dei Conti sottolinea l’importanza del debito pubblico che in Italia è a un livello che non ha pari nel mondo. Il debito pubblico è quindi tra i principali responsabili della scarsa crescita, in quanto tiene l’Italia in una sorta di circolo vizioso da quale è sempre più difficile uscire.
Il presidente Squitieri sul debito pubblico del nostro Paese ha detto: “può essere lieve da portare, e può essere più agevolmente ridotto, nel contesto di una economia che cresce. Perchè nelle espansioni economiche la domanda di interventi pubblici che sostengano i redditi si fa meno pressante e perchè l’espansione economica genera, di per sè, aumenti delle entrate fiscali”.
Tra gli aspetti più importanti per superare questa condizione i magistrati contabili indicano la battaglia contro la corruzione. Viene rilevata la leggera ripresa economica, ma anche sottolineato il rischio di deflazione che potrebbero portare a recessione e all’aumento del debito.

Le imprese italiane non riescono a pagare i debiti alle banche

 In Italia la preoccupazione maggiore a livello economico è il debito pubblico. L’Europa richiama continuamente l’Italia al rispetto dei parametri e all’abbassamento del debito pubblico al fine di rispettare i patti. In Europa il nostro Paese è al secondo posto per quanto riguarda l’ampiezza del debito pubblico e la questione è quindi da tenere sotto controllo.
Secondo alcuni esperti, però, il problema dell’Italia è anche quello del debito privato. Le banche hanno problemi relativamente al debito privato, in quanto molte imprese e cittadini non riescono a pagare i debiti che hanno con gli istituti bancari, soprattutto per effetto della crisi economica.
Il Fondo monetario internazionale (Fmi) ha confermato che le imprese italiane hanno dei problemi nel pagare i debiti alle banche, oltre che mostrare come il reddito delle famiglie italiane è basso e in particolare quello dei giovani e dei ceti deboli.
Per il Fmi c’è una vulnerabilità nelle aziende italiane nel pagamento degli interessi alle banche. Gli economisti dell’Fmi vedono il problema nel rapporto tra interessi e utili che si basano sulla bassa capitalizzazione. Per il Fmi le banche italiane sono comunque promosse in quanto sono in grado di resistere alle condizioni di debolezza economica e alla lenta crescita.
Le famiglie italiane rappresentano la ricchezza del Paese. Alcune famiglie hanno un patrimonio che riesce a contenere gli effetti del reddito più basso. I giovani, però, non riescono a mantenere o ad aumentare la loro ricchezza. Il fatto che la maggioranza degli italiani possiede la casa di proprietà è un aspetto importante, ma il calo dei prezzi potrebbe portare a dei rischi.