Diritto alla disoccupazione una tantum per i lavoratori parasubordinati

 La Fondazione studi dei Consulenti del lavoro si è espressa sulla disoccupazione una tantum alla quale hanno diritto i lavoratori parasubordinati in caso di sospensione dell’attività lavorativa.

► Come richiedere l’ ASPI – Assicurazione Sociale per l’ Impiego

Partiamo dall’inizio e spieghiamo chi sono i lavoratori parasubordinati. Come dice il temine stesso, appartengono a questa categoria i lavoratori che hanno un rapporto di lavoro a metà strada tra il lavoro autonomo e il lavoro dipendente, ossia con forme di collaborazione continuative nel tempo ma senza vincolo di subordinazione (rientrano in questa categoria i lavoratori a progetto e i collaboratori occasionali).

Per questi lavoratori la legge 92/2012 prevede, in via sperimentale, un assegno di indennità di disoccupazione una tantum in caso di interruzione del rapporto lavorativo.

I requisiti per l’accesso al contributo di disoccupazione una tantum

La legge 92/2012 prevede che, per i tre anni di sperimentazione della disoccupazione una tantum per lavoratori parasubordinati, l’accesso sia ristretto a coloro che presentino la relativa domanda e rispettino congiuntamente i seguenti requisiti relativi all’anno 2012:

regime di monocommittenza

reddito lordo complessivo soggetto a imposizione fiscale inferiore a 20.000 euro

assenza di contratto di lavoro per un periodo ininterrotto di almeno due mesi

almeno tre mensilità accreditate presso la Gestione separata

e, per l’anno 2013, aver accreditato almeno una mensilità presso la Gestione separata.

► La certificazione dello stato di disoccupazione

Obbligo di voucher per il lavoro accessorio, pena la trasformazione in contratto a tempo indeterminato

 Se il datore di lavoro non ha intenzione di rischiare una maxi sanzione per aver assunti dipendenti senza contratto, in caso di lavoro accessorio può ricorrere al pagamento della prestazione lavorativa tramite voucher.

► INAIL – Comunicazione variazioni dati prestazioni occasionali di lavoro accessorio

Lo spiega la nota 12695 del Ministero del Lavoro che specifica che il datore di lavoro può essere soggetto alla maxi sanzione prevista per il lavoro in nero se non ha proceduto alla regolarizzazione delle comunicazioni dell’avvenuta attivazione del rapporto di lavoro all‘Inps/Inail.

Se, però, ci sono dei giorni di lavoro non coperti dalla corresponsione dei relativi voucher per il pagamento della prestazione, l’Inps può indagare su quanto accaduto e, nel caso in cui il datore di lavoro abbia avuto lavoratori in nero, il servizio ispettivo può ricorrere alla trasformazione del rapporto di lavoro di lavoro accessorio e occasionale in un contratto di lavoro a tempo indeterminato.

► INAIL – Comunicazione preventiva di prestazioni occasionali di lavoro accessorio

Si parla di lavoro occasionale e accessorio quando la prestazione lavorativa non supera i 2000 euro di compenso annuo ricevuti dallo stesso datore di lavoro, per un massimo di 5000 euro sommando i compensi ottenuti dai vari rapporti di lavoro. Per questo motivo, per l’utilizzatore di questo tipo di rapporto lavorativo è importante specificare con il prestatore d’opera il valore limite della prestazione lavorativa.

I diritti del lavoratore con un contratto a termine

 L’accesso al mondo del lavoro in Italia, in modo particolare per i giovani, si fa sempre più difficile. La crisi economica impedisce alle aziende di poter fare programmi a lungo termine e, nel caso in cui assumono, lo fanno per un periodo di tempo limitato, con l’utilizzo, sempre più massiccio, dei contratti a termine.

► Deroghe all’obbligo di motivazione per i contratti a termine

Nonostante questa tipologia di contratto sia alla base della precarietà dei giovani, il lavoro a termine si configura sempre più spesso come unico modo per entrare a far parte del mondo del lavoro. Chi accetta di lavorare anche solo per un periodo di tempo limitato, comunque, deve essere considerato come un lavoratore a tutti gli effetti e, in questo senso, nel pieno godimento dei diritti del lavoratore.

I diritti dei lavoratori a termine

Partiamo dal presupposto che un lavoratore assunto con un contratto a termine gode di tutti i diritti dei quali gode un lavoratore assunto a tempo indeterminato che svolge la stessa funzione, quindi ha diritto a:

– Contributi

– Tredicesima

– Tfr

– Malattia o assicurazione contro gli infortuni

Allo stesso modo anche lo stipendio del lavoratore temporaneo deve essere calcolato in base alle indicazioni dei contratti collettivi per il settore di riferimento.

► Cos’è il licenziamento per giusta causa?

Inoltre, il lavoratore assunto temporaneamente non può essere licenziato prima della scadenza del contratto se non per giusta causa. Se il licenziamento avviene per altri motivi, il lavoratore a termine ha diritto a l’ultima mensilità e al pagamento delle ferie spettanti e non godute.

Deroghe all’obbligo di motivazione per i contratti a termine

Il Decreto Lavoro del Governo non ha centrato in pieno alcuni dei suoi obiettivi fondamentali, tra i quali c’è quello di rendere più agevole la stipula di contratti di lavoro, soprattutto per i contratti a termine, uno dei contratti più frequenti in Italia per l’assunzione dei giovani e non solo.

► Mini – guida del Ministero al Decreto Lavoro 2013: gli interventi per i giovani

Infatti, per quanto riguarda l’obbligo di motivazione dei contratti a termine, invece di eliminarlo, il Governo lo ha voluto mantenere, ma con deroghe specifiche per i diversi settori che hanno ulteriormente complicato la situazione.

Tutte le deroghe dell’obbligo di motivazione per i contratti a termine

1. Settore postale e settore aeroportuale: la causale del contratto a termine non deve essere indicata nel caso in cui le assunzioni con questo tipo di contratto siano inferiori al 15% dell’organico stabile e se sono fatte nel periodo tra aprile ed ottobre.

2. Start Up: nessun obbligo di indicazione della causale del contratto. Inoltre, per le start up è stato previsto un regime particolare che non prevede intervalli di tempo minimi tra un contratto a termine e il successivo, per una durata massima di 4 anni.

► Guida al Decreto Occupazione: i contratti tempo determinato

3. Contratti collettivi di qualsiasi livello: esenzione totale dall’obbligo di indicazione della motivazione.

4. Primo contratto: come già indicato nella legge Fornero, i primi contratti a termine stipulati tra datore di lavoro e lavoratore sono totalmente esenti dall’obbligo di indicazione della causale.

Le prime regole dell’Inps per il voucher baby sitter

 Con la riforma Fornero (legge n. 92/2012) si è cercato di dare alle neo mamme un aiuto per il rientro nel mondo del lavoro dopo la gravidanza e per sostenerle nel ruolo di madri e lavoratrici. In funzione di questo obiettivo, sono stati introdotti i voucher genitorialità, ossia dei contributi ai quali possono accedere le madri che rinunciano al congedo parentale. In sostanza si tratta di buoni lavoro per i servizi di baby sitting e contributi economici per il pagamento delle rette degli asili.

Con il messaggio n. 11344/2013 l’Inps ha dato le prime indicazioni. Vediamole nel dettaglio.

 Guida alla richiesta del Bonus Bebè 2013

Cos’è il voucher baby sitter

Le donne che non possono restare assenti per troppo tempo dal loro lavoro, grazie alla legge Fornero hanno la possibilità di rinunciare ad una parte del loro congedo parentale e trasformare il tempo del quale non godono in un beneficio monetario, che può essere utilizzato per il pagamento della baby sitter per il neonato.

Chi ha diritto al voucher baby sitter

Hanno diritto al voucher baby sitter tutte le madri lavoratrici – anche quelle adottive o affidatarie – sia che abbiano un lavoro dipendente o che siano iscritte alla gestione separata dell’inps.

► Vademecum dell’Inps sull’utilizzo dei buoni lavoro

A quanto ammonta il voucher baby sitter

Il voucher baby sitter è pari a 300 euro al mese, che possono essere erogati per un massimo di sei mesi in caso di lavoratrici dipendenti e per un massimo di tre per le madri lavoratrici autonome. Per accedervi è necessario farne richiesta attraverso l’apposito bando dell’Inps, dal quale, poi, viene stilata una graduatoria.

Come vengono emessi i voucher baby sitter

I voucher baby sitter sono emessi in formato cartaceo dall’Inps e possono avere un valore di 10 o di 20 euro. I voucher possono essere ritirati solo per un importo pari a 300 euro o suoi multipli e solo dalla madre lavoratrice, in una delle seguenti tre modalità: unico ritiro della quota spettante, ritiro frazionato (sempre per un valore di 300 euro o multipli) o, infine, con riotiro mensile.

Come cambiano i voucher maternità in caso di lavoratrice part time?

Se la madre lavoratrice ha un impiego part time, il valore dei voucher ai quali si ha diritto viene ridotto in proporzione alla minore entità dell’impegno lavorativo della donna. Anche in questo caso, comunque, rimangono invariate le modalità di ritiro dei voucher baby sitter.

I motivi del licenziamento per giusta causa: uso privato degli strumenti aziendali

 Licenziamento per giusta causa: uso della carta di credito aziendale per acquisti personali

Usare la carta di credito messa a disposizione del lavoratore per eventuali spese legate allo svolgimento del suo compito non è un reato, ma, dal momento che la carta di credito è uno strumento ‘delicato’, il fatto che il datore di lavoro la affidi ad un dipendente è un indicazione della fiducia che questi ripone in lui.

Quindi, usarla per un acquisto personale, vuol dire venire meno a quel tacito patto di fiducia che si è stretto con il datore di lavoro quando si ha accettato di utilizzarla. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione con la sentenza 6965/2010.

► Cos’è il licenziamento per giusta causa?

Licenziamento per giusta causa: cessione a terzi del computer aziendale

Gli strumenti che vengono messi a disposizione dal datore di lavoro per lo svolgimento della propria mansione, devono restare in mano del dipendente. Così ha decretato la Corte di Cassazione con l’ordinanza 2056/2011, nella quale ha ratificato il licenziamento per giusta causa di un dipendente licenziato perché ha ceduto il pc aziendale ad una terza persona.

La cessione del computer a terze persone estranee all’azienda, infatti, mette in mano di soggetti non autorizzati le informazioni riservate dell’azienda stessa, mettendone a rischio la sicurezza informatica.

I motivi del licenziamento per giusta causa

Rallentamento del lavoro

Infedeltà all’azienda e scarso rendimento

Mancata comunicazione delle assenze e falsi certificati

Irreperibilità e cumulo di impieghi

Rifiuto del trasferimento

Outsourcing e ridimensionamento

Comportamenti scorretti nei confronti del datore di lavoro

Uso privato degli strumenti aziendali

Eccessi nella condotta professionale e privata

Uso improprio del telefono privato e aziendale

Altri motivi di licenziamento per giusta causa

I motivi del licenziamento per giusta causa: comportamenti scorretti nei confronti del datore di lavoro

 Licenziamento per giusta causa: false denunce verso il datore di lavoro

Partendo dal presupposto che i lavoratori possono denunciare il loro datore di lavoro nel caso questi si renda responsabile di gravi inadempienze, la denuncia deve essere fatta solo se il lavoratore è in possesso di prove veritiere dell’accaduto.

Altrimenti, come accaduto ad un dipendente dell’inceneritore di Piacenza, potreste essere licenziati.

La Corte di Cassazione con la sentenza 7499/2013 ha infatti stabilito che le false denunce dei lavoratori – nel caso di specie avanzate in risposta a contestazioni per inadempienze fatte dal datore di lavoro – causa una lesione dell’immagine dell’azienda stessa e, quindi, apporta un danno agli interessi del datore di lavoro.

► Cos’è il licenziamento per giusta causa?

Licenziamento per giusta causa: insulti al capo

Il vostro capo ha avuto, secondo voi, un comportamento scorretto nei vostri confronti? Evitate di dire quello che pensate in una mail, soprattutto se sono presenti degli insulti.

O almeno evitate di esagerare: la sentenza della Suprema Corte n. 14995/12 ha dato ragione ad una azienda che aveva licenziato un dipendente a seguito di una mail inviata da questi al suo contenente espressioni, si legge nella sentenza, riconoscibili come diffamanti, quindi ben più gravi di quelle che potrebbero essere utilizzate anche in una situazione di stress o di disagio da parte del lavoratore.

I motivi del licenziamento per giusta causa

Rallentamento del lavoro

Infedeltà all’azienda e scarso rendimento

Mancata comunicazione delle assenze e falsi certificati

Irreperibilità e cumulo di impieghi

Rifiuto del trasferimento

Outsourcing e ridimensionamento

Comportamenti scorretti nei confronti del datore di lavoro

Uso privato degli strumenti aziendali

I motivi del licenziamento per giusta causa: outsourcing e ridimensionamento

 Licenziamento per giusta causa: outsourcing

Nel caso in cui un’azienda chiuda un’attività produttiva o decida di affidare a terzi il lavoro svolto da uno dei dipendenti, il lavoratore eccedente può essere licenziato, se all’interno dell’azienda non esistono altre posizioni adatte e/o vacanti.

Lo afferma la Corte di Cassazione con la sentenza n. 6346/2013, in quanto, in un caso del genere, il licenziamento è legittimato da ragioni di organizzazione del lavoro. Il lavoratore, dal canto suo, può, per mantenere il suo posto, proporre al datore stesso le posizioni alternativa nelle quali essere ricollocato.

► Cos’è il licenziamento per giusta causa?

Licenziamento per giusta causa: scarso rendimento in seguito al demansionamento

Se l’azienda per la quale lavorate decide di spostarvi in un’altra posizione che prevede lo svolgimento di compiti considerabili di livello inferiore rispetto alle vostre qualifiche o compiti diversi da quelli stabiliti nel contratto, evitate di fare gli ‘schizzinosi’.

Infatti, come stabilito dalla Corte di Cassazione con la sentenza 2033/2013, se il datore di lavoro assolve a tutti gli altri obblighi contrattuali (pagamento dello stipendio e delle coperture assicurative e previdenziali) e voi, invece, vi opponete al trasferimento, potreste essere giustamente licenziati.

I motivi del licenziamento per giusta causa

Rallentamento del lavoro

Infedeltà all’azienda e scarso rendimento

Mancata comunicazione delle assenze e falsi certificati

Irreperibilità e cumulo di impieghi

Rifiuto del trasferimento

Outsourcing e ridimensionamento

Comportamenti scorretti nei confronti del datore di lavoro

Uso privato degli strumenti aziendali

Eccessi nella condotta professionale e privata

Uso improprio del telefono privato e aziendale

Altri motivi di licenziamento per giusta causa

I motivi del licenziamento per giusta causa: rifiuto del trasferimento

 Licenziamento per giusta causa: rifiuto del trasferimento per chiusura di unità produttiva

Se all’interno dell’azienda per la quale state lavorando, l’unità produttiva di vostra competenza viene chiusa e il datore di lavoro ritiene opportunità trasferirvi in un’altra unità, è meglio che  accettiate di buon grado il nuovo ruolo.

Altrimenti, come stabilito dalla sentenza n. 8843/2013 della Corte di Cassazione, il vostro capo può licenziarvi per giusta causa. La vicenda che ha dato vita a questa sentenza è piuttosto controversa, ma dal momento che le sentenze possono sempre rappresentare un precedente, se vi trovate in questa situazione fate attenzione alle vostre scelte.

► Cos’è il licenziamento per giusta causa?

Licenziamento per giusta causa: rifiuto del trasferimento ad altra sede

Nel caso in cui la sede in cui siete soliti andare a lavorare venga trasferita, non potete opporvi alla decisione presa, pena la possibilità di essere licenziati, come avvenuto ad una donna che per sette mesi non si è recata sul posto di lavoro, dopo che l’azienda per la quale lavorava era stata trasferita da
Vicenza a Treviso.

La donna è stata licenziata e, seppure il caso sia finito in tribunale, la dipendente non ha riavuto indietro il posto di lavoro. La sentenza n. 7045/2010 della Corte di Cassazione ha ritenuto il comportamento della donna come una insubordinazione, passibile della massima sanzione disciplinare, confermando il licenziamento.

I motivi del licenziamento per giusta causa

Rallentamento del lavoro

Infedeltà all’azienda e scarso rendimento

Mancata comunicazione delle assenze e falsi certificati

Irreperibilità e cumulo di impieghi

Rifiuto del trasferimento

Outsourcing e ridimensionamento

Comportamenti scorretti nei confronti del datore di lavoro

Uso privato degli strumenti aziendali

Eccessi nella condotta professionale e privata

Uso improprio del telefono privato e aziendale

Altri motivi di licenziamento per giusta causa

I motivi del licenziamento per giusta causa: irreperibilità e cumulo di impieghi

 Licenziamento per giusta causa: irreperibilità alle visite di controllo

Se avete mandato un certificato di malattia al vostro datore di lavoro, ma non siete nel luogo indicato quando arrivano le visite di controllo (le visite fiscali) e, in più, continuate a mandare certificati per prolungare il periodo di assenza giustificata, il vostro datore di lavoro ha tutto il diritto di licenziarvi, perché la vostra condotta è volontariamente tesa a non permettere al datore stesso di verificare l’effettivo stato di malattia.

Lo stabilisce la sentenza della Corte di Cassazione n.  2003/2012.

► Cos’è il licenziamento per giusta causa?

Licenziamento per giusta causa: cumulo di impieghi durante la malattia

Un fatto, questo scontato, ma che la Corte di Cassazione ha tenuto a ribadire con la sentenza n. 20857 /2012. Il caso riguardava un dipendente statale che, nei giorni di assenza previsti dal certificato medico inviato al datore di lavoro, ha prestato servizio come commessa presso il negozio della sorella.

La legge, e il buon senso, vieta ai dipendenti subordinati delle Pubbliche Amministrazioni di cumulare impieghi o incarichi di lavoro, quindi il licenziamento per giusta causa a carico della dipendente pubblica è stato confermato.

Le stesse regole, però, vigono anche in tutti gli altri lavori, come deciso Corte di Cassazione – sentenza n. 16375/2012 – licenziato perché nel periodo di congedo per malattia ha svolto attività di buttafuori.

I motivi del licenziamento per giusta causa

Rallentamento del lavoro

Infedeltà all’azienda e scarso rendimento

Mancata comunicazione delle assenze e falsi certificati

Irreperibilità e cumulo di impieghi

Rifiuto del trasferimento

Outsourcing e ridimensionamento

Comportamenti scorretti nei confronti del datore di lavoro

Uso privato degli strumenti aziendali

Eccessi nella condotta professionale e privata

Uso improprio del telefono privato e aziendale

Altri motivi di licenziamento per giusta causa