I motivi del licenziamento per giusta causa: mancata comunicazione delle assenze e falsi certificati

Licenziamento per giusta causa: mancata comunicazione dell’assen za

Se, per un motivo qualunque, non si può andare al lavoro, è compito e dovere del lavoratore comunicare tempestivamente l’assenza al datore di lavoro.

Tutti i certificati medici o le prove che giustifichino, anche in maniera veritiera e plausibile, la propria assenza, non sono ritenute accettabili in un secondo momento. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione con la sentenza 10552/13, con la quale ha ratificato il licenziamento di un lavoratore assente ingiustificato per una settimana.

Nonostante al suo rientro il lavoratore abbia fornito tutte le prove per giustificare la sua assenza (referti ospedalieri e certificati medici), la mancata comunicazione della sua assenza ha leso il rapporto di fiducia tra di lui e il suo datore.

► Cos’è il licenziamento per giusta causa?

Licenziamento per giusta causa: certificato medico ‘modificato’

È il medico a stabilire la giusta durata della malattia. Il certificato medico non può essere corretto in alcun modo dal lavoratore.

Lo dice la sentenza n.14998/2012 della Suprema Corte di Cassazione che ha ratificato il licenziamento di un lavoratore che aveva corretto la data sul certifico medico presentato in azienda per allungare la sua assenza dal lavoro, giustificando la correzione con un presunto errore nella compilazione del certificato fatto dall’Asl di riferimento.

I motivi del licenziamento per giusta causa

Rallentamento del lavoro

Infedeltà all’azienda e scarso rendimento

Mancata comunicazione delle assenze e falsi certificati

Irreperibilità e cumulo di impieghi

Rifiuto del trasferimento

Outsourcing e ridimensionamento

Comportamenti scorretti nei confronti del datore di lavoro

Uso privato degli strumenti aziendali

Eccessi nella condotta professionale e privata

Uso improprio del telefono privato e aziendale

Altri motivi di licenziamento per giusta causa

I motivi del licenziamento per giusta causa: infedeltà all’azienda e scarso rendimento

 Tra i motivi del licenziamento per giusta causa, ossia il licenziamento che non prevede preavviso da parte del datore di lavoro e che viene utilizzato quando la condotta privata e professionaledel lavoratore mette in pericolo gli interessi del datore di lavoro o lede il necessario rapporto di fiducia tra le due parti, ci sono l’infedeltà all’azienda e lo scarso rendimento.

► Cos’è il licenziamento per giusta causa?

Licenziamento per giusta: infedeltà all’azienda

È successo ad un ufficiale di una società che si occupa della riscossione dei tributi. L’ufficiale, il cui compito era la notifica delle cartelle e il recupero delle somme, invece di svolgere il suo compito, dava consiglia ai debitori su come evitare le riscossioni forzate.

Con la sentenza n. 10959/2013 della Sezione Lavoro della Corte di Cassazione, basando la sua decisione sul protrarsi nel tempo della condotta scorretta del lavoratore.

Licenziamento per giusta: scarso rendimento sul posto di lavoro

Diversamente da come si crede, il posto fisso non dà il diritto a non portare avanti il proprio lavoro. Lo sentenzia la Corte di Cassazione (sentenza 43412/2010).

A farne le spese è stato un addetto alla frontiera che aveva lasciato la sua postazione di controllo per riposare nel gabbiotto. Per lui la Corte ha deciso che il licenziamento voluto dal datore di lavoro fosse legittimo.

I motivi del licenziamento per giusta causa

Rallentamento del lavoro

Infedeltà all’azienda e scarso rendimento

Mancata comunicazione delle assenze e falsi certificati

Irreperibilità e cumulo di impieghi

Rifiuto del trasferimento

Outsourcing e ridimensionamento

Comportamenti scorretti nei confronti del datore di lavoro

Uso privato degli strumenti aziendali

Eccessi nella condotta professionale e privata

Uso improprio del telefono privato e aziendale

Altri motivi di licenziamento per giusta causa

I motivi del licenziamento per giusta causa: rallentamento del lavoro

 Un caffè può portare al licenziamento per giusta causa. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione con la sentenza n. 7819/2013. Il caso è stato quello di un impiegato di banca che si è preso una pausa dal lavoro nonostante alla cassa di sua competenza fossero in attesa ben 15 persone.

Il licenziamento per giusta causa è utilizzato dal datore di lavoro in caso di inadempimenti gravi del lavoratore, non solo contrattuali. In questo caso, la Corte di Cassazione ha dato ragione all’istituto bancario, confermando il licenziamento e condannando il lavoratore anche al pagamento di una sanzione di 3.500 euro più le spese processuali.

Cos’è il licenziamento per giusta causa?

Il primo motivo riconosciuto dalla Cassazione, in questo caso, è stato il rallentamento delle attività di cassa, anche se il dipendente aveva lasciato il compito della gestione della sua cassa ai colleghi.

Poi, come da legislazione, questo tipo di comportamento è stato ritenuto lesivo degli interessi del datore di lavoro – in questo caso si tratta di interessi patrimoniali – ed è aggravato dalla lesione degli interessi pubblici, dal momento che il lavoratore, in questo caso, si trova ad amministrare soldi non suoi, ma dei clienti che ripongono la massima fiducia nella banca della quale scelgono di diventare clienti.

I motivi del licenziamento per giusta causa

Rallentamento del lavoro

Infedeltà all’azienda e scarso rendimento

Mancata comunicazione delle assenze e falsi certificati

Irreperibilità e cumulo di impieghi

Rifiuto del trasferimento

Outsourcing e ridimensionamento

Comportamenti scorretti nei confronti del datore di lavoro

Uso privato degli strumenti aziendali

Eccessi nella condotta professionale e privata

Uso improprio del telefono privato e aziendale

Altri motivi di licenziamento per giusta causa

Cos’è il licenziamento per giusta causa?

 Per licenziamento per giusta causa si intende il licenziamento che avviene per volontà del datore di lavoro in caso di un inadempimento del lavoratore ritenuto abbastanza grave da non permettere la prosecuzione del rapporto di lavoro, anche solo in via temporanea.

Il licenziamento per giusta causa non prevede che il datore di lavoro dia al lavoratore il preavviso riconosciuto per legge, anche quando si tratta di un contratto di lavoro a tempo indeterminato, in quanto questo tipo di licenziamento viene utilizzato quando viene meno il necessario rapporto di fiducia tra lavoratore e datore di lavoro.

Il licenziamento per giusta causa è una sanzione disciplinare, anzi, la sanzione disciplinare per eccellenza della quale può avvalersi il datore di lavoro. Riferendosi alla disciplina, quindi, il licenziamento per giusta causa non si utilizza solo in caso di inadempimenti contrattuali da parte del lavoratore, ma anche nel caso in cui i comportamenti del lavoratore ledano gli interessi del datore di lavoro.

Nella maggior parte casi, quando un lavoratore dipendente viene licenziato per giusta causa, si arriva alle vie legali. Un iter spesso lungo e dispendioso, che, passando per i vari gradi di giudizio arriva quasi sempre in Cassazione.

La percentuale dei casi nei quali la Cassazione ha dato ragione ad un lavoratore è più bassa di quella delle vittorie del datore di lavoro, proprio per la varietà dei comportamenti che possono essere ritenuti lesivi degli interessi del datore di lavoro e, di contro, la scarsità delle giustifiche ritenute valide dalla Corte.

I motivi del licenziamento per giusta causa

Rallentamento del lavoro

Infedeltà all’azienda e scarso rendimento

Mancata comunicazione delle assenze e falsi certificati

Irreperibilità e cumulo di impieghi

Rifiuto del trasferimento

Outsourcing e ridimensionamento

Comportamenti scorretti nei confronti del datore di lavoro

Uso privato degli strumenti aziendali

Cosa è lo straining

 Che sia tutti i giorni, due volte alla settimana o una volta al mese, il mobbing, ossia i comportamenti vessatori contro i lavoratori, rimane tale e come tale è punibile.

► Le cause e conseguenze del mobbing

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione con la sentenza n. 2860 del 3 luglio 2013, grazie alla quale ha reso lo straining, ossia il mobbing attenuato in quanto meno prolungato nel tempo, ma non differente dal mobbing vero e proprio nei modi e negli scopi, un reato nei confronti del lavoratore e per questo, punibile per legge.

Lo straining è stato definito come una situazione di stress forzato all’interno dell’azienda, che si manifesta anche con una sola azione denigratoria o persecutoria nei confronti del lavoratore, i cui effetti negativi si protraggono nel tempo.

In sostanza, quindi, la differenza tra il mobbing e lo straining è temporale e di frequenza: un’azione vessatoria o punitiva nei confronti del lavoratore viene definita mobbing quando ha carattere di sistematicità, mentre, per lo straining, è l’effetto dell’azione compiuta da superiori, inferiori o pari a stabilire la presenza o meno della conflittualità.

► Le principali forme di manifestazione del mobbing

Harald Ege in Oltre il mobbing. Straining, Stalking ed altre forme di conflittualità sul posto di lavoro definisce lo straining come

una situazione di stress forzato sul posto di lavoro, in cui la vittima subisce almeno un’azione che ha come conseguenza un effetto negativo nell’ambiente lavorativo, azione che oltre a essere stressante, è caratterizzata anche da una durata costante.

Gli assegni per il nucleo familiare: la composizione del nucleo

 Per tutti coloro che fossero interessati a conoscere meglio la normativa vigente in materia di assegni per il nucleo familiare in alcuni post pubblicati in precedenza ci siamo già occupati di due specifici argomenti: abbiamo infatti visto in che cosa consistono gli  assegni familiari

Gli assegni per il nucleo familiare: come presentare la domanda

 In un post pubblicato in precedenza abbiamo visto che cosa si intende comunemente per assegni familiari o per assegni per il nucleo familiare – ANF. Si tratta, in breve, di prestazioni sociali in denaro erogate dall’ INPS, l’ Istituto Nazionale per la Previdenza Sociale, per sostenere le famiglie più deboli, che siano a carico di lavoratori dipendenti o assimilati a basso reddito.

Mini – guida del Ministero al Decreto Lavoro 2013

 Il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ha rilasciato in questi giorni una piccola e utile guida al decreto – legge n. 76 del 28 giugno 2013, ovvero l’ ormai ben noto Decreto Lavoro 2013.

Noi ve ne proporremo una lettura in questo e negli altri post indicati di seguito, che ne illustri e chiarisca gli aspetti principali, stavolta forniti da una fonte ufficiale quale ilo stesso Ministero del Lavoro.

Per chi volesse approfondire l’ argomento, tuttavia, dal sito del Ministero è facilmente scaricabile la Guida completa.