Detrazione degli scontrini dalla tasse, il voto mercoledì

 L’emendamento presentato da Giuliano Barbolini (Pd), relatore di maggioranza, per dare la possibilità gli italiani di scaricare dalla dichiarazione dei redditi gli scontrini e le ricevute, è passato alla commissione Finanze di Palazzo Madama.

Ora la decisione sul contrasto di interessi passa in aula, dove la decisione dovrebbe arrivare al massimo entro giovedì. Si tratta di un emendamento importante che si inserisce nelle norme per combattere l’evasione fiscale. Dopo un iniziale parere negativo del governo, l’emendamento ha ricevuto l’ok di Palazzo Chigi grazie a delle piccole modifiche adottate, per le quali:

si delega l’esecutivo a emanare disposizioni per l’attuazione di misure finalizzate al contrasto di interessi fra contribuenti, selettivo e con particolare riguardo alle aree maggiormente esposte al mancato rispetto dell’obbligazione tributaria, definendo attraverso i decreti legislativi le più opportune fasi applicative e le eventuali misure di copertura finanziaria.

Ma non tutti sono d’accordo sulle detrazioni Irpef. Tra gli scettici il sottosegretario all’Economia Vieri Ceriani e il presidente della Cgia di Mestre, Giuseppe Bortolussi, secondo i quali il provvedimento, anziché essere uno strumento per combattere l’evasione fiscale, potrebbe rivelarsi esattamente il contrario, come accaduto per le deduzioni edilizie introdotte dal governo Prodi nel 1998, che in realtà sono costate all’erario 2,4 miliardi di euro l’anno.

 

 

 

 

Fiducia dei consumatori ai minimi storici dal 1996

 I consumatori italiani non esprimono buoni giudizi su questa economia e sul futuro che aspetta i loro risparmi. In questo novembre, secondo i dati dell’Istat, l’indice di fiducia dei consumatori italiani è sceso da 86,2 a 84,8. Si tratta dell’indice più basso mai registrato dal 1996, anno in cui sono iniziate le serie storiche.

A far scendere in picchiata l’indice di fiducia è soprattutto la mancanza di fiducia che gli italiani ripongono nelle futuro, soprattutto riguardo alle prospettive di occupazione. A diminuire, comunque, sono sia la componente riferita al clima economico generale (da 71,5 a 69,4) che quella relativa alla dimensione personale (da 91,0 a 90,9); la fiducia nella situazione corrente ha un lieve miglioramento  (da 91,9 a 92,3), ma si scontra con il peggioramento delle attese per il futuro (da 78,2 a 75,2).

Sono soprattutto le prospettive famigliari a destare maggiore preoccupazione nei consumatori italiani: si abbassa il saldo sui giudizi sul bilancio familiare, anche se il risparmio e le speranze nel futuro registrano un lieve miglioramento. E’ nel mezzogiorno che il clima di fiducia è maggiormente positivo, mentre si abbassa nel resto d’Italia.

Niente accordo Svizzera Germania, a rischio anche trattative con l’Italia

 I socialdemocratici tedeschi voleva infliggere una sconfitta ad Angela Merkel e l’hanno fatto affossando la possibilità di un accordo fiscale con la Svizzera. La proposta di applicare un’imposta liberatoria tra il 21 ed il 41 per cento ai capitali tedeschi in Svizzera garantendo però l’anonimato dei titolari dei conti non è stato accettata, nonostante alla Camera dei Deputati il voto fosse stato favorevole.

La motivazione: la proposta così fatta si configura, per Spd e Verdiche alla camera dei Länder hanno la maggioranza, come un regalo agli evasori.I due governi in causa sperano quindi che la situazione possa risolversi entro il 14 dicembre, giorno in cui si riunirà la commissione di conciliazione, in modo che l’accordo fiscale possa entrare in vigore già dal primo gennaio del 2013.

Se la situazione non dovesse risolversi lo stesso problema si potrebbe presentare anche in Italia, dove la prossima data attesa per giungere ad un risultato è il 21 dicembre. Il governo Monti, per mezzo del ministro dell’economia Grilli, è a buon punto con le trattative ma se la Germania si tira indietro tutto potrebbe rivelarsi più difficile.

Anche in Italia, infatti, nel caso l’accordo dovesse slittare a quando ci sarà un nuovo esecutivo, potrebbero presentarsi le stesse rimostranze.

 

Premi ed incentivi per le donne imprenditrici

 Le donne che vogliono essere titolari di un’impresa di servizi e non solo, devono essere premiate in qualche modo o meglio incentivate nella loro attività, anche sotto il profilo economico. Ecco allora che i bandi messi a disposizione dalle Camere del Commercio sono la vera ciliegina sulla torta.

Il bando di cui vogliamo parlare oggi è il Premio Idea Innovativa al femminile, giunto già alla seconda edizione e messo a disposizione dalla Camera di Commercio di Roma in collaborazione con il Comitato per l’Imprenditorialità femminile.

Il premio si rivolge alle micro e alle piccole imprese femminili che sono attive a Roma o nella sua provincia. Nel caso in cui un’imprenditrice ha un’idea imprenditoriale per l’agricoltura, l’artigianato, il commercio, l’industria o servizi, può controllare se possiede anche i requisiti per accedere al bando.

I requisiti possono essere riassunti in questo modo: essere un’impresa individuale con titolare donna; essere una società di persone o una società cooperativa in cui il numero di donne è pari al 60 per cento della componenti della compagine sociale; essere una società di capitali in cui i due terzi delle quote appartengono a donne.

Tutte le imprese devono aver denunciato l’inizio attività e devono essere in regola con i pagamenti. Le idee vanno presentata dal 15 novembre 2012 al 31 dicembre 2012.

Cina e Israele fanno bene a Piazza Affari

 La seduta della borsa italiana si è conclusa con un rialzo che ha contraddistinto la giornata di cambi di tutta l’Europa. Un momento molto particolare, quello di ieri, visto che la borsa americana aveva chiuso i battenti per il giorno del ringraziamento.

I mercati, nonostante questo allentamento degli scambi Oltreoceano ha saputo approfittare delle altre evenienze, in particolare sembra che abbiano influito sul trend dei mercati, sia l’inizio della tregua in Israele, sia i dati arrivati dalla Cina che parlano di un indice PMI manifatturiero in crescita, dal 49,5 al 50,4.

Questa buona notizia è riuscita a bilanciare i dati macroeconomici negativi riguardanti l’Europa. I rialzi sarebbero stati ancora più consistenti se non ci fosse stato un pizzico di attesa per il vertice straordinario a Bruxelles in cui si è parlato nella serata di ieri del Bilancio dell’UE del periodo 2014-2020. 

Riguardo la nostra borsa possiamo dire che il Ftse Mib ha guadagnato l’1,03 per cento, il Ftse Italia All-Share, invece, ha fatto registrare il +0,99 per cento.

Uno zoom sui titoli ci dimostra un’inversione di tendenza. Oggi in rialzi ci sono i titoli come Buzzi Unicem che guadagna il 4,43 per cento, oppure Mediaset che recupera il 3,73 per cento o il titolo Exor che fa registrare un buon +2,95%.

Crescono anche i bancari con il Banco Popolare al +2,5% e Intesa Sanpaolo con il +0,8%, mentre soffrono un po’ Autogrill e Snam che perdono rispettivamente lo 0,14 e lo 0,06 per cento.

Il divieto dei sacchetti di plastica non rispetta le regole dell’economia libera

 Il divieto di commercializzazione dei sacchetti in plastica non biodegradabile, entrato in vigore in Italia il primo gennaio del 2011 che ha anche causato una lettera di richiamo da parte della Commissione europea al nostro paese, pone dei forti limiti all’economia italiana, sia per le aziende italiane che per quelle straniere.

A dirlo è il Consorzio Carpi, che parla in rappresentanza di società che si occupano della raccolta e del riciclo degli imballaggi in plastica terziari:

Il divieto di commercializzazione dei sacchetti di plastica non biodegradabili da parte del Governo italiano è in aperto contrasto con le regole di una qualsiasi economia di mercato che si definisca libera. Imporre la commercializzazione o meno di un prodotto, a favore della salvaguardia e tutela ambientale, deve essere il risultato di una scelta mirata, altamente studiata e non dettata da scelte di convenienza.

In sostanza la legge impone un vincolo di produzione (basti pensare ai diversi spessori che si devono prevedere in base all’utilizzo finale del sacchetto), che è molto difficile da rispettare e che, oltre a mettere in difficoltà le imprese italiane, allontana quelle straniere che vogliono puntare ancora sul nostro paese.

Ma non si tratta di una contrarietà all’oggetto in questione, ma alle modalità con le quali è stato deciso di operare che non hanno preso in considerazione il danno economico a cui si sta andando incontro. la tutela ambientale è un dovere da parte delle istituzioni e delle aziende, ma

è innegabile che la messa al bando dei sacchetti in plastica non biodegradabili ha creato non pochi problemi alle aziende del settore. Tutto questo in un contesto in cui non è ancora stata fatta piena chiarezza sui reali benefici dei sacchetti biodegradabili rispetto a quelli tradizionali.

Budget ristretto per Natale, regali a rischio contraffazione

 Secondo l’analisi della Coldiretti sulla base dell’indagine «Xmas Survey 2012» di Deloitte, per questo Natale 2012 il budget medio a disposizione dei cittadini italiani per i regali da mettere sotto l’albero è di poco più di 260 euro a testa (sono stati stimati 263,6 euro a persona).

Si tratta di una riduzione del budget del 9% rispetto allo scorso anno, il che mette a dura prova l’ingegno degli italiani per la scelta e l’acquisto dei doni. Secondo la Coldiretti, questa ennesima diminuzione del budget disponibile, fa crescere il rischio che la scelta ricada su oggetti contraffatti che permettono di risparmiare molto rispetto ai prodotti originali.

Di questi 260 euro, il 39% sarà destinato all’acquisto di regali per i bambini, per i quali si sceglieranno, prevalentemente, giocattoli e oggetti tecnologici, il resto è dedicato ai regali per adulti, in cui la fanno da padrone l’abbigliamento e gli accessori. Se per i bambini si ha una preferenza netta nella scelta di giocattoli certificati, per quanto riguarda abbigliamento e accessori, invece, il 52% degli italiani si è dichiarato disposto a comprare oggetti contraffatti, soprattutto quelli che copiano le grandi firme.

La contraffazione colpisce anche il settore alimentare, dove, però, gli acquirenti molto spesso sono ignari della non autenticità del prodotto.

Governo e parti sociali firmano per la produttività, ma la CIGL rimane fuori

 Ieri sera è stato finalmente raggiunto l’accordo per la produttività. Il primo ministro Monti si è detto soddisfatto dell’accordo e auspica un ripensamento della CIGL, che ieri non ha firmato. E’ proprio Susanna Camusso, segretario del sindacato, a ribadire le sue perplessità sul contenuto dell’accordo.

E’ stata scelta una strada sbagliata per cui il contratto nazionale non tutelerà più il potere d’acquisto dei lavoratori. Il punto più critico dell’accordo è che abbassa i salari reali. Il governo scarica sul lavoro i costi della crisi e le scelte per uscire dalla crisi abbassando i redditi da lavoro.

Di tutt’altro avviso i rappresentanti degli altri sindacati, per i quali, invece, l’accordo sulla produttività è il primo passo importante per uscire dalla crisi in cui si è arenato il paese. Ma allora, perché la CIGL non ha voluto apporre la sua firma?

In primo luogo perché i 21 miliardi di euro stanziati dal governo serviranno a detassare i salari ma non le tredicesime. In secondo luogo i nuovi contratti nazionali previsti dall’accordo gli aumenti salariali saranno legati al raggiungimento degli obiettivi, il che potrebbe portare ad una disparità dei minimi nelle categorie lavorative interessate.

Un altro punto che ha portato la CGIL a non firmare è la nuova flessibilità prevista dall’accordo, secondo il quale le imprese potranno definire nuovi orari e nuove mansioni, il che vuol dire che potrebbe anche essere ridotta la retribuzione, meccanismo questo che ora è impedito da apposite norme del codice civile.

I dati ISTAT sulla produttività italiana

 La diffusione dei dati Istat sulla produttività italiana non hanno avuto un effetto immediato sulle borse dove hanno inciso di più le decisioni dell’Eurogruppo che ha rinviato la questione greca. Eppure i dati sulla produttività italiana sono emblematici, descrivono una situazione di stallo ed indicano settori in crescita e settori fermi dell’economia tricolore.

Chi investe in opzioni binarie, a parte la previsione dell’incidenza di questo rapporto dell’Istituto Nazionale di Statistica, può usare il documento redatto per individuare i settori che sono cresciuti nel nostro tessuto economico e quelli che invece si sono bloccati.

In generale, il rapporto sulla produttività italiana dell’Istat mostra che il tasso annuo di crescita è pari allo 0,5 per cento ed è un punto d’incontro tra l’aumento della produttività del lavoro pari allo 0,9 per cento e il calo della produttività del capitale dello 0,7 per cento.

Nell’ultimo anno, nel 2011, in più, si evidenzia la crescita del settore agricolo del 2 per cento e un incremento delle attività ricreative-culturali del 5,1 per cento con un’opposta flessione del 2,4 per cento degli indici legati al settore informativo della comunicazione.

A livello tendenziale, dal 1992 è stato in crescita il settore agricolo, come anche quello della finanza e delle assicurazioni e quello dell’informazione e della comunicazione. Mentre in calo dal 1992 troviamo i settori delle attività professionali, delle costruzioni, dell’istruzione, della sanità e dei servizi sociali.

 

La produttività del lavoro cresce ma è sotto la media

 L’Istat ha pubblicato i dati sulla produttività del lavoro del 2011. Nel complesso si registra una crescita dello 0,4%, da suddividersi in produttività del lavoro e produttività del capitale.

La produttività del lavoro – che si calcola come valore aggiunto per ora lavorata – nel 2011 è crescita dello 0,3%, mentre la produttività del capitale – definita come rapporto tra il valore aggiunto e l’input di capitale – ha registrato un aumento dello 0,7%. Rapportando questi due fattori si ottiene la crescita nel valore aggiunto attribuibile al progresso tecnico, alla conoscenza e all’efficienza dei processi di produzione, pari allo 0,4% di cui sopra.

Anche se si tratta comunque di un dato positivo, se la produttività viene rapportata al periodo 1992-2011 si nota una leggera flessione: il totale della produttività si assesta nel periodo al +0,5%, come risultante dell’incremento del valore aggiunto (+1,1%) e della crescita media. La crescita di questo periodo è dovuta sia all’accumulazione di capitale e all’aumento della produttività totale dei fattori, tutte variabili che hanno mostrato un cedimento nel corso dell’anno passato.