Italia, il 70% delle imprese ha problemi di liquidità

Il male comune che affligge il 70% delle imprese italiane è la mancanza di liquidità. La causa di ciò è il ritardo dei pagamenti, che provocano perdite per mancati incassi pari a 40,5 miliardi di euro su base annua. Una prassi tipicamente italiana, presa in considerazione dalla Cgia di Mestre per spiegare l’altra faccia della crisi.

Un problema che si verifica spesso e che trova alla sua radice una particolarissima metodologia di pagamento. Le transazioni commerciali con altre imprese e con la Pubblica amministrazione hanno tempi complicati e prassi ortodosse.

Ci vogliono ad esempio 96 giorni prima di effettuare una transazione commerciale con altre imprese. Il saldo arriva dunque dopo più di tre mesi. Quando di mezzo ci sono le pubbliche amministrazioni si aspetta anche fino a 6 mesi.

Non migliora la situazione se si considera il rapporto tra aziende italiane e partner economici che afferenti all’Unione Europea.

Le imprese che ne escono peggio sono senza dubbio le piccole e le medie. Un malcostume che però dovrebbe terminare a breve, quello italiano. Giuseppe Bortolussi, Segretario Cgia, spera nella Direttiva Europea che combatte il ritardo dei pagamenti.

Questa disciplina pone il committente nel vincolo di pagare l’azienda entro trenta giorni dal momento in cui riceve la merce o dal momento in cui l’azienda emette fattura. 

Bortolussi non accetta compromessi o anomalie: “Chi lavora deve essere pagato in tempi certi e ragionevoli. Chi, invece, non rispetta gli accordi subirà delle sanzioni economiche di tutto rispetto”.

 

Bollette, da gennaio aumenta il gas e diminuisce la luce

Per il prossimo gennaio c’è una cattiva e una buona notizia. Quella cattiva è che le tariffe del gas aumenteranno. La buona è che in compenso diminuiranno quelle della luce. Nel primo caso la decisione è giunta dall’Autorità per l’energia. La tariffa aumenterà dell’1,7% (22 euro in più all’anno). La tariffa della luce diminuirà invece di 7 euro su base annua, in percentuale dell’1,4%.

Per quanto riguarda la diminuzione dell’1,4% dell’energia elettrica la molla è scattata in virtù della riduzione del 3,6% della componente energia (in termini di produzione, dispacciamento e commercializzazione) grazie ai significativi ribassi del prezzo nel mercato all’ingrosso, iniziato nell’ottobre scorso.

Di contro, però, segnaliamo un aumento di 0,5 punti delle tariffe di rete, nonché da un aumento di 1,7 punti in percentuale per quanto riguarda l’adeguamento degli oneri generali. Tra questi la copertura degli incentivi per le fonti rinnovabili e assimilate. Una novità che si sapeva già da qualche mese.

Aumento Gas

Per quanto riguarda il gas, sull’aumento dell’1,7% hanno influito l’incremento dell’1,4% per l’upgrade delle tariffe di distribuzione, misura, trasporto e stoccaggio e l’aumento dello 0,5% circa per l’aggiornamento degli oneri di natura generale. C’è per fortuna un minimo controbilanciamento, proveniente dalla riduzione dello 0,2% circa per l’aggiornamento della materia prima, che è diminuita rispetto al quarto trimestre 2012 come riflesso degli andamenti pregressi delle quotazioni dei prodotti petroliferi sui mercati internazionali. Ulteriori cali potranno essere conseguiti con la riforma della componente materia prima gas, rispetto alla quale l’autorità ha già messo in consultazione i propri orientamenti.

 

Piazza affari, anno positivo grazie a Monti

Il Governo guidato da Mario Monti ha nettamente contribuito alla risalita di Piazza Affari. Lo conferma Borsa Italiana, la quale ha erogato gli ultimi dati annuali, aggiornati allo scorso 21 dicembre. Dati che che parlano di un netto recupero per quello che concerne il mercato meneghino. Si tratta di un aumento significativo, di ben nove punti di valore.

Cosa è cambiato? Cosa è migliorato? Lo storico indice Ftse Mib ha fatto registrare un rialzo del 9,79% rispetto 2011. Nell’anno in corso, il Ftse Mib ha toccato il picco più alto in data 19 marzo 2012.

Ottima anche la risalita dell’indice All Share, che ha fatto registrare un grossissimo aumento dell’8,74%. Basti pensare che nel 2011, per quanto riguarda il Ftse Mib si era di fronte a un incredibile calo del 25,28% (parliamo in questo caso di dati aggiornati al 23 dicembre 2011, rilasciati sempre da Borsa Italiana) mentre il calo era intorno al 12% nel 2010.

Borsa Italiana, dunque, fa registrare una capitalizzazione complessiva del 22,5% del Prodotto Interno Lordo, che si porta a quota 364,1 miliardi di euro.

Numeri senz’altro positivi e ottimo anno, in sostanza, per Piazza Affari. L’unico problema? le imprese italiane che hanno aperto un capitale di mercato nel 2012 sono calate. Quest’anno sono infatti 323 le società quotate, cinque in meno rispetto al 2011.

Un ottimo risultato, dunque, per l’esecutivo Monti, quello della rinascita di Piazza Affari. Il segnale proveniente dal mercato milanese è positivo e fa ben sperare per il 2013.

 

Pompe “bianche” e GDO per rompere l’oligopolio dei carburanti

 Il prezzo dei carburanti aumenta costantemente e anche per il 2013 sono stati previsti dei nuovi aumenti a causa del prezzo elevato con cui questo bene viene scambiato nelle piazze internazionali. Prezzi sempre più alti che mettono in difficoltà i consumatori.

Ma la possibilità di risparmiare c’è, facendo rifornimento alle pompe bianche, cioè a quelle che non hanno nessun marchio che sono intorno alle 2000 sul territorio, o a quelle della Grande Distribuzione (86 punti vendita), che mettono a disposizione il carburante a prezzi molto più bassi, fino a 13 centesimi al litro. Per questo l’Antitrust ha avviato un’indagine per capire come rafforzare i meccanismi della libera concorrenza anche in questo mercato che da sempre è governato da un regime di oligopolio.

Sono due le compagnie petrolifere che hanno le quote di mercato più ampie e sono più efficienti (Eni ed Esso) e proprio su queste due, insieme alle altre cinque di maggior rilievo – 22.000 punti vendita sul territorio nazionale – si è concentrata l’attenzione del garante del mercato che ha evidenziato come la loro presenza sul mercato potrebbe essere nata da un accordo collusivo tra i diversi operatori teso a eliminare la concorrenza. Nella pratica non sono state trovate delle prove a sostegno di questa tesi, ma l’Antitrust chiede che siano emesse delle leggi più chiare ed efficaci per combattere questo regime di oligopolio.

Per ora la situazione italiana in merito al prezzo di vendita dei carburanti si presenta piuttosto diversificata in base alle zone di riferimento –  Sud con prezzi sempre più elevati, Nord Est ed il Nord Ovest con i prezzi più bassi e il Centro con prezzi intermedi – ma la situazione cambia se si prendono in considerazione i prezzi applicati dai singoli operatori presenti sul mercato: le pompe della Grande Distribuzione sono quelle che riescono a fare i prezzi più bassi solo se hanno il marchio esclusivamente il marchio del distributore, mentre se sono in co-branding hanno maggiori difficoltà a mantenere i prezzi bassi.

I distributori più economici, comunque, sono le pompe bianche, che riescono a praticare prezzi più bassi di almeno due centesimi per litro rispetto alla Grande Distribuzione. Il problema, però, di questi operatori, è la scarsa presenza sul territorio, che rende impossibile una situazione di concorrenza.

L’Antitrust evidenzia anche che la situazione potrebbe cambiare già nel breve termine, con alcuni operatori che non saranno più concorrenziali e usciranno dal mercato, mail processo è ancora lungo e, per giungere ad una situazione in cui i distributori di carburanti si contendano il mercato in regime di concorrenza reale, e non più di oligopolio, è necessario affrontare i seguenti step:

agevolare lo sviluppo di operatori indipendenti efficienti;
– per la grande distribuzione preferire il modello di vendita con il solo marchio dell’operatore e non il co-branding:
– incentivare lo sviluppo di infrastrutture logistiche e di raffinazione coerenti con una presenza uniforme sul territorio delle cosiddette pompe bianche:
ampliare i controlli sui distributori con la creazione di una banca dati dei prezzi praticati da ogni singolo distributore, che servirebbe anche per aumentare la percezione, da parte dei consumatori, di una reale opportunità di scelta tra prezzi diversificati;
– cercare maggiore spazio per le pompe bianche con lo sfruttamento del mercato all’ingrosso dei prodotti petroliferi liquidi;
– creare delle misure che favoriscano l’ingresso degli operatori indipendenti nel mercato dei carburanti per migliorare le condizioni di accesso ai servizi di stoccaggio e mantenere costante il grado di liquidità del mercato all’ingrosso dei prodotti petroliferi.

Partita Iva, non ci sarà la ‘Stretta-Fornero’

Elsa Fornero, Ministro del Lavoro, parte piano. L’azione di contrasto delle false partite Iva partirà in maniera soft. I lavoratori che di fatto aprono una posizione Iva per fingere di essere lavoratori autonomi in contesti che in realtà sono di collaborazione coordinata e continuativa o di lavoro subordinato, per il momento non vengono puniti.

Il decreto del Ministero, unitamente alla circolare diramata dall’Ufficio ispettivo dello stesso Ministro Fornero, elenca i casi in cui non si applicherà la presunzione di ‘falsa partita Iva’.

– Qualora la prestazione è svolta da un iscritto a un Ordine professionale;

– Qualora il lavoratore è in possesso di una specifica “competenza”, che (secondo la circolare) può derivare anche dal possesso di una laurea o di un diploma di scuola superiore (liceo o istituto professionale).

I controlli partiranno comunque tra du anni, esattamente il 18 luglio 2014. Perché tutto questo tempo?

Devono per forza trascorrere ben due anni prima che la riforma del lavoro (la cosiddetta legge 92/2012) entri in vigore.

La Riforma ci mette due anni per controllare se sia presente una prestazione di eccessiva prevalenza da parte del lavoratore e resa a un committente soltanto, in esclusiva o in ampissima parte. Lo prevede l’articolo 69/bis. Per ora dunque non ci sarà alcuna Stretta Fornero.

Tutti i numeri della Crisi del Sud

Confindustria, nel suo studio ‘Check up Mezzogiorno’, senza mezzi termini osserva che la crisi si sente maggiormente al Sud.

I dati interni all’analisi sono chiari ed evidenti. Negli ultimi 4 anni la situazione è a dir poco degenerata. Il Pil è calato del 6,8%. Negli ultimi 4 anni è sceso di quasi 24 miliardi di euro.

Le Regioni del Sud non versano in buone condizioni, ragion per cui l’intero Paese conferisce poco peso alle imprese meridionali. L’istat parla del peggior dato storico dal 2006.

Tra Sud e Centro-Nord le differenze continuano ad essere tantissime. Il Sud è sempre più al buio, con la recessione che galoppa. Negli ultimi cinque anni sono crollati posti di lavoro al sud e sono aumentati di 32.000 unità al Nord. Le aziende attive al Sud sono diminuite di gran lunga, facendo registrare un’incredibile contrazione. Il divario con il resto d’Italia, dove c’è un sostanziale equilibrio tra le imprese nate e quelle chiuse, è nettissimo.

La Regione meridionale che se la passa peggio? Sicuramente la Campania. Confindustria rileva che sia questo il territorio in cui si registra la maggior parte di perdita dei posti di lavoro.

Non sono molto da meno le altre regioni.

Le famiglie continuano a impoverirsi. Povertà assoluta. Difficile dunque auspicare un momento di ripresa economica.

Per tutta l’Europa la crescita è lontana, dunque figuriamoci al Sud. Le aziende italiane sono pessimiste e non vogliono puntare sul Meridione. L’Istat fa registrare proprio a dicembre di quest’anno il punto più basso per quanto concerne l’indice di fiducia delle imprese.

 

La Crisi si sente maggiormente al Sud

Grave crollo del Pil del Sud. In quattro anni, dal 2007 al 2011, è diminuito di circa 24 miliardi di euro. Un considerevole meno 6,8%. I dati provengono da uno studio di Confindustria dal titolo “Check-up Mezzogiorno”.

Che la crisi si sente maggiormente al mezzogiorno non è una novità. Il problema è che oltre al danno si è aggiunta anche la beffa. 16.000 imprese hanno chiuso negli ultimi 4 anni, causando una perdita del lavoro per 330.000 persone. Metà delle imprese in questione hanno chiuso in Campania. Nel 2012, inoltre, il tasso medio di disoccupazione è ulteriormente salito dal 13,6% al 17,4%.

Confindustria rileva che la crisi persiste per via del forte calo degli introiti provenienti dagli investimenti pubblici e da quelli privati. 7 miliardi in meno negli ultimi quattro anni, e 8 miliardi di euro in meno per quanto riguarda gli investimenti fissi lordi nello stesso periodo.

Il Sud dunque è in situazioni drammatiche dal punto di vista occupazionale. Molti giovani decidono di lasciarlo per andare a vivere al Centro, al Nord, o all’estero. Due anni fa 110.000 persone hanno optato per questa (amara decisione). Il capitale umano che rimane sul territorio, però, è inutilizzato.

Confindustria lascia anche un dato che funge da ‘magra consolazione’. L’export del Sud è tornato ai valori pre-crisi, aumentando del 7%. Una cifra superiore del doppio rispetto a quanto accaduto al centro-nord.

Famiglie con poco budget per i saldi

Le famiglie hanno pochi soldi per i saldi. Sembra un gioco di parole, ma in realtà c’è ben poco su cui scherzare.

Già, perché il budget di spesa a disposizione delle famiglie è la metà di quello di 4 anni fa. Nel 2012 è sceso infatti a 224 euro per un intero nucleo familiare.

Nel 2008, invece, la spesa media delle famiglie in regime di saldi eguagliava i 450 euro; per i prossimi saldi in partenza il 2 gennaio, invece, le famiglie spenderanno una media di 224 euro, con una contrazione del 50,2% in soli 4 anni”.

Pochi potranno, dunque, permettersi acquisti onerosi.

I dati provengono dal Codacons, e sono stati diffusi nei giorni scorsi dopo aver effettuato le prime stime sui saldi invernali.

La contrazione delle vendite è dunque evidente. Le famiglie, ormai è palese, non riescono a sopravvivere alle troppe e continue tasse. Dall’Imu alle bollette, passando per le rate da pagare, non rimane spazio per uno sfizio in più.

Così il Codacons osserva che il trend negativo degli acquisti durante il periodo dei saldi proseguirà per tutto il 2013, senza colpi di scena.

Calcio, soggette a Irap le plusvalenze su cessioni milionarie

Cento milioni di Irap. Il mondo del calcio deve pagare. Il tormentone riguardante tassazione o la non tassazione dell’Imposta regionale concernente le attività produttive delle plusvalenze sulle cessioni di calciatori, fa si che l’agenzia delle Entrate si presenti in campo pericolosamente come con un tackle scivolato.

Il Consiglio di Stato ha suggerito al Fisco che eventuali plusvalenze realizzate in occasione della cessione dei contratti di prestazioni sportive dei calciatori siano da prendere in considerazione al momento di determinare la base imponibile Irap.

Quello tra calcio e plusvalenze ottenute con la cessione è un equilibrio fondamentale e ormai più che stabile.

Non parliamo solo delle cessioni dei giocatori più rappresentativi di questo sport. Parliamo anche delle plusvalenze realizzate con le cessioni di talenti giovanissimi, spesso sconosciuti ai più.

Ogni qual volta una società cede un giocatore, registra una grossa plusvalenza di bilancio (chi vende realizza la plusvalenza nell’immediato, mentre chi compra spalma la cifra spesa in cinque anni, in virtù dei regolamenti sulla durata degli accordi contrattuali dei calciatori).

Il fisco, pertanto, ha deciso di indagare su queste diverse centinaia di milioni, concentrando la propria attenzione in due diversi momenti: in primo luogo avviando un’azione di accertamento mirata e successivamente perorando la propria pretesa impositiva nei diversi gradi di giudizio

 

Grillo critica l’agenda-Monti

Beppe Grillo presenta la sua Agenda anti-Monti. Lo fa come di consueto sul suo blog. Il leader del M5S ha pubblicato un programma di sedici punti, in netta contrapposizione rispetto a quello del ‘Professore’.

Grillo si dice preoccupato. Fa gli scongiuri, perché altri cinque anni di Esecutivo Monti porterebbero l’Italia al fallimento economico. Nel contempo elogia, portanto acqua al proprio mulino, la sua agenda.

Sedici punti programmatici. Dalla Legge contro la corruzione all’accesso gratuito a internet. Poi una serie di proposte di natura sociale: tra queste il reddito di cittadinanza, le misure anti-casta (quali ad esempio l’eliminazione dei fondi stanziati ai partiti, l’introduzione di un indice che misuri gli arricchimenti ingiustificati e illeciti dei politici). Per finire con il limite di soli due mandati parlamentari. Una mossa per non far sentire i politici come dei scesi in parlamento.

Grillo contro Monti, nonché contro la politica italiana basata sull’economia. Il fondatore del Movimento a cinque stelle vuole anche un referendum per la permanenza dell’euro, nonché uno stop per le grandi opere “Inutili”. Una su tutte? La Tav.

Così, l’Agenda Anti-Monti diventa un pretesto per realizzare in maniera effettiva la democrazia in un Italia sistematicamente gabbata dai ricchi e dai potenti.

Il programma del leader del Movimento cinque stelle contempla infatti l’ introduzione del referendum propositivo e l’obbligo di discutere in parlamento le leggi nate da un’idea del popolo.