Il fallimento della cedolare secca

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 Lo studio condotto dalla Cgil Nazionale e da Sunia evidenzia come la cedolare secca sugli affitti – imposta che rinnova il regime fiscale sugli contratti di locazione in particolari circostanze – sia stata, per lo Stato, un fallimento in termini di gettito fiscale.

In particolare, oltre ad aver comportato una perdita di 422 milioni di euro di entrate, la cedolare secca avrebbe favorito i proprietari con redditi superiori a 300.000 euro, con una diminuzione della pressione fiscale a loro carico pari a 4.700 euro.

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Il provvedimento che ha fatto nascere la cedolare secca, il decreto legislativo sul federalismo, aveva il chiaro scopo di contrastare l’affitto in nero con la previsione, in sostanza, di un regime fiscale agevolato con la sostituzione, a fronte di specifiche condizioni, da una sola voce di imposizione fiscale.

Ma così non è stato, almeno ai numeri riportati dallo studio: in due anni di applicazione lo stato ha perso 422 milioni di euro, ossia la la differenza tra quanto si sarebbe incassato nel 2011 mantenendo la tassazione precedente e quanto poi è effettivamente arrivato con l’applicazione del regime di cedolare.

Le entrate previste per lo Stato erano state stimate a 2,7 miliardi di euro per il 2011 e di 3,8 miliardi di euro per il 2012. Le effettive sono state, rispettivamente, di 875 milioni di euro e un miliardo nel 2012.

► Contratto di affitto – Adesione cedolare secca

Obiettivo non centrato neanche per il contrasto all’evasione fiscale, anzi, secondo il Report, questo regime avrebbe addirittura agevolato i contribuenti con redditi superiori ai 300.000 euro, per i quali la sostituzione della tassazione Irpef con la cedolare secca avrebbe fatto risparmiare 4.700 euro. Un vantaggio, questo, che decresce parallelamente all’abbassarsi del reddito, arrivando a zero intorno ai 20.000 euro per poi diventare negativo con redditi più bassi.

 

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