Entro fine anno Google aprirà i suoi store reali

 Google ha deciso di ampliare il suo business con l’apertura di negozi reali. A darne notizie è stato il sito 9to5Google, il quale, citando fonti ‘molto attendibili’, annuncia che al massimo entro la fine dell’anno sarà possibile acquistare tutti i prodotti di Mountain View direttamente negli store.

► Aumento profitti Google 2012

Nessuna conferma ufficiale, ancora, ma la notizia sembra essere molto plausibile. In effetti Google è rimasto l’unico dei grandi colossi della tecnologia a non disporre di tale tipo di vendita, diversamente da quanto hanno fatto Apple -che sicuramente detiene il primato con oltre 400 punti vendita- e Microsoft, che si ferma a poco meno di 70.

Alla base della scelta, ovviamente, questioni di mercato. Negli store potranno essere toccati con mano, infatti, i vari prodotti offerti da Google, come i Google Glass, gli smartphone a marchio Android e quelli Nexus, i Chromebook e, molto probabilmente, i misteriosi X-phone e X Tablet ancora in lavorazione. Non è escluso che gli store possano proporre anche i prodotti di Google X, il laboratorio diretto da Sergei Brin, cofondatore di Google.

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Si tratta di una scelta di mercato votata a battere la concorrenza di Apple, in primis, e di Microsoft poi, ma per il colosso di Mountain View si preannuncia una strada tutta in salita.

 

Il presidente di Google cede l’1 per cento

 Il settore delle azioni riferite al mondo tecnologico è di nuovo in fermento dopo la notizia che il presidente di Google cederà l’1 per cento delle sue proprietà finanziarie di Mountain View. Ma niente paura, assicurano i vertici dell’azienda, non si può ancora parlare di cambio della presidenza.

Eric Schimdt è il presidente di Google e sembra abbia deciso di cedere sul mercato l’1 per cento della dote finanziaria di Google che è nelle sue mani. Questa “cessione” della sua quota Google vuol dire che presto, sul mercato azionario, circoleranno 3,2 milioni di azioni legate al motore di ricerca più famoso del mondo.

 Aumento profitti Google 2012

Il loro valore, in dollari, si aggira intorno ai 2,5 miliardi e in termini percentuali, come abbiamo detto, stiamo parlando dell’1 per cento di Google. Al momento, tra l’altro, Schimdt controlla il 2,3 per cento delle azioni e il 5 per cento dei diritti di voto. Le azioni Google, se teniamo conto di quel che è successo venerdì al Nasdaq, valgono circa 785,3 dollari l’una, che è anche il 30 per cento in più rispetto all’anno scorso.

 Ocse e fisco, prese di mira Google e Apple

L’annuncio della vendita non è da considerarsi un’indiscrezione visto che ne è stata data comunicazione già alla Sec. Gli altri vertici di Google però confermano che Shimdt resterà impegnato.

 Google costretta alla liberalizzazione dei brevetti

Aumento profitti Google 2012

 Sono in evidente rialzo i profitti di Google, che prosegue nella sua marcia positiva e continua inoltre ad affermare la sua supremazia.

Nel corso dell’ultimo trimestre l’azienda ha fatto registrare e un attivo di ben 2,89 miliardi di dollari e guadagni record. Per la prima volta i ricavi hanno superato la soglia di 50 miliardi.

Crollo Apple in Borsa 

Nel quarto trimestre del 2012, terminato con un utile netto di 3,57 miliardi di dollari, Google ha avuto un incremento in confronto ai 3,13 miliardi fatti registrare nello stesso periodo del 2011. Al momento i ricavi dell’arco di tempo preso in considerazione si attestano sui 14,42 miliardi di dollari, con un ottimo 36% in più rispetto al 2011.

Utile per azione

L’utile per azione è dunque apparso pari a 10,65 dollari. Una cifra che va oltre ogni previsione fatta dagli economisti.

Inoltre, nelle contrattazioni after-hours di Wall Strett, le azioni hanno superato il 4% di aumento.

La soddisfazione di Larry Page

Soddisfattissimo dei miglioramenti l’ad di Google, Larry Page, il quale comunica che l’azienda ha terminato il 2012 con un trimestre solido. Page ha evidenziato l’aumento dei ricavi del 36% su base annua e dell’8% su base congiunturale.

Ocse e fisco, prese di mira Google e Apple

 E’ il quotidiano Le Figaro a riportare la notizia secondo la quale molto presto, già dal 14-15 febbraio quando a Mosca si riunirà il g20 Finanze, l’Ocse -Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico- presenterà le sue prime proposte per cercare di arginare il fenomeno dell’evasione fiscale.

Il dito dell’Ocse è puntato soprattutto contro i grandi colossi americani  (Google, Apple, Amazon, Starbucks) che hanno la possibilità di sfruttare lacune e mezzi legali per aggirare il fisco, soprattutto operando quella che viene chiamata l’ottimizzazione fiscale, attraverso la quale riescono ad eludere quasi completamente il fisco.

Google e i paradisi fiscali

Ciò su cui, inoltre, si punterà l’attenzione dell’Ocse sono i cosiddetti paradisi fiscali, ossia quei paesi che hanno delle condizioni fiscali particolarmente agevolate. Il piano dell’Ocse, secondo le prime notizie riportate, si baserà su due principi cardine: il primo è il divieto dell’utilizzo di quelle che vengono chiamate scatole vuote, cioè le società che non hanno nessuna attività reale ma che sono utilizzate solo per il trasferimento dei fondi, e il secondo, è quello di imporre un divieto alle società ibride (società che hanno diversi domicili).

Pronto il piano d’azione dell’Unione europea contro l’evasione

Si tratta di una grande rivoluzione, un progetto particolarmente ambizioso anche per l’Ocse, soprattutto perché queste pratiche sono legali nella maggior parte dei paesi.

Borse di studio Google

 Google ha firmato un accordo di collaborazione con Unioncamere che prevede la messa appunto di un progetto chiamato “Distretti sul web” che ha lo scopo di favorire la digitalizzazione delle PMI. Rivolto ai giovani laureti o laureandi, il progetto è patrocinato dal Ministero dello Sviluppo Economico.

Google ha messo a disposizione di Unioncamere 120mila euro, che serviranno al finanziamento di 20 borse di studio, da dare ad altrettanti validi giovani, dal valore di 6.000 euro ciascuna. Le finalità sono quelle di ridurre il gap tecnologico di alcune aree del territorio e di promuovere le opportunità dell’economia digitale.

Le venti borse di studio andranno a coprire le esigenze di 20 aeree selezionate (distretti) della penisola:

1. Distretto dei casalinghi Omegna Varallo Sesia Stresa (Verbania)
2. Distretto dell alimentare e delle bevande di Caneffi Santo Stefano Belbo (Cuneo)
3. Distretto metalmeccanico Lecchese (Lecco)
4. Distretto Ittico di Rovigo (Rovigo)
5. Distretto VeronaModa (Verona)
6. Distretto della Componentistica e TermoelettroMeccanica (Pordenone)
7. Distretto della Sedia (Udine)
8. Distretto del Mobile Imbottito di Forlì Cesena (Forlì Cesena)
9. Distretto delle Piastrelle di Sassuolo (Modena)
10. Distretto della concia di S. Croce sull’Arno (Pisa)
11. Distretto orafo di Arezzo (Arezzo)
12. Distretto delle calzature Fermano Maceratese (Macerata)
13. Distretto del tessile—abbigliamento in cashmere (Perugia)
14. Distretto della ceramica di Civita Castellana (Viterbo)
15. Distretto tessile della Maiella (Chieti)
16. Distretto conciario di Solofra (Avellino)
17. Distretto del tessile di Sant’Agata dei Goti Casapulla (Benevento)
18. Distretto agro alimentare di Nocera Inferiore Gragnano (Salerno)
19. Distretto dell abbigliamento salentino (Lecce)
20. Distretto del Sughero di Calangianus Tempio Pausania (Sassari)

I requisiti indispensabili per la partecipazione al bando per l’assegnazione delle borse di studio Google sono:

– età non superiore a 28 anni;
– laurea di primo o secondo livello o titolo equivalente. I laureandi che si vogliono candidare dovranno dimostrare di aver sostenuto tutti gli esami previsti dal proprio corso universitario,
residenza o domicilio nel distretto di interesse;
– conoscenza della realtà locale;
– competenze informatiche di base, esperienza nell’uso del web e dei social media.

Le domande di partecipazione dovranno pervenire entro e non oltre il 18 febbraio secondo le indicazioni contenute nel MODULO relativo. Tutte le info su: www.unimercatorum.it.

Google costretta alla liberalizzazione dei brevetti

 Giungono così al termine i due anni di indagine avviati dalla Federal trade commission (Ftc) – l’Antitrust americano – arrivando ad un intesa con il colosso dell’informatica di Mountain View. Google non avrà più l’esclusiva per alcuni brevetti ritenuti essenziali per apparecchi telefonici di società rivali (‘iPhone e iPad della Apple, BlackBerry di Research in Motion e tutti gli smartphone che utilizzano i software Windows di Microsoft).

Una decisione storica, che toglie a Big G molto del suo primato, rendendo la vita più facile alle aziende concorrenti. Google, infatti, non potrà più neanche fare ingiunzioni in tribunale sulla questione.

 

E’ una buona notizia anche per gli inserzionisti pubblicitari, che avranno un maggiore flessibilità per le loro campagne. Ad esempio, Google ha deciso di rimuovere tutte le restrizioni di AdWords, uno dei suoi più potenti strumenti, in modo da dare agli inserzionisti la possibilità di controllare l’andamento e i risultati delle loro campagne e confrontarle con quelle fatte su alte piattaforme.

L’intesa raggiunta da Google con la Federal trade commission chiude così un capitolo di trattative lungo due anni, che ha riguardato l’operato del colosso di Mountain View in tutto il mondo e ripristina, almeno nell’opinione dell’Antitrust americano, la libera concorrenza nel mercato dell’informatica mondiale, in quanto l’accordo ha valore in tutto il mondo.

Google cresce in Europa

 Il titolo di Google è un po’ finito sull’ottovolante perché all’azienda di Mountain View è stato contestato questo modo un po’ losco di trasferire i profitti nei paesi che prevedono una tassazione inferiore a quella del paese di “residenza” dell’azienda.

Il contraccolpo finanziario si è sentito sul titolo in borsa ma è pur vero che Google ha immediatamente tirato fuori il coniglio dal cilindro con l’annuncio di un accordo siglato con gli editori belgi di lingua francese e con le associazioni di autori in Belgio.

L’accordo tra Google e il Belgio francofono è stato siglato per ampliare il volume dell’utenza dei prodotti dell’azienda americana in lingua francese e per incrementare così anche i ricavi delle pubblicazioni sul web.

Il precedente sta in una vertenza giudiziaria che si trascina nelle aule di tribunale dal 2006. Adesso, secondo il modello d’intesa definito da Bruxelles, ci saranno diverse opportunità di collaborazione in internet. Gli editori, per esempio, cercheranno di migliorare l’uso di AdSense così da avere inserzioni pubblicitarie maggiormente remunerative.

Il giro d’affari della pubblicità di AdSense è di circa 7 miliardi di dollari per le case editrici. In futuro per incrementare il legame tra contenuti ed inserzioni potrebbe essere adottata anche la piattaforma pubblicitaria AdExchange ma si partirà dall’uso più intensivo anche di un altro strumento targato Google: AdWords.

Ci prova anche Google, che ne sarà del titolo?

 Molte aziende trasferiscono parte della loro attività commerciale all’estero in modo da pagare meno tasse. La più importante che è stata di recente sbugiardata è stata la Apple e il suo titolo, oggi, sembra non passarsela troppo bene.

Cosa ne sarà allora di Google? I titoli tecnologici arrancano ma restano sempre a galla i cosiddetti colossi. Il gigante di Mountain View per esempio m a anche per lui si profilano tempi peggiori di questi. Google, infatti, ha risparmiato ben 2 miliardi di dollari di tasse nell’anno d’imposta 2011.

A dirlo sono i resoconti che arrivano dalle Bermuda, un paradiso fiscale dove Google ha trasferito circa 9,8 miliardi di dollari del suo fatturato. Il resoconto è stato stilato dall’agenzia di stampa Bloomberg che ha visionato dei documenti depositati in Olanda da una sussidiaria di Google.

A livello generale, quindi, si discute del modo con cui evitare che le aziende hi-tech e le altre aziende, trasferiscono all’estero la loro attività in modo da evitare la tassazione imposta dal paese d’origine.

Il procedimento che è stato messo alla gogna è quello che si chiama Double Irish che consente alle società di avere due sedi, di cui una in Irlanda, paese che ha ridotto la tassazione a carico delle aziende per attirare nuovo business nel paese. Il denaro prodotto è trasferito quindi alle Bermuda dopo un passaggio in Olanda.

Questo traffico di denaro è stato messo alla gogna da diversi Stati.

 

Google e i paradisi fiscali

 Sembra ormai certo che i grandi colossi dell’informatica siano ricorsi ai paradisi fiscali per eludere il fisco. Dopo Apple, anche Google è sospettata di aver fatto ricorso ai paesi in cui le leggi sul fisco per eludere in modo legale quello europeo, riuscendo così ad evitare di sborsare ogni anno miliardi di dollari nelle casse dei paesi in cui opera.

E’ quanto dichiara Bloomberg, una dichiarazione che conferma le ipotesi di evasione già formulate in Italia e alle quali si sta cercando di dare un chiarimento attraverso i controlli della Guardia di Finanza fatti nelle sedi di Google, che dovrebbe pagare circa 96 milioni di euro all’erario italiano, e nelle sedi di Facebook Italia.

Le operazioni di trasferimento di denaro di cui parla Bloomberg si riferiscono al 2011, quando BigG avrebbe spostato quasi 10 miliardi di dollari alle Bermuda, riuscendo ad eludere il fisco per circa 2 miliardi di dollari. Nella pratica non c’è nulla di illegale – è possibile spostare i propri capitali e i propri guadagno dove meglio si crede visto che la legge lo consente – ma è proprio questo vuoto legislativo a costituire il problema.

Google, come già fatto per gli accertamenti subiti in Italia, risponde mettendo sul piatto le sue cifre e evidenziando che, anche nel caso in cui ci fosse stato davvero uno spostamento di capitali verso mete offshore, il suo operato sul territorio europeo vale 700 posti di lavoro in Germania e 1200 in Inghilterra.

Google Italia deve pagare 96 milioni di euro di tasse

 Google è nel mirino del fisco. Da un lato la Germania che propone una legge per il pagamento dei diritti d’autore per tutti i contenuti messi in rete dai motori di ricerca (tra i quali compare anche Google, ovviamente) in difesa del diritto d’autore e della stampa cartacea, dall’altra il ministero dell’Economia e delle Finanze  che, rispondendo all‘interrogazione presentata da Stefano Graziano, deputato del Pd, risponde:

Nel quinquennio 2002-2006 Google non ha dichiarato reddito imponibile per oltre 240 milioni di euro, che sono pari a 96 milioni di euro di iva da versare al Fisco italiano.

L’obiettivo dell’interrogazione parlamentare era quello di capire quali fossero le decisioni e le misure che il governo italiano ha intenzione di prendere contro tutte le grandi aziende internazionali che sfruttano le lacune delle leggi tributarie dei vari paesi per non versare quanto dovuto in base alla loro capacità contributiva.

Il problema fiscale, infatti, non riguarda solo Google, ma tutte le aziende e i gruppi che operano nel settore dell’hi-tech che

sfruttando ingegnerie finanziarie offerte da evidenti lacune nella normativa nazionale e internazionale, riescono a non pagare le tasse nel nostro paese. Per contrastare efficacemente fenomeni di pianificazione fiscale aggressiva aventi scala transnazionale, sta procedendo, in base a un primo screening delle risultanze dell’attività di tutoraggio dei grandi contribuenti, a una selezione di posizioni che possano dar luogo a una mirata attività di controllo fiscale nei confronti dei gruppi multinazionali attivi nel settore dell’elettronica e dell’e-commerce e le cui strategie fiscali sono oggetto di attenzione da parte dell’opinione pubblica italiana e internazionale

Da parte sua Google, nelle cui sedi si stano facendo ulteriori ispezioni,

rispetta le leggi fiscali in tutti i Paesi in cui opera e siamo fiduciosi di rispettare anche la legge italiana. Continueremo a collaborare con le autorità locali per rispondere alle loro domande relative a Google Italy e ai nostri servizi.