L’inflazione pesa più dell’Imu

 Tutti i vari personaggi in lizza per il prossimo governo non fanno altro che discutere di Imu. Toglierla, modificarla o mantenerla sono le posizioni -in linea di massima- sulle quali si scontrano tutti, partendo dall’assunto di base che a determinare la grave situazione in cui versano le famiglie italiane sia stata la tassa sulla casa.

► Dati inflazione gennaio

Ma il Codacons ci dà un’altra versione dei fatti. Analizzando i dati Istat, infatti, l’associazione dei consumatori ha concluso che a pesare di più sui conti degli italiani sia stata l’inflazione, e non la tanto odiata Imu. I dati parlano, infatti, di una inflazione a livelli record, circa il 3% su base annua, la più alta dal 2008, anno in cui la crisi economica è scoppiata in tutta la sua drammatica realtà.

Secondo il Codacons si dovrebbe analizzare la spesa effettiva delle famiglie e non solo il valore dei beni che sono annualmente inseriti nel paniere dei consumi dall’Istat. Il Codacons ha fatto questo calcolo e ha scoperto che nel 2012 una famiglia italiana media composta di 3 persone ha speso 1458 euro in più rispetto al 2011.

► La crescita dei salari è la metà dell’inflazione

Risultato che mette in luce il fatto che l’inflazione è pesata nettamente di più dell’Imu, per la quale le famiglie italiane hanno sborsato, mediamente, 276 euro. Lo stesso vale anche per le famiglie con un diverso numero di componenti: una famiglia di 4 persone ha subito un aumento delle spese di 1.546 euro, mentre per i nuclei famigliari più piccoli, quelli da due persone, la maggiorazione sarebbe stata di 924 euro.

La crescita dei salari è la metà dell’inflazione

 L’inflazione sale, la fiducia dei consumatori scende e le retribuzioni dei lavoratori, invece, restano praticamente stabili. Secondo i dati dell’ultimo bollettino Istat, infatti, le retribuzioni contrattuali orarie nella media del 2012 sono aumentate dell’1,5% rispetto all’anno precedente, un dato che non era così basso dal 1983.

Record del debito con le banche per le famiglie italiane

Ma il problema non è solo che i salari dei lavoratori non hanno avuto nessun aumento, ma il fatto che la forbice tra l’aumento dei salari e la crescita dell’inflazione si allarga sempre di più. Nel 2012 l’aumento dell’inflazione registrato su base annua è stato del 3%, quindi praticamente il doppio. In questo caso non si vedeva una distanza tanto grande tra salario ed inflazione dal 1995.

Italia fuori dalla recessione ad aprile

A fare da contraltare a questi dati, l’indice della fiducia dei consumatori che è passato dagli 85,7 punti di dicembre agli 84,6 del gennaio del 2013. Per trovare un livello simile è necessario, ance qui, andare indietro di qualche anno, fino al 1996. Sono entrambi gli indici a essere crollati: sia quello che riguarda la fiducia corrente (a 90,9) che quello sul clima personale (a 89,3).

Per ora a mostrare qualche segno di speranza è solo la Confindustria che, nel bollettino Congiuntura flash, afferma che l’Italia ha raggiunto il fondo della recessione e che, quindi, è proprio questo il momento migliore per la ripresa economica.

Inflazione dicembre 2012

Nell’ultimo mese dell’anno precedente, parliamo dunque di dicembre 2012, il tasso d’inflazione annuo ha subito l’ennesimo rallentamento. E’ già il terzo. Il tasso si è bloccato al 2,3%, dal 2,5% di novembre. Il dato provvisorio prima della comunicazione del dato da parte dell’Istat, la quale ha rivisto le stime al ribasso era intorno al 2,4%.

► Diminuzione inflazione 2013

Su base mensile, nello specifico, i prezzi salgono dello 0,2%.

AUMENTI

I prezzi dei prodotti comprati con maggiore frequenza dai consumatori sono saliti dello 0,1% su base mensile e del 3,1% con un netto rallentamento dal 3,5% di novembre su base annua. Il tasso di inflazione medio annuo per il 2012 si aggira intorno al 3%, in accelerazione di due decimi di punto percentuale rispetto al 2,8% verificatosi per il 2011.

Parliamo pertanto del dato più alto dal 2008, quando si aggirava intorno al 3,3%.

CAUSE

A cosa è dovuto il rallentamento del tasso d’inflazione? L’Istat lo ‘giustifica’ con l’ulteriore frenata dei prezzi dei beni energetici non regolamentati, che hanno fatto verificare un calo congiunturale dello 0,7% e una crescita tendenziale del 7,7%, dall’11,6% di novembre.

L’inflazione di fondo, il cui calcolo è stato fatto al netto dei beni energetici e degli alimentari freschi, sale all’1,6% (era +1,5% nel mese precedente).

Rispetto a dicembre 2011, i maggiori tassi di crescita interessano i seguenti settori: abitazione, acqua, elettricità e combustibili, trasporti, istruzione.

Diminuzione inflazione 2013

Il 2012 è stato archiviato e a livello economico le notizie preoccupanti non sono mancate. È stato un anno di crisi e di rischio fallimento per l’Italia. Una crisi che ha toccato molti settori e ambiti, con grandi influenze sulla vita sociale delle persone. Dall’aumento della disoccupazione agli stipendi bloccati, e anche l’inflazione è cresciuta. Questa situazione ha portato all’aumento delle tasse per evitare che la situazione diventasse incontenibile.

Per il 2013 ci sono buoni segnali per l’inflazione, ma il potere di acquisto delle famiglie è ancora debole come dimostra Unioncamere. Per quanto riguarda l’inflazione, nel 2012 è stata in media tra il 3% e il 4,3% sui generi alimentari. Un livello alto che non si registrava dal 2008. Per il 2013, sempre secondo Unioncamere e il suo Osservatorio “Prezzi e mercati”, l’inflazione dovrebbe scendere sotto il 2%. La situazione però non è del tutto facile, in quanto a metà anno è previsto l’aumento dell’Iva che dovrebbe fare rialzare i prezzi.

I prezzi dovrebbero quindi abbassarsi per poi alzarsi per effetto dell’aumento dell’Iva che pè una misura che era stata già prevista.

Unioncamere ha affermato che “Il 2012 sarà ricordato come l’anno di recessione più profonda per i consumi delle famiglie dal secondo dopoguerra”. Una situazione che ha visto un problematico rapporto tra la capacità di spesa e i prezzi e che dovrebbe interrompersi nei primi mesi del 2013. Poi l’aumento dell’Iva come detto potrebbe cambiare la situazione.

 

Valutazione degli strumenti finanziari: i titoli obbligazionari

 Il prezzo di acquisto e di vendita dei titoli obbligazionari è molto variabile, nonostante i bond vengano sempre segnalati come degli investimenti molto sicuri. Infatti, nella determinazione del prezzo delle obbligazioni (sia di quello di acquisto che di quello di vendita, ossia il rendimento) concorrono diverse variabili che rispondono alle leggi del mercato.

Nello specifico, il prezzo di un titolo obbligazionario è dato da:

– il tasso d’interesse di mercato (nel quale va calcolato anche il tasso d’inflazione);
– la durata del titolo;
– il rating dell’emittente.

Nel calcolo del rendimento di un titolo va, inoltre, considerato che a determinarlo ci sono anche il rendimento della cedola, il rendimento effettivo (rapporto fra ammontare della cedola periodica e prezzo dell’obbligazione) e il rendimento a scadenza (tasso di rendimento medio di un’obbligazione acquistata oggi e detenuta fino a scadenza).

In linea di massima, quindi, a parità di tutte le condizioni, una obbligazione con una durata residua molto lunga ha un rendimento futuro potenziale minore di una prossima alla scadenza, in quanto più sensibile a lungo termine alle variazioni di mercato. Gioca, inoltre, un ruolo fondamentale il tasso di inflazione atteso per la scadenza del titolo, che spesso non viene calcolato nel rendimento atteso per il quale gli investitori tendono ad utilizzare il tasso di inflazione reale.

Inflazione e salari crescono di pari passo

Aumentate dell’1,5 % le retribuzioni orarie nel mese di ottobre. Un’ottima notizia, confermata dall’Istat che ha messo a confronto il mese scorso con lo stesso periodo del 2011. In totale è una crescita (su base mensile) dello 0,2%.

Al crescere dei salari, tuttavia, corrisponde purtroppo la crescita dell’inflazione.

Il dato della retribuzione resta sotto il livello dell’inflazione, cresciuto del 2,6%.

Il dato rimane comunque sotto il livello dell’inflazione. Infatti, anche se c’è stato un rallentamento dei prezzi, il livello di inflazione nel confronto annuo è aumentato del +2,6%. Cio implica che l’aumento delle retribuzioni orarie non è ancora in sintonia con l’incremento dell’inflazione e quindi dei prezzi. Un aspetto che conduce alla diminuzione dei consumi e a maggiori problematiche di natura economica per le famiglie.

Per quanto concerne i settori, l’aumento delle retribuzioni orarie si attesta intorno al 2,1% nel settore privato, mentre nel settore pubblico non si registrano particolari variazioni.

Sempre l’Istat ha messo in evidenza che nel mese di Ottobre gli accordi contrattuali in attesa di rinnovo sono 36. 16 sono inerenti alla pubblica amministrazione e circa quattro milioni di dipendenti. In particolar modo, i dipendenti in attesa di rinnovo sono il 30,7% nel totale dell’economia. L’attesa media del rinnovo del contratto è di 32,2 mesi in generale, mentre nel settore privato è di 26,7 mesi.

A ottobre è stato raggiunto l’accordo per i dipendenti dell’industria chimica. Tra i contratti monitorati, quelli dell’industria alimentare e olearia sono invece scaduti.