Usa, deludenti i dati sul lavoro

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Chiusura di settimana rocambolesca dal punto di vista finanziario. Mario Draghi ha confermato il suo sostegno al mercato, lasciando ben aperta la porta per un incremento del controvalore di titoli di Stato acquistati nell’ambito del Quantitative easing, e ora la palla passa di nuovo nelle mani della Federal Reserve.

La Bce ha variato leggermente il piano d’acquisti, con un cambio tecnico che le dà maggiori margini di manovra ma soprattutto fa capire che è pronta a intervenire in maniera più massiccia; il radar si sposta ora sulla riunione del Comitato di politica monetaria della Banca centrale Usa del prossimo 16 e 17 settembre, quando potrebbe arrivare il primo rialzo dei tassi dal 2006.

Sul tavolo di quella riunione arriveranno anche i dati sul lavoro pubblicati oggi: l’economia a stelle e strisce ha creato 173mila posti di lavoro ad agosto, quando il tasso di disoccupazione si è ristretto al 5,1%. Gli analisti si aspettavano la creazione di 220mila posti e un tasso di disoccupazione in calo dal 5,3 al 5,2%. Nonostante la delusione sui posti creati, è interpretata come un segnale di forza la revisione al rialzo dei posti creati a giugno e luglio (44mila posti aggiunti nei due mesi), con il tasso di senza lavoro (calcolato su diversa base statistica) ai minimi dal 2008. Per la Fed, gli Usa sono praticamente in una situazione di piena occupazione. Tra gli elementi che certificano la ripresa si annovera anche la crescita sopra le stime delle retribuzioni orarie.

Prima della pubblicazione dei dati, secondo l’analisi dei Fed Funds che anticipano la possibilità dei cambi di politica monetaria, si tracciava il 28% di possibilità di un aumento dei tassi a settembre, mentre si arriva al 56,3% per il Fomc di dicembre. Secondo il presidente della Fed di Richmond, Jeffrey Lacker, “i tempi sono maturi perché la Federal Reserve alzi i tassi di interesse”. Diversa l’opinione per gli ex funzionari di Washington, per i quali il prossimo meeting si concluderà con un nulla di fatto.

 

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