Linee guida per la contribuzione Aspi per i licenziati

 La Riforma Fornero (legge n. 92/2012) ha apportato dei notevoli cambiamenti al mondo del lavoro, anche per quanto riguarda gli ammortizzatori sociali, con l’introduzione della contribuzione ASPI, il contributo previdenziale che i datori di lavoro ai lavoratori licenziati, solo in caso di contratto a tempo indeterminato, a partire dal 1° gennaio 2013.

Questo contributo, chiamato contributo sui licenziamenti o anche ticket sui licenziamenti, è necessario per il finanziamento delle indennità di disoccupazione (Aspi e mini-Aspi). L’Inps ha pubblicato la Circolare n. 44/2013 per fornire tutte le indicazioni in merito alla contribuzione ASPI.

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Come si paga il contributo sui licenziamenti?

Il contributo sui licenziamenti, ovvero il ticket sui licenziamenti, deve essere versato dal datore di lavoro che abbia licenziato uno o più dipendenti assunti con un contratto a tempo indeterminato entro e non oltre il termine di versamento della denuncia successiva a quella del mese in cui si verifica la risoluzione del rapporto di lavoro.

Ad esempio, se un lavoratore viene licenziato in data 4 maggio 2013, secondo quanto riporta la legge di riferimento e la circolare dell’Inps, il contributo sul licenziamento deve essere versato entro la denuncia riferita al mese di giugno 2013, i cui termini di versamento e di trasmissione sono fissati, rispettivamente, al 16 e al 31 luglio 2013.

Dal momento che si tratta di una nuova legge, è stato previsto un periodo di adeguamento graduale, che va da gennaio a marzo 2013, periodo durante il quale il contributo sul licenziamento del dipendente potrà essere versato, senza avere maggiori oneri o aggravi per mora, entro il giorno 16 del terzo mese successivo a quello di emanazione della presente circolare, ossia entro il 16 Giugno 2013.

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A quanto ammonta l’importo del contributo sui licenziamenti?

Per l’anno 2013, il contributo sui licenziamenti ammonta, a partire dal 1 gennaio, a 483,80 euro (€1.180X41%) per ogni 12 mesi di anzianità aziendale negli ultimi tre anni, per un massimo, nel caso il lavoratore abbia totalizzato i 36 mesi di anzianità aziendale, a 1.451,00 euro (€483,80 X 3), indipendentemente dall’orario di lavoro (part time o full time).

Se il rapporto di lavoro che si sta interrompendo ha avuto una durata inferiore ai 12 mesi, il ticket sul licenziamento deve essere ricalcolato in proporzione al numero dei mesi di durata del rapporto lavorativo.

Il contributo sul licenziamento non prevede la possibilità di rateizzazione.

Ci sono dei casi in cui il datore non deve pagare il contributo sul licenziamento?

La legge n. 92/2012 prevede che per i casi di ’ingresso nelle procedure di mobilità ex art. 5, co. 4, legge n. 223/91 il datore di lavoro non è tenuto al pagamento del ticket sui licenziamenti.

Inoltre, riguardo al periodo 2013 – 2015, i datori di lavoro sono esentati dal pagamento del ticket nei seguenti casi:

1. licenziamento conseguente a cambio di appalto, ossia il lavoratore è stato assunto da altro datore di lavoro;

2. nel caso di lavoratori del settore edile, se il rapporto di lavoro cessa per completamento delle attività e chiusura del cantiere;

Il contributo Aspi ordinario per l’apprendistato

L’Aspi, la nuova assicurazione per i lavoratori, è un ammortizzatore sociale che viene finanziato attraverso due tipi di contribuzione, una è il contributo ordinario.

Questa prima tipologia di contributo per l’Aspi è dovuta dal datore di lavoro in formula piena (1,31%+0,30%) nel caso di assunzione con contratto di apprendistato, anche se su questi contratti, in base alla legge n. 183/2011, sono state applicati vari sgravi contributivi per l’incentivazione. Stesso discorso vale anche nel caso in cui il contratto di apprendistato venga risolto in altro tipo di collaborazione al termine del periodo di formazione.

Se l’apprendista è, invece, iscritto alle liste di mobilità per il datore di lavoro l’Aspi non dovrà essere pagata in misura piena, ma il contributo sarà del 10% per un periodo di 18 mesi dal giorno dell’inizio del rapporto di lavoro.

Nel caso di lavoratori che hanno contratti di somministrazione, l’Aspi sarà versata con un contributo pari all’1,31%, senza la maggiore prevista dello 0,30%,.

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Il contributo addizionale Aspi 

Il contributo addizionale Aspi, altra forma di finanziamento di questo ammortizzatore sociale, è dovuta per lavoro subordinato non a tempo indeterminato con un’imposizione pari all’1,40%, con la possibilità di usufruire delle riduzioni contributive previste dall’ordinamento per tutte le tipologie di assunzioni a tempo determinato agevolate.

Nel caso di assunzioni a tempo determinato di lavoratori iscritti alle liste di mobilità, il datore di lavoro non è tenuto a versare nessuna contribuzione aggiuntiva.

Tutti i dettagli relativi alla contribuzione Aspi sono contenuti nella  Circolare n. 44 – 2013 dell’INPS.

Le piccole imprese bocciano la Riforma Fornero

 I numeri che emergono dal sondaggio fatto dalla Ispo-Confartigianato mostrano come la Riforma Fornero, che avrebbe dovuto sistemare il mondo del lavoro in Italia, non sia riuscita nel suo intento, anzi, sembra davvero che abbia peggiorato la situazione.

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Secondo il sondaggio, infatti, dopo l’entrata in vigore ad inizio anno della Riforma, la disoccupazione è aumentata fino a toccare quota 11,7%, percentuale doppia rispetto alla media europea, sono stati persi 1.641 posti di lavoro al giorno e nessun risultato è stato ottenuto per far diminuire la precarietà che attanaglia le giovani generazioni: anche il numero dei contratti atipici continua a scendere trimestre dopo trimestre.

Ovviamente non tutto può essere attribuibile a quanto il ministro Fornero ha deciso di fare: la crisi economica è un fatto che accomuna tutto il mondo, a parte i paesi in via di sviluppo, ma, se anche dopo che è stata varata una riforma che avrebbe dovuto apportare qualche miglioramento, i risultati continuano a peggiorare, è una chiara indicazione che nella riforma stessa c’è qualcosa che non va.

A confermare questa intuizione c’è il sondaggio della Confartagianato, che mette in evidenza come, soprattutto tra le piccole imprese, il malcontento è molto diffuso: il 65%, infatti, ha bocciato in pieno la riforma, dichiarando che ha avuto solo effetti negativi sia sull’occupazione che sulla crescita.

Giorgio Merletti, presidente della Confartigianato, ha così commentato i dati:

Le nostre rilevazioni confermano quanto avevamo temuto e denunciato: la riforma Fornero ha frenato la propensione ad assumere e ad utilizzare contratti flessibili, ha aumentato il costo dell’apprendistato e dei contratti a tempo determinato, senza peraltro alcuna riduzione del costo del lavoro dei cosiddetti contratti standard. Inoltre la confusa formulazione delle norme su partite iva e associazioni in partecipazione, sta determinando un freno anche rispetto al lavoro autonomo genuino e, conseguentemente, al sistema produttivo. Ed ha ulteriormente complicato la normativa sul lavoro. Insomma, tutto il contrario rispetto a ciò che serve.

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La Riforma Fornero aveva tra gli obiettivi primari quello di ridurre la precarietà tra i giovani, introducendo dei disincentivi per i contratti a termine, soprattutto in termini di costo. Anche se secondo i dati rilasciati dal Ministero del Lavoro i contratti a termine sarebbero passati dal 63,1 % al 65,8% dopo la Riforma, gli artigiani intervistati, nel 59% dei casi, dicono il contrario, affermando di non aver intenzione di rinnovare i contratti a termine già attivi.

I dati concordano, invece, per quanto riguarda i contratti a chiamata (chiamati anche a intermittenti o job on call): nel primo semestre di applicazione della riforma si sono ridotti del 37,4 % rispetto al secondo semestre del 2011. Stesso discorso per i contratti parasubordinati: – 15,3 %. In media entrambe le tipologie scendono del 24,4 %.

 

 

Nessun congedo parentale per i lavoratori del pubblico impiego

 In Italia i tempi legislativi sono sempre molto lunghi. Soprattutto quando si tratta di recepire delle norme che ci vengono imposte dall’Unione Europea. L’ultimo caso, in ordine cronologico, è quello che riguarda l‘applicazione del diritto al congedo parentale per i dipendenti pubblici, un settore che sta vivendo un momento di vera passione.

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Una circolare Inps, infatti, ha reso noto, prendendo come riferimento la più recente normativa italiana di riferimento, che i padri lavoratori del pubblico impiego non possono usufruire 

del congedo obbligatorio (un giorno al mese) e il congedo facoltativo (due giorni) della legge 92 del 28 giugno 2012, fruibili entro il quinto mese di vita del figlio.

Della situazione incresciosa che si è venuta a creare si è fatta portavoce l’Anief, un’associazione che si occupa del settore scuola, la quale ha denunciato la discriminazione in atto nei confronti dei dipendenti del pubblico impiego, che non possono, come invece accade ai colleghi che lavorano in ambito privato, godere di un loro diritto.

L’Anief prende come riferimento la direttiva comunitaria 18 del 2010 che definisce il congedo parentale come un diritto individuale che permette di aiutare i giovani che lavorano in Europa ad ottenere una migliore conciliazione.

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Arrivata presto anche la replica dell’Inps che, in pratica, afferma di non poter ovviare al problema, se non nel momento in cui saranno approvati i decreti attuativi e le disposizioni ad hoc per i lavoratori statali.

Il contratto a chiamata – Prestazioni ammesse

 Il contratto di lavoro a chiamata prevede che il lavoratore non abbia un impegno fisso con il datore di lavoro, ma che quest’ultimo lo chiami nel momento in cui ne ha la necessità.

Si tratta di una tipologia di contratto, come anche gli altri contratti di lavoro subordinato che non prevedono l’assunzione a tempo indeterminato, che ha ricevuto una stretta con la riforma del mercato del lavoro varata dal governo Monti.

Dopo aver visto per il contratto a chiamata le tipologie e le prestazioni, vediamo di capire quali sono le prestazioni che il datore di lavoro può richiedere al lavoratore.

Le prestazioni ammesse nel contratto di lavoro a chiamata

Le prestazioni lavorative ammesse dal contratto di lavoro a chiamata sono:

1. prestazioni a carattere discontinuo che rientrino nelle esigenze previste dai contratti collettivi di ogni categoria lavorativa (art. 34, c. 1, D.Lgs. n. 276/2003);

2. prestazioni lavorative rese da soggetti con meno di 24 anni di età (comunque entro il compimento dei 25 anni) e da lavoratori con età superiore i 55 anni, anche nel caso di pensionati (art. 34, c. 2, D.Lgs. n. 276/2003);

3. prestazioni per il fine settimana: dalle 13 del venerdì alle 6 del lunedì successivo;

4. prestazioni per ferie estive: dal 1º giugno al 30 settembre;

5. prestazioni per vacanze natalizie dal 1º dicembre al 10 gennaio;

6. prestazioni per vacanze pasquali: dalla domenica delle Palme al martedì successivo il lunedì dell’Angelo.

Il contratto a chiamata – Tipologie e limitazioni

 Dal luglio 2012 è entrata in vigore la riforma del mercato del lavoro che prevede numerose variazioni dei contratti esistenti in Italia al fine di disincentivare l’utilizzo di contratti a termine in favore di forme di lavoro a tempo indeterminato. Occupiamoci del contratto a chiamata.

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Che cos’è e come funziona il contratto a chiamata

Il contratto a chiamata è una tipologia di contratto di lavoro subordinato che viene utilizzato per prestazioni occasionali e discontinue. Le aziende lo utilizzano per assumere personale solo in situazioni di necessità momentanea.

Il contratto a chiamata può essere sia a tempo determinato che a tempo indeterminato e, per ognuna delle due durate esistono due tipi di contratto che differiscono per l’impegno che viene richiesto al lavoratore:

1. senza obbligo di disponibilità, per cui il datore di lavoro non può pretendere che il lavoratore sia sempre disponibile alla chiamata;

2. con obbligo di disponibilità, quindi il lavoratore si impegna ad essere disponibili ogni volta che il datore di lavoro richiede la sua presenza, obbligo per il quale il lavoratore riceve una indennità.

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Limitazioni al contratto di lavoro a chiamata

Esistono delle circostanze in cui non è possibile stipulare un contratto di lavoro a chiamata, nello specifico:

1. per sostituzione di lavoratori in sciopero;

2. se l’azienda ha effettuato licenziamenti collettivi nei sei mesi precedenti

3. per imprese che non hanno effettuato la valutazione del rischio.

 

 

Incentivo per i datori di lavoro che assumono i licenziati delle PMI

 Il Ministro Elsa Fornero ha deciso di chiudere il suo mandato con un decreto che, anche se non apporta significativi cambiamenti alla disastrosa situazione lavorativa in cui versa l’Italia, può essere comunque uno stimolo per dare nuova speranza a chi ha perso il lavoro negli ultimi mesi.

Nello specifico il decreto voluto dal Ministro si rivolge ai datori di lavoro che vorranno assumere i licenziati delle Piccole e Medie Imprese per giustificato motivo oggettivo (GMO). Per giustificato motivo oggettivo si intende un licenziamento dovuto a riduzione, trasformazione o cessazione di attività o di lavoro.

Questi lavoratori, a patto che siano stati licenziati nei dodici mesi precedenti l’assunzione porteranno a chi li assume un incentivo di 190 euro in forma capitaria (cifra fissa mensile, riproporzionata per le assunzioni a tempo parziale), valido sia in caso di assunzione full time o part time, con contratto a tempo determinato o indeterminato.

L’incentivo sarà versato per tutto l’arco del durata del rapporto di lavoro, per un massimo di 12 mesi in caso di assunzione a tempo indeterminato e per un massimo di 6 per contratti a tempo determinato.

Le risorse stanziate per l’erogazione dell’incentivo -gestita dall’Inps con procedura informatizzata e automatica fino a capienza delle risorse stanziate- sono pari a 20 milioni di euro.

 

CDM approva il codice di comportamento per i dipendenti delle P.A.

 E’ stato approvato oggi dal Consiglio dei Ministri il pacchetto di regole per i dipendenti e i dirigenti delle amministrazioni pubbliche proposto dal ministro della Funzione pubblica Filippo Patroni Griffi. Un ultimo ‘regalo’ prima della fine del suo mandato, che prevede regole e pene molto più severe, fino al licenziamento.

Il codice è stato approvato ‘salvo intese’ e è stato emanato in attuazione della legge n. 190 del 2012 (la legge anti-corruzione) e seguendo le direttive dell’Ocse.

Cosa prevede il codice di comportamento per i dipendenti delle P.A.?

L’illecito disciplinare derivante dalla violazione di un dovere di comportamento previsto dal presente codice va accertato all’esito del procedimento disciplinare regolato dalla normativa vigente e il tipo di sanzione disciplinare concretamente applicabile, incluse quelle espulsive, va rinvenuto nei contratti collettivi e nella normativa, anche regolamentare, vigenti in ciascun settore, tenuto conto, anche ai fini dell’entità della sanzione, della gravità del comportamento e dell’ammontare del pregiudizio, anche morale, arrecato al decoro o al prestigio dell’amministrazione.

Questa la premessa del nuovo codice di comportamento per i dipendenti delle amministrazioni pubbliche italiane che ha l’intento di disciplinare anche il comportamento dei dirigenti che da ora in poi hanno l’obbligo di comunicare all’amministrazione le partecipazioni azionarie e gli altri interessi finanziari che possono porli in conflitto d’interesse con le funzioni che svolgono.

I regali

Parlando dei dipendenti, il nuovo codice prevede che sia precluso chiedere e accettare regali, di qualsiasi natura, per un valore superiore ai 150 euro, stretta che vale anche per i regali ricevuti sotto forma di sconto. Tutto ciò che arriva al dipendente delle pubbliche amministrazioni che abbia importo superiore a quanto indicato deve immediatamente essere messo a disposizione dell’amministrazione per essere devoluti a fini istituzionali.

Obblighi di comunicazione

I dipendenti sono altresì obbligati a dichiarare la partecipazione o l’appartenenza ad associazioni e organizzazioni (esclusi partici politici e sindacati) i cui ambiti di interesse possano interferire con lo svolgimento delle attività dell’ufficio. Ma non solo, i dipendenti devono anche dichiarare, al momento della loro entrata nella pubblica amministrazione, tutti i rapporti diretti o indiretti di collaborazione avuti con soggetti privati nei 3 anni precedenti e in qualunque modo retribuiti.

I dipendenti delle P.A. devono anche astenersi, si legge nel provvedimento,

dal prendere decisioni o svolgere attività inerenti le sue mansioni in situazioni di conflitto di interessi anche non patrimoniali, derivanti dall’assecondare pressioni politiche, sindacali o dei superiori gerarchici.

Con obbligo di tracciabilità e di trasparenza di tutti i processi decisionali adottati.

Utilizzo dei materiali e delle strutture

Ultimo punto sul quale si concentra il nuovo codice di comportamento per i dipendenti delle P.A. è quello dell’utilizzo dei materiali e delle attrezzature messe a disposizione dalle P.A. per lo svolgimento delle mansioni di ufficio, con particolare riferimento a linee telematiche e telefoniche e mezzi di trasporto, che possono essere utilizzati solo per ragioni d’ufficio.

Risarcimento accordato ai precari della scuola

 E’ bastata l’applicazione alla lettera delle norme europee  in materia di abuso di contratti a tempo determinato per far ottenere a due precari della scuola un risarcimento di oltre 15o mila euro ciascuno.

► Stipendi statali bloccati fino al 2014

E’ successo a Trapani. Il giudice che ha dato ragione ai due insegnati è Mauro Petrusa, che ha condannato il Ministero dell’Istruzione a risarcire i due precari, uno insegnante di Educazione Fisica e l’altro di laboratorio di Elettronica, per 150 e 170 mila euro rispettivamente.

Il giudice ha applicato le disposizioni comunitarie in materia che impediscono la stipula di contratti sine die, ossia senza una precisa data di scadenza. La normativa europea non lascia spazio a equivoci: senza valide motivazioni, non è possibile abusare del contratto a tempo determinato. Nel caso specifico i due insegnanti hanno avuto per diversi anni un contratto come supplenti ma non sono mai stati messi a ruolo nonostante il posto che occupavano come precari fosse vacante.

► Ue contro la riforma del lavoro: è discriminante verso i precari

Si chiama nomina su posto vacante e in Italia sono circa 10 mila gli insegnanti che lavorano in questa condizione. Se tutti loro decidessero di fare la stessa cosa, al Ministero dell’Istruzione dovrebbero prepararsi a sborsare una somma di circa un miliardo e mezzo di euro.

Stipendi statali bloccati fino al 2014

 Sta per entrare in vigore il decreto ministeriale per l’attuazione della legge sulla spending review che blocca i contratti dei dipendenti pubblici e le rispettive retribuzioni. Situazione ancora più dolorosa per la scuola, dove il blocco riguarda anche gli scatti di anzianità previsti per l’anno in corso.

► Pubblica Amministrazione, nelle scuole il maggior calo

Il decreto attuativo del ministero dell’Economia e delle Finanze non è stato ancora pubblicato in Gazzetta Ufficiale, ma si tratta di attendere ancora pochi giorni perché diventi effettivo. Nel decreto si legge:

Non si dà luogo, senza possibilità di recupero, alle procedure contrattuali e negoziali ricadenti negli anni 2013-2014 del personale dipendente dalle amministrazioni pubbliche. Non si dà luogo, senza possibilità di recupero, al riconoscimento degli incrementi contrattuali eventualmente previsti a decorrere dall’anno 2011.

Oltre a questo nel decreto sono contenute anche le modalità di calcolo dell’indennità di vacanza contrattuale per gli anni 2015-2017:

Non si dà luogo, senza possibilità di recupero, al riconoscimento dell’indennità di vacanza contrattuale per gli anni 2013 e 2014. Con riferimento al triennio contrattuale 2015-2017 l’indennità di vacanza contrattuale, calcolata secondo le modalità e i parametri individuati dai protocolli e dalla normativa vigenti in materia, è corrisposta a decorrere dal 2015.

► Nessuna stabilizzazione di massa per i precari delle P.A.

Spazio anche ai nuovi provvedimenti sugli scatti di anzianità del settore scuola: per il 2013 valgono le disposizioni contenute nel decreto 78 del 2010 che prevedevano per il personale docente, amministrativo, tecnico ed ausiliario della scuola la non validità degli anni 2010, 2011, 2012 al fine della maturazione degli scatti di anzianità e relativi benefici monetari previsti.

Sentenza della Corte di Cassazione su controlli per locali ad uso promiscuo

 La sentenza 4140/13 della Corte di Cassazione, depositata in data 20 febbraio 2013, sancisce che se il luogo dove viene svolta l’attività commerciale o professionale ha porte comunicanti con l’abitazione del contribuente il locale deve essere considerato ad uso promiscuo e, quindi, qualsiasi controllo da parte dell’amministrazione finanziaria deve essere fatto previa autorizzazione del Procuratore della Repubblica.

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Se non c’è autorizzazione atti compiuti e avviso di accertamento sono nulli.

Il caso riguardava la contestazione di alcune violazioni fiscali ed emissione di fatture ritenute false. L’amministrazione ha preposto i controlli che si sono svolti presso la sede del professionista, ma che, come risulta dagli atti catastali, è adiacente e comunicante con l’abitazione.

Per questo il controllato ha impugnato l’avviso di accertamento. La tesi difensiva, accolta nei vari gradi di giudizio fino alla sentenza definitiva di ieri, si basava proprio sul principio che in caso si locale ad uso promiscuo gli accertamenti possono essere fatti solo se ricevuta l’autorizzazione del Procuratore della Repubblica.

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Oltre a sancire l’annullamento dell’atto impositivo, la Cassazione ha inoltre precisato che se i locali ad uso opificio sono distinti da quelli ad uso abitativo ma comunicanti devono essere classificati come promiscui e quindi passibili delle garanzie dell’articolo 52 del Dpr 633/72.