Nel 2013 prezzi degli appartamenti in discesa

Il mercato immobiliare sta attraversando un periodo di grossa crisi. Le numerose indagini portate a termine dagli addetti ai lavoro sottolineano che la maggior parte degli italiani considera quello attuale non di certo il miglior momento per acquistare e vendere casa. Nello specifico soltanto il 45% considera questo momento adatto per comprare casa. Lo dice un’indagine di Gruppo Immobiliare.it. l’Ad Carlo Giordano, a tal proposito, conferma:

“Lo scenario particolarmente critico in cui gli operatori del settore sono costretti a muoversi, tra contrazione dei volumi delle compravendite immobiliari e difficoltà conclamate per l’ottenimento di un mutuo condiziona anche la percezione dei cittadini, che reagiscono con l’attendismo.

Effettivamente, il dato che raccoglie la crescita più elevata è la percentuale di chi pensa che nel prossimo anno ci saranno tempi migliori per acquistare casa: in tre mesi la percentuale passa dal 21% al 35%. Cala solo di un punto percentuale, infine, la percentuale dei pessimisti, che ritengono questo sia un brutto momento per investire nel mattone: passiamo dal 16% di luglio ad un 15%, che conferma un trend in discesa da diverse rilevazioni”.

Ma allora perché nel 2013 la situazione potrebbe cambiare e i prezzi potrebbero essere nuovamente in discesa? Lo spiega ancora Giordano:

“Analizzando più nel dettaglio le ragioni per cui si valuta sia un buon momento per comprare è emerso in maniera chiara come questa opinione sia legata alla consapevolezza che, data la difficoltà del momento, sia possibile trovare occasioni dettate dalla necessità del venditore di realizzare”.

Ministeri, pronti nuovi tagli per 190 milioni

Nei mesi recenti dirigenti pubblici e magistrati, in occasione del famoso “prelievo di solidarietà” si erano visti colpire la propria busta paga in maniera accentuata, per via del decreto 78.

Nel mese di ottobre, però, con la sentenza 223/2012, la Corte costituzionale  ha rispedito al mittente il provvedimento e lo ha sostituito a tutti gli effetti con un decreto del presidente del Consiglio firmato da Mario Monti e dal Ministro dell’Economia Vittorio Grilli il 30 ottobre. Il testo del nuovo dpcm attualmente è nelle mani dei magistrati contabili che lo stanno esaminando.

La ragioneria di Stato lo illustra così:

Si tratta, nella pratica, dell’attuazione della ‘clausola di salvaguardia’ che era stata inserita nel decreto varato dal vecchio Governo per fronteggiare l’ipotesi che si verificassero minori risparmi del previsto con i tagli alle buste paga. Un’ipotesi che, per l’appunto, si è avverata con effetto pieno proprio con la sentenza della Corte costituzionale di un mese fa.

Per spiegare al meglio i nuovi tagli, dunque, è necessario rifarsi alle seguenti parole di alcuni esperti:

“In sostanza, per limitarci all’aspetto del provvedimento che forse più aveva fatto discutere, siccome il Governo non ha mai esteso il «prelievo di solidarietà» anche ai privati, la misura lasciata in vigore solo per i pubblici è risultata palesemente incostituzionale. Da qui il maxi-rimborso, che sarà coperto come detto con nuovi tagli lineari alle spese rimodulabili dei ministeri, mentre per le altre amministrazioni gli oneri finanziari restano a carico dei rispettivi bilanci”.

Diminuisce il potere d’acquisto delle famiglie

Si avvicina il Natale e, si sa, dovrebbe essere il periodo migliore per concedersi qualche sfizio. Mettere mano ai propri risparmi, oppure sfruttare la tredicesima, è un buon modo per farlo.

Sorge un problema: risparmi e tredicesima si riducono di anno in anno. Al pari del potere d’acquisto delle famiglie italiane, ulteriormente sceso di 5,2 punti in percentuale rispetto al 2011.

Ciò si evince dalle tabelle contemplate nel bilancio sociale dell’Inps. In base ai dati dell’Istituto, elaborati dall’Adnkronos, i redditi lordi primari del 2007 sono rimasti stabili rispetto al 2011. Il reddito complessivo, invece, ha fatto registrare un aumento del 3,3%, in virtù delle prestazioni sociali.

Soffermiamoci dunque sui redditi familiari, i quali ammontano nel complesso a 1.529 miliardi. Essi sono divisi in:

redditi primari (1.165 miliardi);

– prestazioni sociali Inps: pensioni, trattamenti temporanei etc. (219 miliardi);

– altre prestazioni sociali emesse da diversi soggetti (26 miliardi)

Fatti i dovuti conti, detratti ciò contributi ed imposte del caso, quanto resta in mano alle famiglie italiane1.053 miliardi, molto meno rispetto agli anni passati.

Osserva, dunque l’Inps:

“Il reddito delle famiglie consumatrici, senza considerare l’effetto dell’inflazione, dal 2008 al 2011 è aumentato di 5 miliardi di euro (+0,4%); il potere d’acquisto si è però ridotto di 38,6 miliardi (-3,7%). Il reddito primario lordo disponibile in tre anni è sceso di 23 miliardi, mentre in termini di potere d’acquisto si registra un crollo di 70,5 miliardi (-6,7%)”.

 

Al Sud la crisi riporta il Pil ai livelli del 2009

Il Sud sente la crisi più di ogni altra area d’Italia. Il Pil in volume è diminuito in ogni regione, ma nel meridione è tornato ai livelli del 2000. I dati sono stati forniti dall’Istat, la quale ha precisato che malgrado il recupero del 2011 (verificatosi ovunque tranne che al Sud) soltanto a Bolzano la situazione è tornata uguale ai livelli precedenti alla crisi.

Nel resto d’Italia il recupero è stato solo parziale. Al Nord ci sono ancora analogie di livello tra il 2005 e il 2011. Al Centro si è sulla stessa lunghezza d’onda del 2004. Al Sud no. Al Sud bisogna risalire al 2000 per trovare un Pil in volume identico.

Il Prodotto Interno Lordo pro-capite nel Nord – Ovest è il doppio rispetto a quello del Meridione. Lo rendono note le statistiche Istat riguardanti i conti economici regionali. In base a questi dati sappiamo che il Pil pro-capite cambia in base alle diverse regioni d’Italia:

Nord-ovest: 31.452 euro;

Nord-est: 30.847 euro;

Centro: 28.240 euro;

Dichiara l’Istat:

“Nel Mezzogiorno è stato invece pari a 17.689 euro, un valore più basso di quello del Nord-ovest del 43,8% e inferiore alla media nazionale del 32%. Al top la Provincia autonoma di Bolzano (oltre 36.600euro), all’ultimo posto la Campania (16.600 euro)”.

La crisi non si ferma per Natale

Tagli e crisi. Due parole che ormai da tempo viaggiano di pari passo. Eccezion fatta per le spese dei cenoni e dei pranzi con i parenti, sarà un Natale “magro”. Gli italiani tirano la cinghia, rinuncianso a regali e viaggi. Non rinunceranno, però, a cibi e bevande. In particolar modo privilegeranno cibi e bevande Made in Italy. Il potere d’acquisto per le famiglie scende, e si taglia quasi tutto:

Lo rivela Coldiretti, in un’analisi basata sull’indagine “Xmas Survey 2012” effettuata Deloitte.

Si evince che alimentari, vini e bevande rappresentino il 36% delle spese per le festività.

Coldiretti afferma che:

“Gli italiani spenderanno 197 euro per famiglia per imbandire le tavole della feste di fine anno 2012 con cibi e bevande, con una crescita del 2,1% rispetto allo scorso anno. Non si rinuncia a preparare pranzi e cenoni o a gratificare parenti e amici con gustosi omaggi ma si qualifica la spesa con una netta preferenza di prodotti del territorio locali e Made in Italy”.

Non è d’accordo Confcommercio, la quale afferma che le famiglie sono preoccupate.

7 italiani su 10 temono il Natale 2012 e mai come ora “percepiscono” la crisi. Confcommercio-Format ha stilato un’analisi in cui si evince quanto segue:

“Emerge l’aumento della quota di chi non farà acquisti per regali (dall’11,8% del 2011 al 13,7%), anche se oltre 8 italiani su 10 (86,3%) i regali continueranno a farli. Al primo posto tra i destinatari ci sono i familiari (50,2%), ma subito dopo, prima di amici e colleghi di lavoro, il 41,4% il regalo lo farà a se stesso”.

 

 

Evasione fiscale, gli italiani fuggono in Svizzera

Tasse troppo alte. Chi può fugge dall’Italia alla volta della Svizzera. Un posto sicuro per liberarsi dal peso delle tasse. I dati in nostro possesso dicono che due anni fa gli italiani che richiedevano la residenza nella vicina Lugano erano circa 700. Oggi sono 6.000. I motivi? La crisi, la gestione del Paese di Berlusconi e Monti e, ovviamente, il conseguente aumento delle tasse.

Il Canton Ticino, dunque, diventa una meta ambita per i più benestanti. Coloro che vogliono salvaguardare il proprio patrimonio e la sua gestione, scelgono la Svizzera per il management di denaro, partecipazioni e fondi. Non è un fenomeno migratorio con valigie di cartone, bensì le valigie sono griffate.

Ci si trasferisce alla ricerca del benessere, della volontà di mantenere uno stile di vita agiato, cosa che l’Italia non permette più.

Il Consolato di Lugano conferma i dati sulle richieste di domicilio in Svizzera:

“6.000 persone, e sempre persone famose, conosciute e benestanti. Da quando, nel 2009, la Confederazione Elvetica ha aderito al trattato di Schengen, entrare a Lugano è diventato più facile. Ci vogliono interessi legati al Paese elvetico e una casa in affitto o acquistata e si può fare richiesta per trasferire la propria residenza. Interessi e case fanno però la differenza. Infatti, in pochi si possono permettere di acquistare una casa a Lugano. Allora chi può ne approfitta, potendo contare su una tassazione generale del 20% e una buona qualità della vita”.

 

La crisi colpisce 4 milioni di lavoratori

Quattro milioni di lavoratori soffrono la crisi. Sono dipendenti a tempo determinato oppure stabilmente occupati in lavori part-time. Per scelta? No, per condizione. Perché “fuori”, sul mercato, non c’è di meglio.

Rispetto a quattro anni fa, come si evince dai dati messi a disposizione dall’Istat, l’occupazione è calata di 456mila unità. Sono in aumento di 718.000 unità (+ 21,4%) i lavoratori “instabili“. Un trend da non prendere in positivo.

In soldoni dunque, aumenta il numero delle persone in età di lavoro (di 500.000) unità, ma diminuisce il numero di coloro che possono “contare” sulla propria occupazione.

Le statistiche fornite dall’Istat sono state vagliate e studiate da Ires Cgil, che ha rilasciato uno studio su crisi e occupazione:

“Chi è occupato lavora meno di quanto vorrebbe ed a condizioni diverse da quelle auspicate. I dipendenti stabili a tempo pieno calano di 544mila unità (-4,2%) e gli autonomi full time dì 305mila (-6,1%). Se si aggiunge il calo dei part time stabili volontari (-215mila) si supera il milione di persone. Aumentano invece i lavori involontari, quelli che si è costretti ad accettare: nel 2012 solo il 17,2% delle nuove assunzioni è a tempo indeterminato. Meno lavoro, peggioramento delle condizioni e diminuzione delle ore lavorate sono la realtà che emerge dall’indagine”.

Crisi economica? Non per la mafia

Quelli delle organizzazioni criminali sparse lungo il territorio italiano sono i giri di affari più grossi in circolazione. C’è una vera e propria economia parallela, che passa in rassegna con il nome di “economia criminale” e che, come dicono i dati messi a disposizione dalla Cgia di Mestre, alza un quantitativo monetario di affari pari a circa 170 miliardi di euro all’anno.

Tradotto: lo Stato perde ogni anno in termini di tasse 75 miliardi di euro, non versati da evasori di stampo mafioso. Un fenomeno che da anni si cerca di combattere in ogni maniera, non sempre con buoni risultati.

Per la Cgia si tratta ovviamente di un’enorme montagna di soldi. Il giro di affari tratta infatti cifre astronomiche, generate da attività illegali e riversate sul mercato. Per l’associazione degli artigiani questo processo inquina e travolge il mercato stesso.

Giuseppe Bortolussi, segretario della Cgia,  spiega:

“La stima del valore economico prodotto dalle attività criminali è il frutto di una nostra elaborazione realizzata su dati della Banca d’Italia. Va ricordato, in base alle definizioni stabilite a livello Ocse, che i dati prodotti dall’Istituto di via Nazionale non includono i reati violenti come l’usura e le estorsioni. Detto ciò, questi 170 miliardi di fatturato prodotti dalle mafie corrispondono al Pil annuo di una regione come il Lazio”.

 

 

Le dieci aziende in cui si lavora meglio

Volete conoscere i dieci posti di lavoro migliori al mondo? Great Place to Work ha stilato una classifica delle 25 migliori multinazionali su scala globale, in base a criteri ben precisi. La lista è stata presentata per il secondo anno consecutivo a San Francisco. Great Place to Work si occupa da più di vent’anni di statistiche inerenti alla qualità dell’ambiente di lavoro. Studia l’organizzazione aziendale, offrendo servizi diagnostici e strumenti di consulenza. Ogni anno fornisce una graduatoria nazionale, europea e mondiale.

Perché sono le aziende in cui si lavora meglio? 

Prima di conoscere quali sono le aziende in cui si lavora meglio al mondo, scopriamo i criteri previsti da Great Place to Work per stilare questo speciale elenco.

In primis è necessario che la società sia presente in minimo cinque classifiche nazionali di Great Place to Work (GPTW) e che possegga almeno il 40% dei dipendenti (che nel complesso devono esser più di 5.000) trasferito fuori dal Paese in cui c’è la sede principale dell’azienda. 251 sono le corporazioni sulle quali GPTW ha effettuato il proprio prestigioso sondaggio.

I DIECI MIGLIORI POSTI DI LAVORO AL MONDO DEL 2012

1) SAS Institute

2) Google

3) NetApp

4) Kimberly‐Clark

5) Microsoft

6) Marriott

7) FedEx Express

8) W. L. Gore & Associates

9) Diageo

10)Autodesk

Il primo posto, per il secondo anno di fila, è appannaggio di un’azienda che si occupa di tecnologie informatiche. A conquistarlo è il SAS Institute. Si tratta nello specifico di una casa che produce software e servizi di business analytics. L’anno scorso SAS era seconda dietro Microsoft. Quest’anno il colosso fondato da Bill Gates è sceso in quinta posizione.

Sale dal quarto al secondo posto Google, mentre NetApp conserva il gradino più basso del podio. Negli altri posti della classifica troviamo alcune Multinazionali lievemente in salita tra le quali Marriott, Net Institute e Diageo, nonché alcune grandi aziende che perdono qualche posizione (Intel e FedEx Express su tutte). McDonald’s scende vertiginosamente dalla posizione numero 8 alla posizione numero 20.

Quali sono gli ingredienti per far si che la propria azienda entri in questa speciale classifica? Di certo occorre nutrire una grande fiducia nel management, amare il proprio lavoro e costruire degli ottimi rapporti con i colleghi. Così si crea un ottimo ambiente di lavoro e sono diverse le corporazioni che riescono in questo con grande maestria.

Alessandro Zollo, amministratore delegato di Great Place to Work Italia fornisce i segreti per diventare un’azienda leader in tal senso:

«Per ottenere l’eccellenza della top 25 non esistono però ricette generali, perché la stessa pratica declinata su due diverse imprese può restituire differenti risultati: Tutto però ruota intorno alla fiducia: tra dipendenti, manager e HR. Da lì derivano le motivazioni e anche i risultati in termini economici. Basti pensare che le cento best companies della classifica di Fortune, dal ’97 al 2010, hanno avuto performance finanziarie tre volte migliori rispetto a quelle del resto del mercato (prendendo a riferimento i principali indici Usa)».

Zollo, inoltre, si è soffermato su metodo risorse umane, due fattori fondamentali per la riuscita di qualsiasi progetto. Great Place to Work vanta diversi analisti in grado di valutare le corporation mediante due strumenti: sondaggio in forma anonima e questionario di gestione.

Il sondaggio in forma anonima riguarda i dipendenti (metodo Trust Index) ed è molto influente sulla valutazione finale. Il Culture Audit o questionario di gestione viene invece compilato dai responsabili del settore risorse umane, così da comprendere le politiche intraprese. Una parte finale del documento concerne invece i commenti liberi. Zollo ne parla così:

«Il ruolo dell’HR è basilare. Perché deve supportare i dipendenti a fare bene il proprio mestiere: definire le pratiche, più che le procedure. Per creare un ambiente positivo è bene avere un ‘champion’ all’interno dei vari dipartimenti, per gestire la formazione continua dei manager, che son coloro che in primo luogo verificano la fiducia sul campo».

 

Detrazione degli scontrini dalla tasse, il voto mercoledì

 L’emendamento presentato da Giuliano Barbolini (Pd), relatore di maggioranza, per dare la possibilità gli italiani di scaricare dalla dichiarazione dei redditi gli scontrini e le ricevute, è passato alla commissione Finanze di Palazzo Madama.

Ora la decisione sul contrasto di interessi passa in aula, dove la decisione dovrebbe arrivare al massimo entro giovedì. Si tratta di un emendamento importante che si inserisce nelle norme per combattere l’evasione fiscale. Dopo un iniziale parere negativo del governo, l’emendamento ha ricevuto l’ok di Palazzo Chigi grazie a delle piccole modifiche adottate, per le quali:

si delega l’esecutivo a emanare disposizioni per l’attuazione di misure finalizzate al contrasto di interessi fra contribuenti, selettivo e con particolare riguardo alle aree maggiormente esposte al mancato rispetto dell’obbligazione tributaria, definendo attraverso i decreti legislativi le più opportune fasi applicative e le eventuali misure di copertura finanziaria.

Ma non tutti sono d’accordo sulle detrazioni Irpef. Tra gli scettici il sottosegretario all’Economia Vieri Ceriani e il presidente della Cgia di Mestre, Giuseppe Bortolussi, secondo i quali il provvedimento, anziché essere uno strumento per combattere l’evasione fiscale, potrebbe rivelarsi esattamente il contrario, come accaduto per le deduzioni edilizie introdotte dal governo Prodi nel 1998, che in realtà sono costate all’erario 2,4 miliardi di euro l’anno.