Le imprese italiane all’estero, tornano in Italia

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 Il presidente di Confindustria Giorgio Squinzi ha reso noto che non va più di moda delocalizzare, togliere le fabbriche in Italia e riaprirle in Asia o in altre zone emergenti. «Si sta pensando di riportare le fabbriche in Italia e molti l’hanno già fatto, senza clamore» ha detto Squinzi all’assemblea di Federmeccanica. «La delocalizzazione è meno diffusa. Non perché sia eticamente scorretta, ci mancherebbe: è una libera scelta imprenditoriale decidere dove, come e cosa produrre. Semplicemente, nella redifinizione delle strategie aziendali è diventata un’opzione meno conveniente. Ora sta al Paese, nel suo insieme, creare le condizioni per attrarre sia gli investimenti italiani sia quelli esteri».

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In realtà la cosa è collettiva e non riguarda soltantoo l’Italia ma anche il resto dell’Europa occidentale e gli Stati Uniti, anche se modifica solo in parte il grande spostamento di fabbriche verso i Paesi emergenti che si è avuto negli ultimi venti anni. Il problema è che in Asia orientale i costi di produzione sono molto aumentati e finanche in Cina il costo del lavoro inizia a creare problemi. Sono poi emerse altre debolezze di fondo, in primis la minore qualità dei prodotti che è sempre meno bilanciata dai costi minori. Il ritorno delle fabbriche in America e in alcuni Paesi europei è dovuto anche all’estrazione del gas da scisto e da argille che ha abbattuto il costo dell’energia nei Paesi che hanno queste risorse, dapprima gli Stati Uniti che dopo un paio di generazioni di dipendenza energetica dall’estero oggi hanno tanta energia da esportarne.

 

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