Proposte di sperimentazione pensioni e ricongiungimento

 La riforma del sistema pensionistico proposta e messa in pratica dal governo tecnico ha scontentato la maggior parte dei lavoratori, che sperano in una ulteriore revisione del sistema previdenziale che possa raggiungere due obiettivi fondamentali: garantire la pensione a tutti coloro che hanno versato i contributi  senza gravare in modo eccessivo sulle casse dello stato.

Una proposta in tal senso arriva da Pd e Pdl, secondo la quale una soluzione potrebbe essere quella di riportare in vita la possibilità, per i lavoratori che abbiano maturato almeno 35 anni di contributi, di andare in pensione a 58 anni. La proposta potrebbe concretizzarsi in una sperimentazione che si concluderebbe nel 2017: per i lavoratori dipendenti 58 anni (57 le donne) fino a tutto il 2015 e poi 59 (58 le donne) fino alla fine del 2017, ricevendo un assegno più leggero.

Secondo l’attuale normativa pensionistica adesso si può andare in pensione non prima di aver raggiunto 62 anni di età e un minimo di 42 anni di contributi (41 per le donne). In effetti i due standard per accedere alla pensione la fanno apparire come un miraggio, tanto che, secondo alcuni recenti sondaggi, i lavoratori non sono preoccupati sul da farsi una volta in pensione, bensì la loro preoccupazione è rivolta a come arrivare alla pensione.

Un altro problema annoso è quello del ricongiungimento pensionistico che, a causa di una riforma attuata durante il governo berlusconi, è diventato talmente esoso (si va da circa 50 mila euro a somme che vanno oltre i cento mila)

 

 

Aumenta l’occupazione nell’agricoltura

 In occasione del convegno su «Lavoro, occupazione, produttività» organizzato da Confagricoltura sono stati presentati i dati occupazionali del comparto riferiti al secondo trimestre del 2012, che mostrano come il settore agricolo, nonostante le difficoltà dell’economia italiana, sia una realtà in espansione in cui l’occupazione è in continua crescita.

Nel secondo trimestre del 2012 i dati Istat riportano un aumento del numero degli addetti all’agricoltura del 6,2%, che dimostra come il settore faccia da traino a tutti gli altri comparti economici che hanno fatto registrare, per lo stesso periodo, un calo tendenziale dell’occupazione dello 0,2%.

Circa un milione di lavoratori sono attualmente occupati nel comparto agricolo e si tratta perlopiù di lavoratori dipendenti, per un totale di cento milioni di giornate lavorative dichiarate e 9 miliardi di stipendi erogati, suddivisi in 935mila operai a tempo determinato, 117mila operai a tempo indeterminato e 35.500 impiegati.

Nel totale degli addetti all’agricoltura spiccano i giovani (il 28% sono persone di età compresa tra i 40 e i 49 anni, il 23% fino a 29 anni e il 6% che supera i 60 anni), che si concentrano, però, in un numero troppo esiguo di aziende: sono infatti solo 200mila le aziende del settore che sono riuscite ad impiegare nuova forza lavoro. Nello specifico un quarto della forza lavoro agricola si concentra nelle 500 aziende più grandi.

 

La Fornero interviene sulla questione agricola

 Tra le tante priorità del Governo c’è anche quella del risanamento del settore agricolo italiano, un settore in cui la crisi e la mancanza di occupazione pesano in modo particolare. A cercare di trovare una soluzione alle tante problematiche dell’agricoltura il Ministro Elsa Fornero, che è  intervenuta in questi giorni al convegno su «Lavoro, occupazione, produttività» di Confagricoltura.

In primo luogo il Ministro fa un passo indietro sull’abbattimento della contribuzione agricola nel Mezzogiorno, una delle proposte dell’ultima manovra, che non si è rivelato essere una soluzione adatta, anzi, potrebbe trasformarsi in una ulteriore fonte di sperequazioni.

Anche la proposta della stessa Confagricoltura – l’abbassamento delle aliquote per tutti – non è una strada percorribile, in quanto, data l’attuale situazione economica, ad aliquote più basse corrisponderebbe una riduzione delle agevolazioni. Secondo il Ministro del Lavoro la soluzione dovrebbe passare attraverso una riforma strutturale più profonda, che vada a colpire, in primo luogo, gli ammortizzatori sociali, i quali, nel settore dell’economia, non sempre sono utilizzati nel modo più corretto.

Ma non si tratta di una estensione di questi ammortizzatori, anche se era una delle prime possibilità prese in considerazione dal Governo tecnico, perché come spiega la Fornero:

avevamo riflettuto sulla possibilità di estendere la riforma degli ammortizzatori sociali al settore agricolo ma abbiamo deciso di no, non perché siamo soddisfatti della situazione attuale ma perché avrebbe allungato i tempi della riforma.

 

IMU, arriva la stangata dei Comuni

 Manca poco ai Comuni per decidere quali maggiorazioni apportare alle aliquote base per la prima casa e per la seconda casa. Nel primo frangente il 4 per mille può salire o scendere del 2 per mille.

Nel caso del secondo appartamento l’aliquota base è del 7,6 per mille e può salire o scendere del 3 per mille.

Il pagamento del saldo è previsto per il 17 dicembre. La stangata dei Comuni sull’IMU è dunque in arrivo.

Questa tassa permetterà al governo Monti di incassare 23,2 miliardi.

SECONDA CASA: Intanto, sono già 4.146 i Comuni che hanno reso note al ministero delle Economia le delibere-Imu. Parliamo dunque della metà del numero totale. I comuni che hanno già aderito hanno infierito molto. Sono 3.230 quelli che hanno già scelto di aumentare l’aliquota base per quanto concerne la seconda casa.

833 sono invece i sindaci che hanno mantenuto invariata l’aliquota. Una sorta di decisione salomonica che giova sicuramente ai cittadini. Ancora meglio hanno fatto 83 comuni su 4,146, che hanno diminuito l’aliquota base.

PRIMA CASA: Meno grave del previsto la manovra per la Prima Casa. Su 4.146 Comuni che hanno comunicato al Ministero dell’Economia la propria decisione, 1.526 centri hanno scelto il rincaro; 2.313 Comuni hanno, invece, confermato l’aliquota. Stoica la decisione di 307 Municipi, che viceversa hanno scelto di ridurre sotto l’aliquota base.

Obama ha un ottimo alleato: Bernanke

Barack Obama può contare su un solido alleato per i prossimi quattro anni del suo mandato presidenziale. Si tratta di Ben Bernanke.

Il suo mandato nella Federal reserve  scade il 31 gennaio del 2014. Ed è salvo. Non sarebbe stato così se avesse vinto Romney. La poltrona di Bernanke molto probabilmente sarebbe saltata vista la poca simpatia che scorre tra lui e il candidato repubblicano. Una antipatia che quest’ultimo ha più volte evidenziato durante la sua campagna elettorale. Molte sono le volte in cui ha fatto chiaramente riferimenti a Bernanke, con l’intenzione di volerlo destituire dal suo incarico prima del tempo una volta entrato nella Stanza Ovale. Così non è stato. La storia ha detto per la seconda volta “Obama” e il governatore è a cavallo.

Il Presidente della Banca Centrale Americana, pertanto, rimane in carica ed è pronto ad aiutare Obama nello sviluppo del suo programma economico. In primo luogo l’esigenza è quella di ridurre il tasso di disoccupazione. La Fed proverà ancora ad allentare la pressione monetaria così da far crescere l’economia e diminuire il numero di coloro che sono al momento senza un lavoro.

E dal 2014? Spetterà ad Obama nominare il futuro Presidente della Banca Centrale, cosa che probabilmente avverrà nel prossimo autunno.

 

L’effetto Obama sul dollaro

 La rielezione di Barack Obama che guiderà per i prossimi quattro anni l’America ha determinato una flessione del valore del dollaro. Le borse hanno provato a reagire positivamente alla notizia ma il recupero degli indici, tanto atteso, alla fine non si è concretizzato.

A crescere sono state soprattutto le quotazioni di materie prime, oro e petrolio che hanno battutto tutti gli altri stock con i loro rialzi.  Ma cosa è successo al dollaro?

A livello globale, la moneta americana ha guadagnato terreno sullo yen. In pratica il quadro sul mercato valutario è comunque di risk on e lo yen ha ricominciato ad essere venuto rispetto alla moneta americana. Tutte le informazioni che stiamo fornendo fanno pensare che il mercato ha provato a festeggiare la rielezione del presidente uscente.

Gli analisti hanno subito parlato di effetto Obama sull’apertura delle borse europee che si presenteranno prossime alla rottura delle resistenze di brebe periodo.

Il Dax è finito oltre 7,425 e il Ftse Mib è andato a quota 15.750.

La moneta unica si è presentata in risalita durante la notte delle elezioni e ha superato tutti i livelli massimi. Oggi si potrebbero avere nuovi rialzi ed un’elevata volatilità sul cambio euro dollaro. Le opportunità d’investimento con queste oscillazioni sono molte.

La recessione tedesca minaccia l’euro

 La Germania conferma da diversi mesi di essere in una condizione di crisi. La situazione finanziaria di questo asso portante dell’economia europea, ha insospettito la BCE che secondo alcuni potrebbe partire proprio dalla considerazione della situazione tedesca, per procedere nel taglio dei tassi d’interesse.

Riguardo le posizioni sul comportamento della BCE e il possibile effetto sul cambio EUR/USD, abbiamo espresso già le nostre considerazioni. Passiamo a parlare in modo più puntuale di quello che sta accadendo alla prima potenza economica dell’Eurozona.

In primo luogo si prendono in esame i dati sulla produzione industriale e sugli ordini che, rispetto a quello che ci si aspettava, sono deludenti. E’ suonato così il primo campanello d’allarme, ma i documenti ufficiali devono ancora essere pubblicati, quindi gli analisti non conoscono la portata della recessione tedesca.

Per capire la delusione degli analisti proviamo a riportare qualche dato. Gli ordini industriali che misurano la crescita del paese in relazione agli ordini d’acquisto delle aziende manifatturiere, ci si aspettava che calasse dello 0,3 per cento mentre sembra sia sceso del 3,3%.

Per quanto riguarda l’indice della produzione industriale che misura la crescita dell’output delle aziende manifatturiere, estrattive e dei beni di consumo tedeschi, ci si aspettava un calo contenuto dello 0,4% mentre ci si ritrovati di fronte ad un -1,8 per cento.

L’effetto Draghi sul cambio EUR/USD

 Nel pomeriggio è prevista una nuova conferenza stampa della BCE presieduta da Draghi e dal suo vice, per la definizione della nuova linea monetaria dell’Eurozona. Politicamente ci sono alcune considerazioni molto interessanti da approfondire.

L’UE deve tenere presente la scelta che farà la Spagna di chiedere aiuto al fondo salva Stati, nonché le scelte pratiche della Grecia, di nuovo di fronte all’ennesimo piano di austerity. In più, negli ultimi giorni, è emersa anche la situazione della Germania che inizia a subire il rallentamento produttivo dell’UE.

Gli analisti sono quasi tutti concordi sul fatto che la BCE, pur riconoscendo il momento di difficoltà, non sia disposta a tagliare di altri 25 punti base il tasso di riferimento. Ma cosa potrebbe succedere al cambio EUR/USD?

Se la BCE decidesse di lasciare i tassi invariati e la decisione fosse accompagnata da una visione del mercato europeo molto positiva da parte di Draghi, l’euro potrebbe aumentare il suo valore e subissare il dollaro, confermando il cosiddetto effetto Obama sulla moneta americana.

Se la BCE lasciasse i tassi invariati ma il discorso di Draghi fosse negativo, potremmo assistere ad un indebolimento dell’euro rispetto al dollaro.

Si andrebbe invece verso un sell-off massimo sul cambio EUR/USD nel caso si comunicazione di un taglio dei tassi.

 

Bilancio Stati: è scontro Merkel – Cameron

 
Angela Merkel ha delle richieste precise per il Parlamento Europeo e riguardano il rafforzamento dei poteri dell’UE:
“Bisogna Immaginare di andare oltre quanto stabilito per le politiche di bilancio per prevedere diritti di intervento a livello europeo sui bilanci nazionali qualora non vengano rispettati gli obiettivi concordati”.
La cancelliera tedesca insiste su alcuni punti importanti, quali ad esempio un miglior coordinamento delle politiche economiche, le quali devono essere migliorate per accrescere il livello di competitività. Come? La Merkel ha un’idea:
“Procedure per concordare in modo differenziato impegni di riforma tra gli stati e la commissione europea. Di certo, però, non ci sarà un’Europa a due velocità, l’Ue è un aggregato solido e resistente”.
Ecco dunque la ricetta per migliorare le istituzioni dell’Eurozona:
 “Devono essere rafforzate per correggere le faglie evidenziatesi nell’unione monetaria”.

I terreni sui quali puntare sono:

– la creazione di nuove regole ad hoc per i mercati finanziari con una vigilanza bancaria unificata e più efficace;

– la creazione di piani di bilancio concordati tra gli stati;

– la costruzione di una politica economica comune perch.

Sostiene la Merkel:

“Oggi manca coordinamento sufficiente e vincolante, non c’è possibilità di orientare le politiche nazionali sulla competitività”;

Immediata la risposta del premier ingelse Cameron che trova “ridicola” la proposta di creare dei piani di bilancio ed è pronto a manifestare il suo dissenso nei confronti dell’Ue.

 

BCE: taglio dei tassi?

 La Banca centrale europea annuncerà oggi se ci sarà un nuovo taglio dei tassi d’interesse. La conferenza stampa sulle politica monetaria da adottare nell’Eurozona, sarà trasmessa in streaming da molti siti a partire dalle ore 14.30.

L’appuntamento del giorno è dunque il Consiglio Direttivo della BCE presieduto da Mario Draghi in qualità di presidente e da Victor Constancio, il suo vice. Se la BCE decidesse per un nuovo taglio dei tassi d’interesse, cosa accadrebbe alla coppia EUR/USD?

La posizione degli analisti è controversa. Ci sono molti esperti del settore che sono convinti che il taglio dei tassi ci sarà con il passaggio da quota 0,75% a quota 0,50%. La scelta della BCE della riduzione degli stessi di 25 punti base, infatti, sarebbe vincolata ad una serie di informazioni sulla condizione finanziaria ed economica dell’UE: la Spagna potrebbe chiedere degli aiuti, l’inflazioneè calata ma c’è anche da valutare la situazione di crisi della Germania.

Tutto plausibile ma la maggioranza degli analisti ritiene che la BCE non taglierà i tassi lasciandoli invariati allo 0,75%. Il tasso di riferimento sarà invariato, fisso allo 0,75%, almeno fino alla fine dell’anno. La BCE infatti, deve capire meglio come si evolverà la condizione della Spagna, se Madrid chiederà aiuto o meno e a quali condizioni, e soprattutto la condizione della Grecia.