USA: la fine dell’era del petrolio. O no?

L’America non ha più bisogno di petrolio, e così abbandona i partner mediorientali. Tutto merito dello Shale, il petrolio delle rocce di argilla che ha reso gli Stati Uniti autosufficienti. In pochi anni c’è stata un’autentica rivoluzione nel settore, e gli Usa si possono permettere di abbandonare l’Arabia Saudita, di lasciar chiudere lo Stretto di Hormuz e disinteressarsi del Medio Oriente.

In più gli Stati Uniti hanno iniziato a esportare il loro petrolio a prezzi super bassi, mettendo in crisi i grandi produttori storici.

Un arma a doppio taglio, visto che i prezzi stracciati si sono tradotti in zero profitti per le aziende produttrici Usa, che investivano più di quel che fatturavano, sicuri del boom economico in essere. Gli investimenti attiravano finanziamenti, che però ora si sono fermati.

Tra prestiti e investimenti diretti si è passata la cifra dei 56 miliardi di dollari, ma il tutto ha portato al crollo del greggio. Risultato: investimenti a meno di 20 miliardi e 27 aziende del settore fallite.

Il futuro

Ora sono in molti a sperare in fusioni e consolidamenti, ma i critici segnalano gli aspetti più fragili della nuova tecnologia: il sovrasfruttamento dei pozzi e il loro precoce esaurimento, che porta a ricerche sempre più serrate per i nuovi pozzi. E quindi a nuovi investimenti.

Questo potrebbe significare che i trionfali tweet di Trump dovranno essere annoverati, tra qualche tempo, tra le gaffes più grandi del presidente.

E chissà che i risparmi per pattugliare e tenere sotto controllo il Medio Oriente, che l’America sperava di ottenere con la Shale, siano solo un miraggio.

Per il momento dunque, il sogno dell’America First di Donald Trump, almeno per il discorso del petrolio, è ancora in bilico.

Forse è per questo che Trump ha prima annunciato il ritiro dalla Siria, per poi smentire se stesso qualche giorno dopo e andare a difendere le istallazioni petrolifere. Tensione ancora alta dunque con l’Iran, anche perché le sanzioni con il paese islamico sono servite solo a far divenire la Cina il maggior importatore di petrolio di Teheran.

Gli Usa manterranno le loro basi in Arabia e Baharain, e pensare al vuoto che lascerebbero gli americani, in caso di un disimpegno nella regione, è ancora prematuro. Per il momento.

Ennesima tensione per la guerra commerciale. Borse europee restano positive

Le Borse europee restano positive nonostante si riaccendano delle tensioni tra la Cina e gli Stati Uniti. Ormai ci siamo abituati alle sfuriate dell’incontrollabile presidente Trump, che alla vigilia di nuovi incontri con la superpotenza asiatica, ha deciso di includere 28 multinazionali cinesi nella lista nera delle indesiderate.

Domani riprendono i colloqui a Washington tra i due paesi, e forse si tratta solo di una forzatura in una guerra che sembra non avere mai fine.

E forse per questo che le Borse europee non si sono fatte influenzare dalla situazione, con Milano su dell’1%, Francoforte in attivo dello 0,78%, Londra più moderata a +0,06% e Parigi a +0,56%.

La situazione

li Stati Uniti, alla vigilia dei colloqui, hanno aggiunto alla lista nera che non può fare affari con aziende statunitensi altre 28 compagnie di Pechino. Stavolta l’accusa è complicità con la repressione verso i musulmani che sono nella regione cinese dello Xinjiang.

Naturalmente Pechino non è d’accordo con la presa di posizione americana, ritenuta diffamatoria e interessata, alle questioni commerciali, più che razziali. I cinesi accusano Washington di calunnia, secondo quanto detto dal portavoce degli Esteri Geng Shuang, che ha parlato apertamente di “intenzioni sinistre” da parte dell’amministrazione Trump.

Le Borse asiatiche ne hanno risentito, con Tokyo che ha perso lo 0,61% sul Nikkei. Shanghai invece, dopo aver navigato a lungo in negativo, è riuscita a chiudere con un +0,39%. Stesso andamento per Shenzhen, che chiude a +0,34%, mentre cade Hong Kong a -0,84%.
Sul fronte valutario non ci sono scossoni, con l’euro a 1,0958 sul dollaro, così come lo spread italiano, che resta sui 143 punti al rendimento decennale dello 0,84%.
Sul fronte petrolifero, il prezzo del Wti futures a novembre sale a 53,18 dollari al barile, in rialzo dell’1,16%, e il Brent sale a 58,88 dollari al barile, in rialzo dell’1,13%.

Per l’oro nuovo forte rialzo, che riporta il metallo giallo sopra a quota 1500 dollari l’oncia. Oggi la quotazione è di 1.506 dollari l’oncia con un aumento dello 0,9%.

Domani sarà una giornata in cui le Borse potrebbero essere volatili, specie quelle americane, a seconda delle dichiarazioni che Cina e Stati Uniti faranno alla fine del primo giorno di colloqui.

Gli Stati Uniti rallentati dal freddo e in ripresa

 La crescita economica degli Stati Uniti è stata probabilmente frenata bruscamente nel primo trimestre per l’inverno insolitamente freddo e dirompente, ma l’attività sembra già essere ripresa.

Il Prodotto interno lordo probabilmente è cresciuto a un tasso annuo dell’1,2 per cento.

 

► Produzione industriale in crescita negli Stati Uniti e in Europa

 

La Federal reserve (Fed) pensa che il rallentamento della crescita sarà spazzato via considerando che i dati si riferiscono a fattori temporanei e si concentra sui dati recenti che suggeriscono una maggiore forza verso la fine del trimestre. La performance di crescita non eccellente del primo trimestre è stata in parte cancellata e questo dimostra che era soprattutto causata dalle avverse condizioni atmosferiche. La dinamica di fondo rimane favorevole e si continua a prevedere una ripresa significativa nel secondo trimestre.

 

I funzionari della Fed dovrebbero annunciare un’ulteriore riduzione della quantità di denaro che stanno pompando nell’economia attraverso l’acquisto di obbligazioni mensili. La prospettiva è che l’economia è pronta ad accelerare e quindi dovrebbe esserci una mossa di questo tipo.

 

Il maltempo potrebbe aver tagliato fuori più di1,4 punti percentuali di crescita del Pil. Ciò ha portato i produttori a ricevere un minor numero di ordini con le merci che si sono accumulate. I fondamentali dell’economia, tuttavia, sono

probabilmente rimasti solidi. Una misura della domanda interna che mostra le esportazioni e le scorte è previsto che sia cresciuta dal ritmo tiepido dell’1,6 per cento del quarto trimestre.

 

La spesa dei consumatori, che rappresenta oltre i due terzi dell’attività economica statunitense, ha probabilmente rallentato dal 3,3 per cento del quarto trimestre a causa delle temperature che hanno ridotto il traffico nei centri commerciali.

La fiducia dei consumatori cresce nel mondo ma non in Italia

 Negli Stati Uniti la fiducia dei consumatori è aumentata notevolmente nel primo trimestre, coerentemente con l’ottimismo sulle prospettive economiche. I dati arrivano da un sondaggio globale che ha mostrato anche l’aumento della fiducia nei Paesi indebitati della zona euro.

A livello globale, la fiducia dei consumatori è tornata sui livelli pre-crisi nei primi tre mesi di quest’anno, il più alto dal primo trimestre del 2007. I dati sono stati mostrati dall’indagine di informazione globale e approfondimenti della società Nielsen.

 

► Istat, cresce la fiducia dei consumatori a Marzo

 

In alcuni Paesi, le migliorate prospettive di lavoro stanno rafforzando la fiducia dei consumatori. Quasi la metà degli intervistati a livello globale prevede che il mercato del lavoro sarà buono o eccellente nel prossimo anno e una percezione positiva circa le prospettive di lavoro locali nei prossimi 12 mesi si è mostrata nel primo trimestre in ogni regione tranne il Sud America.

La fiducia dei consumatori è stata più alta in Asia. L’Indonesia è stato il Paese più ottimista a livello mondiale per il quinto trimestre consecutivo seguito dall’India. I Paesi più pessimisti sono stati la Croazia e l’Italia.

Il Nielsen Global Consumer Confidence Index è salito di 2 punti nel primo trimestre a 96, secondo il sondaggio condotto tra il 17 febbraio e il 7 marzo. Una lettura inferiore a 100, tuttavia, segnala ancora un morale relativamente basso il dei consumatori.

La fiducia dei consumatori negli Stati Uniti è arrivata alla soglia dei 100 punti, in aumento di 6 punti rispetto al trimestre precedente. Negli Stati Uniti il 44 per cento degli intervistati ha affermato che sta mettendo i contanti in conti di risparmio, rispetto al 39 per cento del trimestre precedente. La società che ha condotto il sondaggio ha detto che mentre il numero di americani che si sentono impantanati nella recessione è ancora elevato ed è il 63 per cento, il netto miglioramento rispetto al quarto trimestre è un segnale incoraggiante.

La Fed cerca l’accordo sulle prossime scelte

La Federal reserve (Fed) questa settimana è destinata a continuare la sua politica di minore acquisti di bond, ma sotto la superficie liscia di un voto unanime su questa decisione c’è probabilmente una Fed profondamente divisa sulle decisioni più difficili da prendere a breve.

Il presidente della Fed Janet Yellen ha accennato a un’ampia agenda della banca centrale degli Stati Uniti un paio di settimane fa, quando ha disposto tre grandi questioni che i funzionari devono seguire: il livello di margine di flessibilità nel mercato del lavoro, se l’inflazione è in aumento o non lo è verso l’obiettivo della Fed del 2 per cento, i fattori che potrebbero far deragliare la ripresa economica.

 

► La Fed potrebbe dare indizi sui tempi per il rialzo dei tassi

 

La Yellen ha affermato che colpi di scena inaspettati potrebbero costringere la Fed a divergere dal suo piano di fine degli acquisti di asset entro la fine dell’anno e di alzare i tassi di interesse nel 2015. Il presidente della Fed e i suoi colleghi stanno discutendo su quali condizioni economiche avrebbero posto le basi per un rialzo dei tassi, se ridurre il suo bbiilancio prima o dopo l’agire per spingere verso l’alto il costo del debito e se dovrebbe rispondere alla possibilità di bolle speculative in alcuni mercati. I funzionari della Fed non sono d’accordo sulle risposte a queste domande e di conseguenza alche sul miglior piano a lungo termine per gli aumenti dei tassi. Ma a differenza dei loro omologhi presso la Banca centrale europea, che devono affrontare una minaccia di deflazione, le banche centrali degli Stati Uniti hanno poche pressioni per ruotare rapidamente la politica monetaria.

La Fed potrebbe dare indizi sui tempi per il rialzo dei tassi

 La Federal reserve (Fed) ha affermato che darà indicazioni più chiare sul futuro dei tassi di interesse questa settimana, con i mercati che sono incerti su come e quando questa decisione di verificherà.

I mercati finanziari globali sono ancora in allerta per gli sviluppi in Ucraina, con gli Stati Uniti e i partner del G7 si preparano a sanzioni più severe contro la Russia.

Gli investitori avranno diverse cose da considerare, dalle scelte della Fed a quelle della Banca del Giappone, dai dati della crescita negli Stati Uniti a quelli sull’occupazione e sull’inflazione della zona euro.

Nella prossima riunione della Fed è probabile che si decida un ulteriore riduzione degli acquisti di obbligazioni mensili da 10 miliardi dollari, ma i mercati si aspettano indizi su quando i tassi di interesse potrebbero iniziare ad aumentare.

 

Fed, poche novità dal comunicato della Yellen

 

Il presidente della Fed Janet Yellen ha detto a metà marzo che questo periodo potrebbe essere di circa sei mesi, indicando i rialzi dei tassi già dalla prossima primavera. Più di recente, ha affermato che l’impegno della banca centrale degli Stati Uniti è di mantenere i tassi di interesse bassi. Alcuni funzionari della Fed hanno chiesto questo mese una maggiore chiarezza su quali condizioni economiche potrebbero indurre a un aumento del tasso.

Entro Mercoledì gli investitori sapranno quanto velocemente gli Stati Uniti sono cresciuti nei primi tre mesi del 2014. La crescita del Pil degli Stati Uniti è prevista in crescita annua dell’1,3 per cento. Il freddo eccezionale dell’inverno negli Stati Uniti ha fatto abbassare i dati sulle vendite al dettaglio, sulla produzione industriale e sul mercato immobiliare nel primo trimestre, ma gli economisti vedono una ripresa che porterà a una consistente crescita fino al 4 per cento nei mesi che vanno da aprile a giugno.

Produzione industriale in crescita negli Stati Uniti e in Europa

 Negli Stati Uniti, le previsioni sugli ordini per i beni come computer e macchinari vedono una crescita a marzo del livello più alto in quattro mesi. Nella zona euro, le previsioni sono di una crescita costante della produzione industriale. In Cina, la seconda più grande economia del mondo, le previsioni sono invece di una minore crescita, anche se i dati non dovrebbero essere così negativi come a marzo.

Gli ordini negli Stati Uniti per i beni durevoli, quelli fatti per durare almeno tre anni, sono saliti del 2 per cento il mese scorso a seguito di un aumento del 2,2 per cento nel mese di febbraio. Gli ordini per i beni strumentali, che sono considerati un proxy sulle prospettive per gli investimenti delle imprese in elementi come computer e macchinari, sono aumentate dell’1 per cento facendo segnare l’aumento più alto dal mese di novembre.

In Cina, l’indicatore sulla produzione industriale si prevede in crescita ad aprile a 48,3 da 48 del mese precedente. La stima degli economisti è più bassa di 50 che significa contrazione.

 

Negli Stati Uniti in crescita prezzi alla produzione e fiducia dei consumatori

 

Nell’Eurozona, la produzione di beni e l’attività dei servizi è rimasta sostanzialmente invariata nel mese di aprile. Un sondaggio dei responsabili degli acquisti da Markit Economics mostra il dato preliminare ad aprile con l’indice composito che è cambiato poco a 53 rispetto a 53,1 del mese precedente. La misura dell’attività dei servizi si prevede in crescita a 52,5 da 52,2 di marzo. L’impressione generale è che il settore manifatturiero della zona euro è attualmente in un percorso di modesto recupero. La produzione industriale è crescita in modo non eccessivo ma comunque continuo in tutta la zona euro nel primo trimestre e ha dato un contributo per la crescita. La fiducia delle imprese tedesche, misurata dall’istituto di ricerca Ifo, si prevede in abbassamento nel mese di aprile con le aziende che sentono il rallentamento dei mercati emergenti e il rischio di escalation di sanzioni contro la Russia per l’annessione della Crimea.

Negli Stati Uniti meno richieste di sussidi di disoccupazione

 Negli Stati Uniti diminuiscono le richieste di sussidi di disoccupazioni più del previsto, con il mercato del lavoro che continua a rafforzarsi. Il numero di americani che hanno richiesto i sussidi di disoccupazione sono stati la scorsa settimana vicino al livello più basso in quasi sette anni, e la fiducia dei consumatori è migliorata mostrando che la più grande economia del mondo sta accelerando.

Negli Stati Uniti ci si prepara a vedere l’aumento delle vendite con l’economia che si rafforza. A questo si aggiunge un altro rapporto che mostra come la produzione industriale stia migliorando, aggiungendo un altro elemento che dimostra che l’espansione economica degli Stati Uniti si sta ampliando dopo un insolitamente duro inverno.
Il numero totale di persone che ricevono prestazioni per disoccupazione è sceso di 11.000 nella settimana conclusa il 5 aprile ed è arrivato al numero più basso dal dicembre 2007. C’è stato un rallentamento della cassa integrazione, ma anche del numero totale di persone che ottengono benefici statali.

 

Negli Stati Uniti vendite al dettaglio in aumento sostengono l’economia

 

Le maggiori opportunità di lavoro spingono i salari al rialzo e questo fornirà agli americani i mezzi per estendere la recente ripresa della spesa e sostenere l’economia. Negli Stati Uniti sia il mercato del lavoro sia la crescita si sono stabilizzati e la fiducia dei consumatori si è rafforzata sia sulle finanze individuali sia sullo stato dell’economia nazionale.

Il miglioramento della fiducia segue una ripresa della spesa con gli americani che trovano nella crescita di posti di lavoro e nel minor numero di licenziamenti più sicurezza sulla loro situazione finanziaria. Le vendite al dettaglio sono aumentate più del previsto dell’1,1 per cento nel mese di marzo a seguito di un progresso dello 0,7 per cento nel mese precedente.

I funzionari della Fed a favore di una politica monetaria accomodante

 La Federal Reserve non dovrebbe alzare i tassi di interesse fino a quando l’economia sarà vicina alla sua piena forza, come hanno affermato diversi membri della Federal reserve (Fed). L’impegno della Fed è quindi quello di mantenere i tassi bassi anche se l’economia sta recuperando.

Il membro della Fed Kocherlakota ha affermato che se le famiglie e le imprese ritengono che la Fed sia vicina ad aumentare i tassi possono decidere di risparmiare piuttosto che spendere inibendo la ripresa. Con l’inflazione bassa, ha spiegato, la Fed può permettersi di rimanere con una politica accomodante anche quando il recupero si rafforzerà, e ci sarà probabilmente bisogno di aumentare i tassi solo gradualmente. L’inflazione si è leggermente ripresa il mese scorso, ma rimane ben al di sotto dell’obiettivo del 2 per cento della Fed.

 

Nella Fed continua il dibattito sui tempi dell’aumento dei tassi

 

Nel frattempo, la disoccupazione è al 6,7 per cento e rimane ben al di sopra del livello dal 5 per cento al 6 per cento che la maggior parte degli economisti considera normale.

Il presidente della Fed di Boston Eric Rosengren ha lanciato l’idea di mantenere i tassi di interesse vicino allo zero fino a quando l’economia statunitense non raggiungerà gli obiettivi di occupazione e inflazione della banca centrale.
Rosengren ha affermato che dovrebbe essere coerente mantenere i tassi di interesse al loro livello molto basso fino a quando non si raggiungerà la piena occupazione e l’obiettivo di inflazione del 2 per cento. Nel mese di dicembre, Rosengren ha mostrato il suo dissenso sulla decisione della maggioranza della Fed di cominciare a ridurre l’acquisto di bond.

Molti investitori sono sembrati confusi e impazienti in riferimento alle comunicazioni della Fed. L’anno scorso, ad esempio, il presidente della Fed Ben Bernanke parlò della fine degli acquisti di obbligazioni e questo ha portato a un forte aumento dei costi di indebitamento a livello di mercato.

Negli Stati Uniti vendite le dettaglio in aumento sostengono la crescita dell’economia

 Le vendite al dettaglio negli Stati Uniti hanno registrato il loro più grande aumento in 2 anni a marzo dimostrando che l’economia sta crescendo dopo il blocco indotto dal clima. Il rapporto sulle vendite al dettaglio è stato l’ultimo a indicare che la crescita dell’economia negli Stati Uniti è destinata ad accelerare nel secondo trimestre dopo un inverno insolitamente freddo e nevoso che l’ha rallentata all’inizio di quest’anno.

Il Dipartimento del Commercio ha detto che le vendite al dettaglio sono aumentate del 1,1 per cento il mese scorso, il più grande guadagno da settembre 2012, con entrate in aumento in quasi tutte le categorie. Gli economisti avevano previsto che le vendite al dettaglio, che rappresentano un terzo della spesa dei consumatori, sarebbero cresciute dello 0,8 per cento il mese scorso.

 

Negli Stati Uniti crescono le assunzioni a marzo

 

I dati, combinati con un miglioramento degli utili trimestrali di Citigroup, hanno spinto al rialzo Wall Street dopo un brusco sell-off nelle sessioni recenti. Il dollaro è salito contro un paniere di valute.

I dati sulle vendite al dettaglio, aggiunti a quelli recenti sull’occupazione, suggeriscono che l’economia degli Stati Uniti ha trovato slancio alla fine del primo trimestre. Le assunzioni sono in crescita e i sussidi di disoccupazione all’inizio di aprile sono scesi di nuovo al loro livello pre recessione.

Questi segnali rialzisti hanno rafforzato le speranze che la crescita quest’anno sarà la più veloce dal periodo 2007-09 e quindi da quando la recessione finita.

I dati delle vendite al dettaglio hanno portato alcuni economisti a migliorare le stime di crescita del Prodotto interno lordo (Pil) del primo trimestre. Molti economisti si aspettano una crescita di circa il 3 per cento nel secondo trimestre e per il resto dell’anno.

Le cosiddette vendite al dettaglio core sono aumentate dello 0,8 per cento a marzo. Le vendite al dettaglio del mese scorso sono state sostenute da un aumento del 3,1 per cento delle entrate nel settore delle automobili e dei negozi di ricambi, il più grande progresso dal settembre 2012. Tuttavia, anche escludendo le automobili, le vendite sono cresciute dello 0,7 per cento, il più grande aumento in un anno.