Tre facili strumenti per costruire la propria pensione integrativa

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 Pensioni ridotte all’osso già da adesso e la previsione che, in futuro, continueranno ad abbassarsi, grazie alla Riforma Fornero che prevede il solo standard contributivo per il calcolo del rateo mensile. Età pensionabile sempre più alta e impossibilità di accedere alla pensione anticipata, se non con importanti tagli dell’assegno pensionistico.

Dagli ultimi calcoli, infatti, si prevede che le pensioni del futuro potranno essere anche la metà di quanto il lavoratore ha percepito mensilmente di stipendio negli ultimi anni della sua carriera.

► Cosa succede se si smette di versare i contributi del fondo pensione integrativo?

Diviene quindi necessario per tutti i lavoratori provvedere alla creazione di un piccolo gruzzolo per il futuro, iniziando già da adesso a mettere da parte e far fruttare almeno un po’ di quanto si percepisce ogni mese. Si deve ricorrere alla pensione integrativa, il cosiddetto secondo pilastro, che per gli italiani rimane ancora un qualcosa di poco conosciuto, in quanto più predisposti verso gli investimenti a breve termine e non, come serve in vista della pensione, su quelli a medio e lungo termine.

Secondo un recente sondaggio del gruppo di consulenza Accenture, infatti, anche se il 90% degli italiani pensa che sia necessario ricorrere ad investimenti a lungo termine in vista della vecchiaia, ben il 61% degli intervistati ha dichiarato di non avere sufficienti informazioni e competenze per potervi accedere.

Qui proponiamo tre delle soluzioni più semplici per avere la sicurezza di una rendita aggiuntiva alle pensioni pubbliche erogate dall’Inps.

► La proposta giapponese alla crisi della previdenza

Fondi Pensione o PIP (piani individuali pensionistici)

Uno dei modi più semplici per avere una pensione di scorta, è quella di aderire ad un piano individuale pensionistico. È uno strumento semplice che dà la possibilità a tutti i lavoratori – sia dipendenti che autonomi – di contribuire alla loro pensione con un versamento periodico (nel caso di lavoratori dipendenti questo versamento può essere costituito anche dal TFR, il trattamento di fine rapporto).

I soldi che il lavoratore accumula nel proprio piano pensione sono gestiti da professionisti del risparmio e dell’investimento, che li faranno fruttare, impiegandoli sui mercati finanziari secondo il profilo di rischio scelto dal risparmiatore.

Il capitale accumulato con i versamenti e i rendimenti che si maturano dagli investimenti sarà accessibile al momento del pensionamento del lavoratore, che però, in caso di necessità, può anche scegliere di riscattarlo prima, per una quota pari ad almeno il 75% fino ad arrivare al 100%.

Dopo 8 anni di versamenti periodici, il lavoratore può anche decidere di ritirare fino al 30% del capitale accumulato.

► La Riforma Fornero fa risparmiare, ma chi paga?

Buoni Fruttiferi Postali (BFP)

I Buoni Fruttiferi Postali sono distribuiti da Poste Italiane e gestiti dalla Cassa Depositi e Prestiti. Il lavoratore può acquistare i  buoni con versamenti, per ognuno di loro, di 250 euro, ed è proprio questo il primo pregio di questo strumento finanziario, ossia la sua economicità, anche perché sul capitale investito nell’acquisto di Buoni Fruttiferi Postali non sono previste commissioni di alcun tipo.

Da evidenziare, però, che i rendimenti da Buoni Fruttiferi Postali sono sottoposti ad una tassazione pari al 12,5%.

I migliori BFP per chi vuole un investimento a lungo termine sono i Bfp indicizzati all’inflazione che garantiscono un rendimento annuo che cresce parallelamente al costo della vita.

Titoli  Inflation Linked

Anche in questo caso, come per i Buoni Fruttiferi Postali, investendo parte del proprio reddito in BTPI (Buoni del Tesoro poliennali inflation linked) si avrà la sicurezza che il proprio rendimento sia al riparo dall’effetto dall’inflazione. In questo caso il punto di riferimento è il tasso di inflazione europeo Europa.

Al rendimento di mercato dei Buoni del Tesoro poliennali inflation linked, si deve anche aggiungere un rendimento fisso, calcolato con una percentuale tra il 2 e il 2,6% all’anno.

Diversamente dai BFP, poi, questi strumenti finanziari hanno un costo maggiore, in quanto per la loro sottoscrizione è necessario il versamento di un capitale minimo di 1000 euro.

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