Il frazionamento dell’abbonamento RAI

 I pensionati che non superano i 18 mila euro annui di reddito possono chiedere il frazionamento del pagamento dell’abbonamento RAI in undici rate. L’istanza per la richiesta di frazionamento o rateizzazione che dir si voglia deve essere inoltrata entro il 15 novembre.

C’è ancora qualche giorno di tempo per chiedere al fisco di pagare in 11 rate l’abbonamento alla Radiotelevisione Italiana. La Rai da sempre invita tutti i cittadini a pagare l’abbonamento ma si sa che agli italiani, il canone, non va proprio giù e insieme all’Imu è una delle imposte peggio sopportate dai nostri connazionali.

Il pagamento dell’abbonamento Rai del prossimo anno, però, si potrà rateizzare. Invece che pagare tutto l’importo dovuto alla Rai entro la fine di dicembre, chi ne fa richiesta entro il 15 novembre 2012, può ottenere una dilazione. L’importante è inviare la domanda al proprio ente previdenziale con l’autorizzazione alla detrazione di una quota già calcolata dalla rata della pensione.

Possono inoltrare la richiesta soltanto i pensionati che non superano i 18 mila euro annui di reddito. Siccome la richiesta è annuale, anche chi l’aveva già inviata l’anno scorso per ottenere il frazionamento dell’abbonamento RAI nel 2012, deve rifare la domanda per il 2013 al proprio ente pensionistico.

Chi è titolare di due pensioni ma non supera i 18 mila euro, può scegliere l’ente pensionistico cui inviare la richiesta.

Più chiarezza dall’Erario

 L’Agenzia delle Entrate, in un recente comunicato, ha spiegato ai contribuenti come intende andare incontro a chi vuole avere sempre un rapporto regolare e chiaro con l’Erario. In particolare ha raccontato l’iniziativa che ha portato alla chiarificazione di alcuni atti.

L’Agenzia delle Entrate, in questo periodo, è al centro di numerosi articoli giornalistici che riportano l’audizione del presidente Befera in Parlamento con la presentazione del Redditest, le nuove iniziative per i soggetti Iva che finora hanno compilato le schede carburante e per le società che per motivi legati all’operatività non possono più compensare l’imposta sul valore aggiunto.

In ultimo, l’Agenzia delle Entrate ha spiegato l’iniziativa che ha condotto l’Erario a a rendere più chiaro il linguaggio e più semplici le istruzioni nelle lettere del Fisco e nei modelli che i contribuenti sono chiamati ad utilizzare con maggiore frequenza.

Sono stati quindi riscritti ben 65 documenti, tra i quali figurano anche la domanda di rimborso Irpef, la domanda per l’ottenimento di una copia della dichiarazione dei redditi e la richiesta di annullamento degli atti non fondati.

Un linguaggio più accessibile è stato previsto anche per tutti i documenti che parlano di mediazione tributaria, avvisi di accertamento, lettere per la comunicazione Iban e quant’altro. L’elenco degli atti semplificati è disponibile a questo indirizzo, in formato .pdf.

Quando non servono le schede carburante

 La circolare 42/E del 9 novembre 2012 dell’Agenzia delle Entrate, interviene sulla documentazione delle operazioni d’acquisto di carburante dei soggetti Iva e spiega che se tutte le spese sono effettuate con carta di credito o carta prepagata, non servono più le schede carburante.

Le operazioni di acquisto dei carburanti per autotrazione fatte nelle pompe di benzina da parte dei soggetti Iva durante l’attività d’impresa o per viaggi di natura professionale è disciplinata da una normativa che risale al 1972 ed è contenuta nel DPR del 26 ottobre 1972 n. 633.

In particolare si parla di certificazione delle operazioni. Qualche anno dopo, una legge del 1977 ha disposto che:

“con decreti del Ministro delle Finanze saranno stabilite norme dirette a disciplinare la documentazione relativa agli acquisti di carburanti per autotrazione, effettuati presso gli impianti stradali di distribuzione da parte di soggetti all’I.V.A. Tale documentazione sostitutiva della fattura di cui all’art. 22 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, potrà essere stabilita nella forma di scheda, registro, bollettario od altro e dovrà contenere tutti gli elementi atti ad identificare l’operazione. Con gli stessi decreti saranno stabilite le modalità per la compilazione, la tenuta e la conservazione della suddetta documentazione.”

La nuova normativa, invece,

esonera dall’obbligo della scheda carburante solo coloro che effettuano gli acquisti di carburante esclusivamente mediante carte di credito, carte di debito o carte prepagate. Ne consegue che i soggetti che effettuano i pagamenti anche mediante mezzi diversi (es. contanti) sono tenuti all’adozione della scheda carburante per tutti gli acquisti di carburante effettuati nel periodo d’imposta.”

Società in perdita: a rischio l’Iva

 Le società che sono considerate non operative, secondo il fisco non possono usare più il credito Iva e quindi non possono chiederne il rimborso. Sulla normativa c’è un po’ di confusione ma tutto nasce dalla poca chiarezza o meglio dalla sovrapposizione di più definizioni.

Le società in perdita sono simili alle società di comodo, entrambe, ai fini fiscali, sono da considerare non operative. Lo stato di non operatività può essere assegnato in alcuni casi specifici.

Per esempio non è più operativa e quindi non può chiedere il rimborso Iva, l’azienda che per tre anni consecutivi risulta in perdita, oppure che per due anni risulta in perdita e nel terzo dichiara un reddito inferiore a quello minimo. Nel periodo d’imposta che segue il triennio, quell’azienda sarà considerata non operativa.

L’Agenzia delle Entrate, però, nella circolare 23/E/2012 ha sostenuto la distinzione in due categorie delle società di comodo, da una parte ci sono quelle non operative, dall’altra quelle che dichiarano delle perdite. In pratica un’azienda che sia testata come non operativa, oppure un’azienda che dichiari perdite per un triennio, oppure un’azienda che cumuli entrambe le eventualità, non può considerarsi operativa e quindi non deve avere sconti.

La società dovrà poi dimostrare che la non operatività è dovuta ad una “crisi” aziendale piuttosto che al fatto che nasconde un business, come le società di comodo.

Pronto il “redditest”

 L’Agenzia delle Entrate, in collaborazione con le strutture governative e di vigilanza, ha deciso di fare un giro di vite attorno all’evasione fiscale, per questo ha predisposto degli strumenti che saranno operativi tra pochi giorni e serviranno a valutare la conformità tra reddito e spese.

Chi dichiara un certo reddito, non può sostenere alcune spese, o meglio il tenore di vita di un cittadino deve essere confermato dal suo profilo di contribuente. L’Agenzia delle Entrate, per questo, ha revisionato il redditometro, al fine di evitare le nuove “Cortina d’Ampezzo” ed ha proposto il Redditest.

Questo strumento entra nella sua fase operativa a partire dal 20 novembre. Stando alla definizione data da Befera durante l’Audizione in Parlamento, si tratta di uno strumento volto ad “aumentare la compliance e agire con la prevenzione contro l’evasione e l’elusione fiscale”.

Nella pratica è un software, accessibile tramite internet, che consente anche ai contribuenti di fare l’autodiagnosi dei prorio redditi. Il risultato della disamina è gestito in autonomia nel rispetto della riservatezza del contribuente, il quale, prima ancora di presentarsi alla porta dell’Erario può sapere se i dati inseriti sono più o meno coerenti.

Nel caso in cui si accenda la spia “rossa”, sarà opportuno ricalibrare la dichiarazione dei redditi. Il software compara due dati: il reddito inserito nel redditometro e il reddito desunto dalla dichiarazione delle spese.

 

Gli errori da evitare nell’F24

 Il modello F24 è uno strumento di pagamento delle imposte famigliare ai contribuenti che hanno la partita Iva ma deve essere conosciuto da ogni cittadino che voglia avere in regola il rapporto con l’Erario.

L’Agenzia delle Entrate propone un’interessante scheda riepilogativa degli elementi principali dell’F24 che abbiamo provato a semplificare, approfondendo anche il momento della compilazione del documento.

Adesso proviamo ad indicare gli errori più frequenti che il contribuente deve sforzarsi di evitare. Un’analisi degli F24 trasmessi all’Agenzia delle Entrate, ha dimostrato che gli errori più comuni sono quelli relativi alla specificazione del codice tributo, all’indicazione del periodo di riferimento, alla trascrizione del codice fiscale.

Gli altri errori, anche se commessi nelle sezioni Erario e Regioni possono essere rettificati con unan specifica richiesta agli Uffici dell’Agenzia delle Entrate che però illustra due modalità di regolarizzazione delle violazioni: quella per omessa presentazione del modello F24 con saldo zero e quella per omesso o parziale pagamento dei tributi.

Nel primo caso occorre presentare il modello F24, versare una sazione ridotta pari a 6 euro se il ritardo non è superiore a 5 giorni lavorativi ed è pari a 19 euro se il modello è presentato entro un anno.

Nel caso di omesso o parziale pagamento dei contributi, è ncessario calcolare la sanzione che è pari al 30% ma è ridotta al 3% se si paga entro i 30 giorni dalla scadenza ed è pari al 3,75% se il pagamento è presentato entro l’anno in cui è commessa la violazione.

F24: la compilazione nei casi più frequenti

 Il modello F24 è diviso in Sezioni, alcune delle quali sono sempre presenti e devono essere compilate con i dati anagrafici del contribuente. Poi, per ogni tipo di versamento, esiste una sezione specifica. Andiamo con ordine.

Per i versamenti Irpef, Ires, Iva e ritenute varie, si usa la sezione Erario, mentre per le imposte regionali come l’Irap e gli addizionali regionali, si usa le sezione Regioni. La sezione Imu e altri tributi locali è riservata invece al pagamento delle imposte comunali.

I campi principali da compilare sono quelli relativi al “contribuente“, dove devono essere indicati i dati anagrifici, quelli del domicilio fiscale e il codice fiscale. Se a compilare il modello F24 è un erede del contribuente, il genitore, il tutore o il curatore fallimentare, deve essere compilata anche la sezione relativa al “coobbligato“.

Il tipo di imposta da pagare deve essere indicato con i “codici tributo” e deve essere riportato anche l’anno o il periodo di riferimento per i pagamenti. Le imposte regionali hanno anche un codice specifico che individua i destinatari. Per l’Imu deve essere indicato il codice comunale. Per le regioni e le province a statuto speciale devono essere inseriti i “codici enti“.

Gli importi da pagare devono essere indicati sempre con le prime due cifre decimali e se ce ne sono di più si deve operare un arrotondamento della seconda cifra con il metodo indicato dall’Agenzia delle Entrate.

Il modello F24: la scheda informativa

 Il modello F24 è uno strumento di pagamento molto ben conosciuto dai titolari di partita Iva che lo usano per le pratiche di versamento dei tributi e dei contributi e per l’autoliquidazione, ma è spesso estraneo a chi deve usare questo modello soltanto per versamenti una tantum.

Il modello F24, spiega l’Agenzia delle Entrate, è uno strumento per tutti contribuenti, siano essi titolari di partita Iva o meno, visto che serve per il pagamento di tributi, dei contributi e dei premi.

Esiste un modello unificato per i pagamenti, all’interno del quale possono essere inserite tutte le somme dovute all’Erario e al sistema previdenziale, con le compensazioni di eventuali crediti. L’F24, ad aprile, è stato nuovamente modificato, al fine di essere pronto per il pagamento dell’Imu.

Oltre all’Imposta municipale in questione, con l’F24 si possono pagare, Irpef, Ires, ritenute sui redditi da lavoro e sui redditi da capitale, Iva, Imposte sostitutive delle imposte sui redditi dell’Irap e dell’Iva, l’imposta sostitutiva sulle vendite immobiliari, le altre imposte sostitutive, l’Irap, gli addizionali Irpef, le accise, le imposte di consumo e di fabbricazione, i contributi e premi  Inps, Inail, Enpals e Inpgi, i diritti camerali, gli interessi, l’Imu, l’Ici, i tributi catastali, la Tarsu, i canoni di locazione Inpdap, le sanzioni, alcuni proventi derivanti dall’uso dei beni del Demanio. Con il modello F24 si pagano anche le somme dovute in base ad autoliquidazione da dichiarazioni, ravvedimento, controllo automatizzato e documentale della dichiarazione, avviso di accertamento, avviso di sanzioni, istituti conciliativi.

Il ravvedimento operoso

 Il ravvedimento operoso è uno strumento che il fisco mette a disposizione dei contribuenti per permettere loro di correggere gli errori effettuati in fase di dichiarazione. Ecco come funziona e chi può realmente utilizzarlo.

Il ravvedimento operoso è disciplinato dall’articolo 13 del Dlgs n. 472 del 1997 e consente di regolarizzare i versamenti delle imposte in caso di omissione dei dati, o di insufficienza della dichiarazione, oppure nel caso in cui si sia ravvisata un’altra irregolarità.

Con il ravvedimento operoso si ottiene uno sconto sulle sanzioni.

Tutti i contribuenti possono usare il ravvedimento operoso ma è necessario che la violazione non sia stata constatata o notificata a chi l’ha commessa, occorre che non siano iniziati accessi, ispezioni e verifiche, che non siano iniziate altre attività di accertamento.

Il ravvedimento operoso comporta il pagamento dell’imposta dovuta ed omessa, degli interessi calcolati sul tasso legale annuo dal giorno in cui il versamento doveva essere fatto fino alla data del versamento effettivo dell’imposta. A questi due importi occorre aggiungere la sanzione in misura ridotta.

Per pagare occorre usare i soliti modelli di versamento: il modello F24, valido per le imposte sui redditi, per le relative imposte sostitutive, per l’Iva, l’Irap e l’imposta sugli intrattenimenti.

Per l’imposta di registro e per gli altri tributi indiretti deve essere usato il modello F23.

Normativa sul trasferimento nei paradisi fiscali

Qualche volta, fare ricorso contro una notifica, può essere controproducente e confermare che il motivo della notifica sussiste. Lo spiega bene la normativa sui trasferimenti nei paradisi fiscali, seguita ad una sentenza della Corte di Cassazione.