CartaSì Business

 CartaSì offre una vasta gamma di prodotti creditizi che puntano ad assecondare gusti e richieste di un gran numero di clienti. Abbiamo già parlato delle carte co-branded, nella cui categoria rientrano ben due prodotti.

CartaSì Quattroruote è pensata per chi fa molti viaggi e vuole sempre fare trasferte sicure, senza il pensiero dell’assistenza in caso di sinistri, di motore fermo e quant’altro. La CartaSì Campus, invece, si rivolge agli studenti e ai loro genitori per agevolare con spese sicure il loro percorso verso il conseguimento della laurea.

Il prodotto che vogliamo presentare oggi, invece, è la CartaSì Business Plus che è rivolta al vasto pubblico dei liberi professionisti che hanno intenzione di incrementare il loro business. Liberi professionisti dal fatturato ingente ma anche artigiani che che desiderano pagare in differita le spese sostenute per viaggi, rappresentanza e approvvigionamenti.

Il punto forte di questo prodotto è la rendicontazione che è chiara e finalizzata a semplificare la vita fiscale dei clienti. In più ci sono dei servizi e dei vantaggi che possono essere usati per l’incremento dell’attività “commerciale”.

La funzionalità di CartaSì Business si evince anche dalla sua disponibilità sui circuiti internazionali Visa e Mastercard nelle sue versioni oro, Base e Confindustria, anche se quest’ultimo prodotto è soltanto per le aziende associate.

 

Prezzi del caffé sul piano inclinato

 I prezzi del caffé continuano a scendere perché si deve prendere atto dell’aumento della produzione. Ad una maggiore offerto di un bene corrisponde una diminuzione del prezzo dello stesso bene, è una delle prime regole che s’impara in economia.

Le quotazioni del caffé, dunque, sono scivolate sotto la soglia dichiarata di “sicurezza” ma questa inclinazione del valore di un bene così diffuso e consumato, non sorprende i mercati che da tempo osservano la produzione di caffé a livello mondiale.

Per esempio, sul mercato londinese, la qualità robusta di caffé, per la prima volta dopo nove mesi di scambi, si è dovuta arrendere ad una quotazione ai minimi storici che vuol dire 1903 dollari per tonnellata. Un destino analogo per la miscela arabica a New York dove le quotazioni sono scese ai minimi da oltre 4 mesi. Per una libbra di caffé, nella Grande Mela si pagano soltanto 150,60 cents.

Quando le quotazioni erano davvero ai minimi storici, nel 2010, l’ICE aveva delle scorte ragguardevoli: circa 2,4 milioni di sacchi da 60 chili. Nel 2012, a fronte di una perdita di valore del 33% circa di alcune miscele, si guarda al raccolto della Colombia e del Centro America.

In Honduras, per esempio, il raccolto di caffé quest’anno è stato un raccolto record. Soltanto in Brasile sono stati messi da parte circa 50,5 milioni di sacchi, nella speranza che il prezzo salga un po’.

Il trend dell’oro nel 2013

 L’industria dell’oro, nonostante le stime entusiasmanti dell’anno passato, ha dovuto fare i conti con un 2012 in cui le contrattazioni sono state praticamente sottotono. Adesso gli analisti provano a rilanciare l’argomento offrendo nuovi spunti di riflessione e nuove indicazioni d’investimento per chi compra opzioni binarie.

Il trend dell’oro potrebbe svoltare e ascendere a partire dal 2013 raggiungendo, già il prossimo anno, una quota pari a 1800 dollari l’oncia. Le informazioni arrivano direttamente dal meeting tra investitori e trader che si è tenuto ad Hong Kong.

In realtà anche gli analisti di Bloomberg sono ottimisti. Il loro oracolo prevede che entro il settembre del 2013 l’oro potrebbe raggiungere un nuovo record: 1849 dollari l’oncia che rappresenterebbero un incremento del 7% del valore del metallo rispetto alla quotazione odierna che è di 1729 dollari.

Rispetto all’anno scorso le stime sono più realistiche, basta pensare che dando ascolto ad alcune previsioni, quest’anno ci sarebbe dovuto essere un picco di 2019 dollari. In realtà un picco è stato registrato nelle valutazioni dell’oro, 1920 dollari l’oncia a settembre, ma poi si è tornati ad oscillare tra valori più modesti compresi tra 1530 e 1800 dollari.

Dal 2013 le cose potrebbero in parte cambiare e le stime ottimistiche assecondate, perché entra in campo la Cina che oggi si configura come uno dei maggiori acquirenti sul mercato aureo.

Germania, la borsa vacilla

Inizia male la giornata dei mercati europei. L’economia tedesca subisce un brusco rallentamento. Durante il terzo trimestre, secondo le stime provvisorie fornite l’ufficio federale di statistica, si segnala una crescita minima del Pil (soltanto lo 0,2%), a fronte del buon + 0,3 del trimestre precedente. Gli economisti si aspettavano questo risultato.

Nel primo trimestre invece il pil era cresciuto dello 0,5%. Il governo tedesco durante il mese scorso aveva ridimensionato le sue previsioni di crescita per il 2013, portandole all’1% e scendendo dunque di 0,6 punti.

Lo spread tra Btp decennali e Bund tedeschi equivalenti è dunque stabile a 364 punti. Il rendimento è al 4,98%. Si porta invece a 464 punti il differenziale calcolato sui Bonos spagnoli, con il tasso che è al 5,98%.

Anche Francia il pil nel terzo trimestre è salito dello 0,2% sia a livello trimestrale che su base annuale, a discapito delle previsioni negative degli economisti.

Sul fronte monetario unico, l’euro rimane stabile contro il dollaro a 1,2744. Si aspettano i molteplici dati macroeconomici anche dagli Usa. Alle 16.00 sarà infatti reso noto l’indice Fed di Filadelfia, sempre riferito a novembre.

Intanto, a Piazza Affari il titolo di Telecom Italia è sotto stretta sorveglianza. Telefonica ha detto di non aver ricevuto un’offerta dal finanziere egiziano, Naguib Sawiris, e ha inoltre dichiarato di non avere intenzione di uscire da Telco..

 

 

 

Fiscal Cliff, economia e lavoro: la prima conferenza stampa di Obama

 Si è tenuta ieri la prima conferenza stampa del presidente Obama. Un’ora e mezzo davanti ai giornalisti americani e alla stampa di tutto il mondo in cui il presidente ha esposto le sue opinioni e le sue intenzioni per il risanamento dell’economia americana: il Fiscal Cliff, le tasse ai ricchi e il lavoro.

E’ possibile che tutti noi precipitiamo nel ‘fiscal cliff’ se al Congresso prevale la testardaggine. Non farò marcia indietro come due anni fa.

Obama è intenzionato ad evitare il Fiscal Cliff e per farlo deve trovare un accordo al Congresso, cosa non facile visto che i repubblicani non sono d’accordo sulle metodologie democratiche. Obama, infatti, è intenzionato a tassare la classe ricca, e puntare su quella media per far risalire l’economia:

Non dobbiamo tenere la classe media in ostaggio, mentre discutiamo dei tagli alle tasse per i ricchi. Dovremmo almeno procedere sui punti su cui siamo d’accordo, come quello di mantenere basse le tasse per la classe media. Farò firmare un documento a tutti in modo da poter dare alla gente una certa sicurezza prima delle vacanze.

Tra gli altri obiettivi c’è quello del lavoro, un aspetto fondamentale se si vuole davvero procedere ad un risanamento sano e duraturo dell’economia.

 

 

Il fiscal cliff pesa sul dollaro

 Il pericolo che l’America possa finire nel baratro della recessione impensierisce gli americani ma soprattutto ha determinato molta incertezza sui mercati che adesso si concentrano sulle oscillazione dell’US Dollar Index e non solo.

Il fiscal cliff è l’incubo dell’America post elezioni. Il pericolo della recessione, adesso che tange anche gli States, si configura come l’inevitabile e nuova sfida per Obama e per il suo entourage. Peccato che a fare le spese di questa situazione non siano solo i cittadini ma anche la moneta americana.

Il dollaro sta perdendo consistenza proprio alla luce dell’incertezza sul futuro finanziario dell’America e il fatto che la situazione sta diventando piuttosto urgente, si può dedurre dall’andamento dell’US Dollar Index.

Gli Stati Uniti, Obama lo sa bene, devono provvedere al più presto a risparmiare qualcosa come 600  miliardi di dollari. La manovra economica, se possiamo chiamarla così, passa dall’aumento delle tasse e da un taglio della spesa pubblica per alcuni servizi.

Due pilastri dell’economia americana che non sono visti nello stesso modo da repubblicani e democratici. L’inquilino della Casa Bianca, però, in questo momento ha bisogno dell’appoggio del Congresso per intero. Repubblicani e Democratici hanno in serbo proposte diverse ma la base di partenza è la stessa: bisogna rinnovare il fisco a stelle e strisce.

Camusso giudica negativamente il primo anno di Governo Monti

Susanna Camusso ieri era a Terni per partecipare alla manifestazione di sciopero generale durata quattro ore. Durante il comizio seguente ha sottolineato che l’atto di ieri, con venticinque milioni di giovani disoccupati che hanno partecipato, è la dimostrazione del fallimento di un modello societario:

“Venticinque milioni di giovani disoccupati sono ciò che decreta il fallimento dell’austerità e dice del tradimento verso chi ha lottato per una Europa sociale”.

La Camusso ha poi volto il suo sguardo anche alle altre città del Vecchio Continente:

«Oggi tutte le piazze d’Europa dicono basta all’austerità perchè con l’austerità stiamo rovinando il futuro: l’Europa è stata una grande risposta alla guerra ma facciamo sempre più fatica a vedere quell’Europa lì».

Durante il comizio al termine dello sciopero, la Camusso ha così commentato il primo anno di Governo Monti:

«I cittadini hanno bisogno di sapere la verità, di sapere cosa succede: i mesi che abbiamo di fronte sono mesi in cui aumenteranno la disoccupazione e i problemi, e sarà così per le politiche che sono state fatte, non perchè c’è una maledizione sul nostro Paese. bisogna dire che il Paese è ogni giorno più povero, la responsabilità è di costruire una strada diversa da questa. Il momento è buono per  fare un bilancio, ora che il governo Monti sta per compiere un anno. Il governo Monti compie un anno, ed è stato un anno di disastri e non risposte al mondo del lavoro, un anno che ha tolto fiducia e speranza ai giovani del Paese, punto centrale della storia dell’industria, dove c’è una azienda simbolo della cecità e della mancanza di politica industriale in Europa. Se si affronta così il problema dell’Antitrust (lo stabilimento dovrebbe essere ceduto per problemi antitrust dopo la fusione Thyssen Outokumpu) questa diventerà l’Europa dei piccoli che non possono competere».

Chi investe nei porti italiani

 La Cina basa la gran parte del suo impero commerciale nelle esportazioni e, nell’ultimo periodo, si assistito ad un nuovo flusso imponente verso l’Europa. Per far arrivare la merce cinese in Europa e poi anche in Italia, fino a questo momento, sono stati usati i porti nel Nord Europa.

La posizione di Rotterdam e degli scali del Benelux più in generale, è strategica nella gestioni dei flussi commerciali che arrivano dalla Cina, dall’Inghilterra o dal Sud dell’UE. In previsione dell’intensificazione dei rapporti economici tra Cina e Vecchio Continente, però, gli armatori cinesi stanno studiando un modo per accorciare le rotte.

Per l’evidente congiuntura economica, in questo momento, sono nel mirino gli scali greci, il porto di Atene soprattutto che potrebbe diventare il centro degli scambi tra Cina ed Europa ma anche tra Sud e Nord del Vecchio Continente.

La Grecia è poi vicina a tutta l’area turca e dei Balcani ma i cinesi sembrano siano maggiormente interessati a paesi più solidi economicamente come l’Italia dove operano già imprese straniere. Per esempio la Evergreen Marine Corp taiwanese è nel porto di Taranto, mentre la COSCO che lavora prodotti cinesi è già nel porto di Napoli.

Il problema, a questo punto, è soltanto nella volontà di rendere competitivi gli scali italiani.

 

Italia e Cina più vicine grazie ai porti

 I rapporti commerciali tra l’Italia e la Cina si sono intensificati negli ultimi anni grazie all’accresciuta disponibilità di spesa dell’impero commerciale asiatico. Oggi si sta aprendo un nuovo spazio, un nuovo terreno d’investimento comune per Cina ed Italia: i porti.

La Commissione Europea, in uno degli ultimi rapporti, ha sottolineato come nel nostro paese e nell’UE in generale siano cresciute del 21 per cento circa le importazioni dalla Cina. Il periodo di riferimento è quello compreso tra il 2003 e il 2007.

In questo lasso di tempo l’Unione Europea ha importato merci dai mercati cinesi per un valore che supera i 230 miliardi di euro. C’è anche da considerare che questo genere di flussi sono aiutati dal fatto che il 40 per cento dell’economia cinese è affidata alle esportazioni.

Nella pratica, la Cina ha intenzione di vendere i suoi prodotti in Europa e l’Europa ha tutta l’intenzione di agevolare flussi di tipo commerciale con l’impero del Sol Levante. Sono determinanti per l’arrivo della merce cinese nell’UE e in Italia, dei porti attrezzati.

Finora il punto d’arrivo prediletto dalla Cina sono stati i porti del Nord Europa come Rotterdam o come i Paesi Bassi. All’intensificarsi dei traffici, però, questi approdi potrebbero apparire fin troppo lontani. Fa gola dunque lo sviluppo delle aree portuali italiane. 

Ue prepara un taglio di 80 miliardi

Il Presidente permanente del Consiglio dell’Ue, Herman Van Rompuy, ha presentato una bozza di bilancio pluriennale per il periodo che va dal 2014 al 2020. Tale bozza prevede un taglio di 80,737 miliardi di euro, rispetto ai 1.091,5 miliardi integrati nell’iniziale proposta presentata dalla Commissione Ue.

Nel contempo, la presidenza Cipriota dell’Unione aveva sperato che i tagli non andassero oltre i 50 miliardi di euro. Van Rompuy, stupendo tutti, ha usato le “maniere forti”. Ora la sua bozza andrà sottoposta al negoziato fra i governi dei Paesi membri, l’Europarlamento e la Commissione europea.

La stessa Commissione non ha gradito i tagli al tetto iniziale, indicando di avere da sempre l’appoggio della maggioranza.

Van Rompuy, nella sua bozza, ha aggiunto un ulteriore taglio di 29,499 miliardi di euro concernente i fondi strutturali (inclusi quelli per le regioni) e in generale per la politica di coesione.  Verteva in 339 miliardi in questo caso la proposta della Commissione Ue.

Risentiranno di enormi tagli anche i fondi per la Politica agricola comune (Pac):

-25,5 miliardi per il periodo 2014-2020, rispetto a quanto proposto della Commissione. Alcune fonti dell’esecutivo comunitario giudicano la bozza parlando di “disastro” per la Pac e di “rischio rinazionalizzazione”.

Nello specifico italiano, l’agricoltura rischia di perdere complessivamente 4,5 miliardi di euro: oltre 2,5 miliardi di aiuti diretti ai produttori e 2 miliardi di fondi per lo sviluppo rurale.