La paura della recessione deprime gli investimenti

 La zona Euro soffre molto per i dati sulla crescita economica che arrivano non solo dall’Italia, dalla Spagna e dalla Grecia ma anche dalla Germania e dalla Francia che rappresentano il fulcro dell’attività economica dell’Eurozona.

Il problema dei dati trimestrali dell’economia UE è che non lasciano intravedere alcuno spiraglio per cui viene da pensare che la performance negativa sia destinata a deprimere i flussi per lungo periodo. Minori scambi vuol dire anche minori investitori e mercati spaventati dalla recessione.

Effetti immediati di questa situazione si possono avere anche sul popolo dei lavoratori e dei contribuenti. Vediamo nel dettaglio i dati sul Prodotto Interno Lordo di Francia, Germania, Italia e della Zona Euro in generale.

Per quanto riguarda i nostri vicini, il dato precedentemente registrato era una flessione dello 0,1 per cento  e si attendeva un pareggio, mentre è stato rilevato un +0,2 per cento.

Per la Germania invece, il dato precedente era una crescita dello 0,3 per cento, si attendeva uno 0,1% e ci si è dovuti arrendere allo 0,2 per cento.

Per l’Italia, l’ultimo dato rilevato era un -0,7%, ci si aspettava un -0,4 per cento e ci si è sorpresi con una rilevazione al -0,2 pe cento.

Per tutta l’Eurozona ci si aspettava una flessione dello 0,2 per cento e ci si trovati a fare i conti con una flessione dello 0,1 per cento.

Scommettiamo sui dati dell’export italiano

 I dati dell’export italiano non fanno sicuramente piacere a quanti pensavano di far svoltare la propria attività incrementando le vendite all’estero. I numeri dell’ultimo periodo, infatti, sono deprimenti e per trovare un quadro altrettanto deprimente bisogna andare indietro fino all’inizio della crisi.

Questo non vuol dire che non si possa fare tesoro dei dati economici che riguardano il nostro paese che sono uno strumento fondamentale per chi si occupa ed investe i risparmi in opzioni binarie. In tal senso sono fondamentali i numeri precisi.

L’export italiano ha subito un calo tendenziale del 4,2 per cento a settembre e questo vuol dire che il trend si conferma al ribasso e il miraggio dell’uscita dal tunnel della crisi si allontana vistosamente. L’Italia fatica a rimettersi sul binario della crescita ma stavolta non dipende certo dalle forze nostrane.

Gli italiani producono e vogliono esportare ma è crollata la domanda dei mercati stranieri e soprattutto di quelli europei. Il dito è puntato contro la Germania che ha ridotto l’import dall’Italia del 10,3 per cento con una diminuzione mensile degli acquisti che in euro si traduce in 453 milioni.

Alla situazione tedesca si aggiunge la flessione degli acquisti di Francia e Spagna mentre fa respirare un po’ l’export verso il Regno Unito che si assesta al +1 per cento.

I prossimi passi di Fiat

 Fiat è una delle aziende italiane che ancora fa parlare di sé e non sempre in positivo. In questi giorni sono le dichiarazioni di Marchionne a condizionare un po’ il mercato finanziario. Il manager di Fiat e Chrysler ha ribadito le sue intenzioni riguardo l’azienda torinese e l’Alfa Romeo.

Il primo anatema di Marchionne che fa in parte respirare il titolo Fiat e in parte impensierisce i lavoratori italiani riguarda la fusione con il colosso Chrysler: la fusione o integrazione che dir si voglia sarà inevitabile ed è stata inserita in calendario per il 2014.

Perché preoccupa il passaggio? Perché al di là del respiro finanziario occorre poi rendersi conto che in Europa diminuirà la capacità di Fiat e questo potrebbe voler dire che alcune nazioni tenteranno la strada della difesa degli interessi nazionali con una serie d’interventi statali.

Marchionne, nell’intervista rilasciata ad Automotive News fa anche una stima della vendita di macchine per l’anno prossimo e spiega che tra Fiat e Chrysler, nel 2013, saranno piazzate sul mercato da 2,6 milioni a 4,3 milioni di veicoli. Ma la possibilità di scostarsi dalla “produzione minima” dipende tutta da quello che succederà in Europa.

Rispetto all’Alfa Romeo, gli analisti e gli azionisti possono stare tranquilli: non c’è alcuna intenzione di “vendere” il ramo.

Dati lavoro usa mandano in tilt le borse

 Il mercato è molto sensibile alla pubblicazione dei rapporti ufficiali che hanno a che fare con la vita economica e finanziaria dei grandi paesi in virtù del fatto che un paese che non se la passa bene può influire negativamente anche sulle performance delle economie correlate.

E’ il caso dell’America che riesce ad influenzare in positivo e in negativo le borse del Vecchio Continente. L’analisi della giornata di ieri è emblematica. Proviamo a riepilogarla in modo da dare indizi per il futuro.

L’apertura di Wall Street è stata decisamente buona ed è riuscita ad incidere positivamente anche sulle piazze dell’Eurozona. Milano ha reagito immediatamente portandosi in territorio positivo, come si dice in gergo e anche per quanto riguarda Madrid si segna un +0,44 per cento.

Parigi, Francoforte e Londra, invece, chiudono con una lieve flessione ma riescono a limitare i danni. Ad influenzare questa altalena di dati c’è stata la pubblicazione del report sul mercato del lavoro statunitense. Negli Stati Uniti, infatti, ufficialmente sono state attivate ad ottobre circa 78 mila richieste di sussidi di disoccupazione.

Richieste che hanno portato il numero complessivo a quota 439 mila. Gli analisti avevano previsto che il dato si fermasse a quoa 375 mila. L’incremento del numero di richieste di sussidi di disoccupazione si è legato all’aumento dei prezzi al consumo che per il mese scorso è cresciuto dello 0,1%.

Recessione del Giappone, e lo yen

 Il Giappone è un paese molto importante per l’economia internazionale per questo desta preoccupazione se i dati trimestrali del paese lo descrivono come un territorio sull’orlo della recessione. Il passo falso dell’economia giapponese potrebbe essere impetuoso con le performance dell’Eurozona.

Come per la gran parte delle economia mondiali, sono stati pubblicati in questi giorni i dati preliminari sul prodotto interno lordo, uno di quei documenti di cui fanno scorpacciate coloro che vivono a pane ed opzioni binarie. In effetti la prima domanda che ci si pone è: cosa succede allo yen se il Giappone crolla?

Sicuramente bisogna partire dai dai reali sulla produzione che è inferiore a quanto previsto dagli analisti che hanno dovuto fare i conti con un arretramento dello 0,9 per cento nell’ultimo periodo d’analisi mentre avevano previsto soltanto un -0,8%.

Questo andamento negativo nel terzo trimestre incide anche sui dati annuali per cui si rileva un declino vicino al -3,5 per cento a fronte di una previsione più ottimistica di una flessione di 3,4 punti percentuali.

Secondo gli osservatori il PIL è diminuito perché si sono contratti gli investimenti, i consumei e la produzione dei settori automobilistico e manifatturiero. In controtendenza soltanto le spese del governo e l’immobiliare.

Preoccupa allora lo yen ma è difficile interpretarne l’evoluzione nel breve periodo perché l’intervento della banca del Giappone si è già fatto più consistente.

Windows cambia leader

 Il mondo della finanza è ipersensibile ai cambiamenti al vertice delle aziende. Ecco perché all’inizio della settimana, molti azionisti Windows hanno tremato scoprendo le dimissioni di Sinofsky. Proviamo a raccontare cos’è successo per capire come il titolo di Redmond ha reagito.

Steven Sinofsky era un manager di Windows a capo di due divisioni molto importanti dell’azienda: Windows e Windows Live. Quest’ultima ha contribuito o meglio è alla base di Windows 8, la nuova versione del sistema operativo dell’azienda. Tanto è stato un successo questo nuovo prodotto, che molti consideravano Sinofsky, uno dei possibili delfini e successori di Ballmer alla guida di Microsoft.

E’ chiaro allora che lunedì gli analisti erano assolutamente sorpresi alla notizia delle dimissioni di un uomo chiave. Le dimissioni sono state interpretate come un segnale del cambiamento dell’assetto di Microsoft che nell’ultimo periodo ha provato ad interpretare il nuovo trend della tecnologia hardware.

L’obiettivo è quello di andare oltre il PC, concentrando le energie su smartphone e tablet. Il suo grande merito, riconosciuto anche nell’annuncio delle dimissioni, è stato quello di aver contribuito con Windows 7 a far dimenticare il tanto amato Windows XP. Peccato il suo caratteraccio.

All’uscita di scena di Sinofsky l’azienda ha risposto con una pronta riorganizzazione delle divisioni da lui presiedute in modo da dare continuità al lavoro. Adesso c’è da capire nella prossima settimana se il mercato sarà d’accordo con la scelta del colosso di Redmond.

Saldo IMU, aliquote all’arrivo

 Il mercato immobiliare italiano, in queste ultime settimane è scosso dalla definizione ultima delle aliquote IMU. L’imposta municipale sugli immobili, reintrodotta quest’anno, ha accompagnato gli italiani da gennaio a dicembre.

Sono state definite delle aliquote provvisorie su cui è stato calcolato il primo acconto e ai contribuenti era stata data la possibilità di pagare “il tutto”, ancora da calcolare, in due o tre rate. Il saldo, in entrambi i casi, sarebbe stato quello di dicembre. 

La scadenza è fissata per il 17 dicembre ma bisogna fare molta attenzione perché rispetto ai parametri usati per fare il calcolo della prima rata, ci sono stati degli aggiornamenti. Le singole Amministrazioni comunali, infatti, hanno determinato delle nuove aliquote per le varie categorie d’immobili.

Adesso è disponibile online la tabella aggiornata. Era prevedibile ed è successo che la maggior parte dei comuni abbia rivisto al rialzo le aliquote, soprattutto per le seconde case. Per le abitazioni principali, invece, sembra sia rimasto tutto come al momento del primo acconto. Milano, Firenze e Bologna per esempio, non hanno definito rincari.

Diverso il caso di Torino, Roma e Napoli dove invece l’aliquota Imu è salita leggermente.

Per pagare e trasmettere i propri dati il Dipartimento delle Finanze mette a disposizione un modello di dichiarazione del saldo Imu.

Rinnovabili: il mercato è in crisi

 Chi investe nelle opzioni binarie vuole essere sempre al corrente delle tendenze del mercato, vuole sapere se ci sono settori dell’economia che, più degli altri, stanno mostrando un’inaspettata vitalità. Oggi, sotto osservazione c’è il mercato delle energie rinnovabili.

Secondo una buona parte degli analisti, infatti, ancora scettici sulla diffusione massiccia di questo stile energetico, le energie rinnovabili stanno vivendo un momento di gloria ma è solo una bolla economica, come quella che interessato internet e l’ICT in generale all’inizio del 2000.

I toni euforici con cui sono state salutate le aziende che si occupano di energie rinnovabili, oggi, si sono attenuati per due motivi fondamentali: per lo stallo nella ricerca della green economy e per il taglio di tantissimi incentivi e sovvenzioni. 

Il legame con gli incentivi statali determina tra l’altro lo spostamento continuo verso terreni d’investimento più redditizi. Un caso emblematico è quello dell’azienda danese Vestas che si occupa di energia eolica.

L’azienda ha annunciato che presto taglierà ben 5 impianti di produzione localizzati nei paesi scandinavi. Ci saranno circa 3000 posti di lavoro vacanti e la possibilità di essere riallocati sì, ma altrove, in particolare in Spagna dove l’energia eolica è in espansione e dove, soprattutto lo stato prevede numerosi incentivi.

Prezzi del caffé sul piano inclinato

 I prezzi del caffé continuano a scendere perché si deve prendere atto dell’aumento della produzione. Ad una maggiore offerto di un bene corrisponde una diminuzione del prezzo dello stesso bene, è una delle prime regole che s’impara in economia.

Le quotazioni del caffé, dunque, sono scivolate sotto la soglia dichiarata di “sicurezza” ma questa inclinazione del valore di un bene così diffuso e consumato, non sorprende i mercati che da tempo osservano la produzione di caffé a livello mondiale.

Per esempio, sul mercato londinese, la qualità robusta di caffé, per la prima volta dopo nove mesi di scambi, si è dovuta arrendere ad una quotazione ai minimi storici che vuol dire 1903 dollari per tonnellata. Un destino analogo per la miscela arabica a New York dove le quotazioni sono scese ai minimi da oltre 4 mesi. Per una libbra di caffé, nella Grande Mela si pagano soltanto 150,60 cents.

Quando le quotazioni erano davvero ai minimi storici, nel 2010, l’ICE aveva delle scorte ragguardevoli: circa 2,4 milioni di sacchi da 60 chili. Nel 2012, a fronte di una perdita di valore del 33% circa di alcune miscele, si guarda al raccolto della Colombia e del Centro America.

In Honduras, per esempio, il raccolto di caffé quest’anno è stato un raccolto record. Soltanto in Brasile sono stati messi da parte circa 50,5 milioni di sacchi, nella speranza che il prezzo salga un po’.

Il trend dell’oro nel 2013

 L’industria dell’oro, nonostante le stime entusiasmanti dell’anno passato, ha dovuto fare i conti con un 2012 in cui le contrattazioni sono state praticamente sottotono. Adesso gli analisti provano a rilanciare l’argomento offrendo nuovi spunti di riflessione e nuove indicazioni d’investimento per chi compra opzioni binarie.

Il trend dell’oro potrebbe svoltare e ascendere a partire dal 2013 raggiungendo, già il prossimo anno, una quota pari a 1800 dollari l’oncia. Le informazioni arrivano direttamente dal meeting tra investitori e trader che si è tenuto ad Hong Kong.

In realtà anche gli analisti di Bloomberg sono ottimisti. Il loro oracolo prevede che entro il settembre del 2013 l’oro potrebbe raggiungere un nuovo record: 1849 dollari l’oncia che rappresenterebbero un incremento del 7% del valore del metallo rispetto alla quotazione odierna che è di 1729 dollari.

Rispetto all’anno scorso le stime sono più realistiche, basta pensare che dando ascolto ad alcune previsioni, quest’anno ci sarebbe dovuto essere un picco di 2019 dollari. In realtà un picco è stato registrato nelle valutazioni dell’oro, 1920 dollari l’oncia a settembre, ma poi si è tornati ad oscillare tra valori più modesti compresi tra 1530 e 1800 dollari.

Dal 2013 le cose potrebbero in parte cambiare e le stime ottimistiche assecondate, perché entra in campo la Cina che oggi si configura come uno dei maggiori acquirenti sul mercato aureo.